I motivi di una sconfitta

27 Febbraio 2013

Il dramma nel dramma dell’incertezza che esce da queste elezioni è la sconfitta di Umberto Ambrosoli in Lombardia e la consegna della regione più popolosa e più dinamica del paese ad una figura mediocre e ambigua come Maroni. Leggi anche “La forza delle cose”

Il dramma nel dramma dell’incertezza che esce da queste elezioni è la sconfitta di Umberto Ambrosoli in Lombardia e la consegna della regione più popolosa e più dinamica del paese ad una figura mediocre e ambigua come Maroni. Occorre interrogarsi con onestà intellettuale sugli errori che hanno fatto sì che il governo regionale sia stato riconsegnato a quegli stessi che si erano dimessi con disonore solo poche settimane fa, a seguito di scandali e imputazioni penali di ogni genere.
La prima cosa che viene da chiedersi con rabbia è: ma cosa hanno nella testa gli elettori lombardi? Come hanno potuto confermare la loro fiducia a coloro che provatamente hanno negli anni abusato del potere per favorire enti e persone amiche, dissipando il denaro pubblico? A quegli stessi che si sono riempiti la bocca di promesse localistiche roboanti quanto false e, alle spalle dei lombardi, hanno prosperato senza nulla fare per affrontare la crisi economica che da anni ormai fa chiudere le aziende, piccole e grandi, della regione.
Il progressivo impoverimento del territorio lombardo è un dato agevolmente percepibile nell’aumento della disoccupazione, nella difficoltà per i giovani di trovare lavoro, nell’immobilismo del tessuto economico, nella diffusione della criminalità organizzata e, di recente, nell’aumento vertiginoso dell’accesso a concordati e fallimenti. Forse proprio a causa di questo scenario economico di grande incertezza gli elettori lombardi hanno rispolverato le speranze nella destra berlusconiana e leghista? In una prospettiva cioè di imprenditorialità ancella – quando non peggio – della politica, in perenne attesa di agevolazioni fiscali, misure di sostegno, espedienti per non confrontarsi con il mercato e la concorrenza.
Una cosa è peraltro evidente, e cioè che il PD non è stato in grado di rappresentare in Lombardia una credibile alternativa al passato, un’alternativa capace di ispirare fiducia nella costruzione di un modello di crescita solidale ed efficiente, onesto e prospero. In tutte le province, salvo quella di Milano, la destra ha vinto: ciò vuol dire che il PD in Lombardia – al di fuori di Milano – è ben poco radicato nelle comunità territoriali, ben poco presente nella vita delle persone e delle istituzioni. Nelle votazioni per il Senato, il distacco subito dal PD in Lombardia rispetto alla destra è di otto punti percentuali: Ambrosoli ne ha recuperati tre, grazie alla campagna per il voto disgiunto, ma non sono bastati. Malauguratamente, né la lista Monti né il M5S hanno avuto sufficiente intelligenza politica da condividere la ragionevolezza del voto disgiunto a favore di Umberto Ambrosoli: certamente Maroni ha motivo di essere grato alla loro inettitudine.
Ma non vi è dubbio che la responsabilità politica di questa grave e bruciante sconfitta gravi sulle spalle del PD lombardo: cresciuto all’ombra di Penati e del suo stile politico, evidentemente non è stato capace né di costruire una forte e significativa presenza politica in regione né di aprirsi alla società civile e di rinnovarsi, nonostante l’esempio venuto dall’esperienza di Pisapia in Comune. Il minimo che gli elettori del centro sinistra in Lombardia hanno il diritto di aspettarsi sono le immediate e irrevocabili dimissioni di tutti i vertici del PD lombardo. E dopo di questo, che il PD si ricostruisca sulla base di un ripensamento profondo del suo ruolo, del suo modo di operare, dei suoi obiettivi e della selezione del suo personale politico in questa oggi davvero sfortunata regione.

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