Prima di tutto, cosa se ne va e cosa resta? Il governo Renzi non ha abolito le Province, ma le elezioni provinciali. Le Province sono state trasformate in enti di secondo grado, i cui organismi politici saranno composti da un ceto dirigente nominato e non più eletto direttamente, così che ad essere abolite risultano democrazia e diritto di voto, in nome di un “risparmio” complessivo che è stato calcolato fra i 30 e i 140 milioni di euro l’anno. Anche il Senato non sarà affatto abolito, ma trasformato in un organismo composto da un ceto dirigente nominato e non eletto. Il superamento del bicameralismo perfetto è dunque un superamento della democrazia e delle elezioni dirette delle seconda camera. Con un “risparmio” risibile, ammesso e nient’affatto concesso che questo possa essere un criterio accettabile quando è in questione il funzionamento della democrazia stessa.
Nell’imbarbarimento del dibattito, infatti, un simile restringimento degli spazi di democrazia viene giustificato prima di tutto con l’esigenza di tagliare i costi della politica e di ridurre il peso della casta, temi su cui è facile incontrare un consenso istintivo e di massa, data la condizione generalizzata di crisi, di cui è certamente corresponsabile una delle classi politiche più incompetenti della storia, in Italia ed in Europa. E pur tuttavia, l’effetto sarà opposto a quello desiderato, perchè queste controriforme rafforzeranno il potere di un ceto politico sempre più blindato e separato dai cittadini.
D’altro canto, se l’intenzione autentica fosse quella di tagliare i costi della politica, basterebbe ridurre le indennità dei parlamentari e dei consiglieri eletti. Mentre si continua a tagliare solo la rappresentanza dei cittadini nelle istituzioni. Se poi, oltre alle riforme che stanno investendo Province e Senato, si guarda anche alla riforma elettorale e alla proposta di “premierato forte”, il quadro è completo e ogni dubbio sul senso del progetto è dissolto. Evocare la svolta autoritaria è purtroppo corretto nè è difficile credere che su simili riforme vi sia stata “profonda sintonia” fra Berlusconi e Renzi, per riprendere testualmente le parole del neopresidente del Consiglio.
Con toni da spensierato futurismo anticostituzionale, al fine di giustificare riforma elettorale, rafforzamento dei poteri dell’esecutivo e riforma del senato, si riccorre a piene mani anche alla retorica della velocità, alla marinettiana “bellezza della velocità”, che esalta il “il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno”. Così viene ossessivamente ripetuto che occorre aumentare la velocità di produzione delle leggi, sfornarne di più e più celermente. Al contrario, il nostro paese soffre il problema opposto, ossia l’ipertrofica e incessante produzione di leggi e normative fortemente disorganiche e di scarsa qualità. Siamo sommersi da leggi e norme che si affastellano confusamente e che vengono continuamente modificate, spesso persino prima di essere attuate. Altro che velocità, occorrerebbe piuttosto una maggior lentezza: dovremmo rallentare la produzione legislativa ed aumentarne la qualità, avere meno leggi ma più solide e razionali, elaborare Codici che regolano in maniera organica, coerente e unitaria, interi settori della vita pubblica.
La riforma della legge elettorale che passa sotto il nome di “Italicum” (e che effettivamente è italianissima: unica al mondo, nel suo genere, come già il “Porcellum” di cui è figlia legittima) nasce da calcoli tanto interessati quanto palesi e da una tragica sottovalutazione della situazione presente. Almeno la metà degli italiani si sente ormai lontanissima dai luoghi elettivi, per non dire della totale mancanza di fiducia nei partiti politici. L’Italicum si configura come una legge elettorale ipermaggioritaria con soglie di sbarramento così alte che priverà della rappresentanza altri 15 milioni di cittadini, portando partiti di ridotte dimensioni (partiti del 25%) ad ottenere, per via artificiosa, la maggioranza parlamentare. In altri termini, una minoranza nel paese sarà trasformata in una maggioranza parlamentare, ma dotata di un potere superiore a quello delle maggioranze del passato. Una legge che finisce di fare a pezzi il principio della rappresentatività, in nome della governabilità. E’ evidente che un simile passo aumenterà odio, disaffezione, disprezzo verso istituti democratici sempre più “svuotati” e sviliti, alimentando spinte di estrema destra.
L’attuale Parlamento, per quanto eletto con una legge elettorale anticostituzionale, è legittimato a svolgere la sua funzione, come ha chiarito la Corte Costituzionale: al fine di garantire la continuità istituzionale le Camere non possono cessare di esistere o perdere la capacità di deliberare. Ma di certo non hanno legittimità morale e politica per generare la nuova architettura costituzionale del paese e per licenziare una legge elettorale che ancora una volta confligge con i principi costituzionali richiamati dalla Corte. Secondo la Corte, l’attuale maggioranza parlamentare rappresenta una minoranza dei cittadini – a seguito dell’abnorme premio di maggioranza – e il meccansimo delle liste bloccate ha reso “inconoscibili” i candidati, oggi eletti deputati (nominati di fatto dalle segreterie dei partiti o più precisamente da coloro che si candidavano a guidare l’esecutivo). Non dimentichiamo, infine, che una legge elettorale con cui poter votare c’è, come risultato della sentenza della Corte: si tratta di un sistema proporzionale con le preferenze (e con gli sbarramenti previsti dal porcellum).
Il ragionamento vale a maggior ragione per le modifiche alla Costituzione. Premetto che ho sempre guardato con favore al monocameralismo – come d’altro canto buona parte della sinistra, storicamente – ma con un sistema elettorale di tipo proporzionale e certamente non ultramaggioritario. Certo, la riforma Renzi-Berlusconi non propone il monocameralismo (ma semmai un bicameralismo differenziato e alquanto pasticciato) e in ogni caso l’obiettivo primario del progetto è il rafforzamento dell’esecutivo; tuttavia, al di là dei contenuti della riforma, il nodo è che questa maggioranza parlamentare, artificialmente generata da una legge elettorale incostituzionale, non può modificare la nostra Carta fondamentale. Senza considerare il fatto che il Presidente del consiglio si sente legittimato a mettere mano alla Costituzione sulla scorta dell’investitura ricevuta alle “primarie” del suo partito – una consultazione privata – dove ha ricevuto due milioni di voti su tre, mentre, sia detto per inciso, con la sua legge elettorale vorrebbe lasciar fuori dal parlamento partiti che di milioni di voti ne hanno quasi sette.
E’ pur vero che in questi anni la Costituzione è stata malamente modificata più volte, con interventi affrettati e sempre peggiorativi. Il Titolo quinto venne elaborato e votato in gran corsa dal centrosinistra, come arrangiata “risposta” alle spinte leghiste, con i risultati che conosciamo. Successivamente, invece di aprire una discussione seria sullo ius soli -che avrebbe consentito di dare il diritto di voto ai figli degli immigrati nati in italia- è stato introdotto lo ius sanguinis, per permettere ai figli degli emigrati italiani di votare alle elezioni politiche, in questo caso aprendo alle richieste di Alleanza Nazionale. Infine, l’ultimo atto, sicuramente il più folle, è la recente costituzionalizzazione del pareggio di bilancio, che, ad ascoltare oggi gli esponenti politici dei diversi schieramenti, parrebbe essersi votato da solo mentre è stato voluto e votato da PDL, PD, Lega, Terzo polo, IDV: un giogo che il Parlamento italiano si è autoimposto e dal quale adesso quasi tutti sembrano cercare una tardiva via d’uscita, pena la distruzione del paese a suon di manovre da 50 miliardi di euro l’anno a partire dal 2016.
Sono queste le ragioni per cui aderisco all’appello di Libertà e Giustizia per fermare il progetto autoritario dell’attuale governo, prima che siano compiuti altri disastri. Prima che Renzi e Berlusconi, Verdini e Boschi, Alfano e Brunetta, Pinotti e Schifani si improvvisino nuovi padri e madri costituenti, andando a modificare – queste sono le intenzioni – un’ottantina di articoli del nostro testo fondamentale, con buona pace di Lelio Basso, Ferruccio Parri, Piero Calamandrei, Umberto Terracini, Pietro Nenni, Alcide De Gasperi, Teresa Mattei, Giuseppe Dossetti, Palmiro Togliatti, Giorgio la Pira.
*L’autore è stato fra i fondatori del Forum italiano dei Movimenti per l’Acqua e uno dei promotori del vittorioso referendum del 2011.