Il terrore s’insinua capillarmente e anarchicamente nelle aggregazioni umane che chiamiamo “nazioni” dove l’insufficienza di politiche e culture integratrici produce vite infelici, sbagliate e senza radici: facili vittime del fascino perverso della violenza riscattatrice.
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Le nostre società sono vulnerabili, anche sul piano psicologico. I nervi sono a fior di pelle. Poiché, però, non possiamo rimetter indietro le lancette della storia e sognare impossibili, romantici ritorni alle “piccole patrie” o agli “stati nazionali chiusi” e alle loro sicurezze, dobbiamo rassegnarci ad affrontare le conseguenze di quello che è il nostro momento storico, preparandoci. E’ difficile e doloroso ammetterlo: i morti di Parigi e le centinaia e migliaia di morti che li accompagneranno in ogni parte del mondo non sono né saranno anomalie. Sono conseguenza del mondo che abbiamo costruito e che ora si rivolta contro di noi, modellando, alquanto spaventosamente, le nostre vite.
Prepararci: sì, ma a che cosa? A difenderci, naturalmente. Difendere che cosa di noi? La vita e la sicurezza innanzitutto, e il nostro mondo di principi e valori di libera convivenza, senza i quali perderemmo noi stessi. Questo dicono tutti. Ma difenderci con che mezzi ?
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Questo è il momento della ragione, e la ragione dice non guerra, ma controlli, indagini e azioni di polizia. Tra azioni di guerra e azioni di polizia c’è la differenza che le prime sono rivolte indifferentemente contro “il nemico” e le seconde, selettivamente, contro i delinquenti, le loro organizzazioni, i loro addestratori e finanziatori.
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Gli Stati europei, almeno sulla loro sicurezza, possono superare le rivalità. Alla globalizzazione del terrorismo l’Europa si contrapponga come regione che cerca sicurezza e pace.
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la Repubblica, pag. 1 – La guerra indichiarabile– 12 gennaio 2015