Se contano solo i nomi

18 Febbraio 2013

Un po’ per l’età, un po’ per il mestiere che faccio, ho assistito nella mia vita a tante campagne elettorali. Ma le nostre, compresa quella che sta svolgendosi adesso, mi riempiono sempre di stupore per la loro caratteristica dominante: il nominalismo

Un po’ per l’età, un po’ per il mestiere che faccio, ho assistito nella mia vita a tante campagne elettorali. Ma le nostre, compresa quella che sta svolgendosi adesso, mi riempiono sempre di stupore per la loro caratteristica dominante: il nominalismo. Altrove si parla di cose concrete; si parla, ogni volta, di quello che si vuol fare. Europa sì, Europa no (Inghilterra); nozze fra omosessuali, sì o no (Inghilterra, Francia); sussidi di malattia, per chi e in che misura (Stati Uniti). E da noi? Chi è abbastanza avanti negli anni ricorda senza dubbio le discussioni interminabili sulla così detta apertura a sinistra, cioè l’alleanza coi socialisti: sì o no? Altrettanto tortuosa la disputa su Scelba, notabile democristiano: frequentabile, sì o no? Ed è fresco nella memoria l’exploit di Bertinotti, che per ragioni di principio abbatté il governo Prodi e ci regalò un lungo supplemento di Berlusconi.
Il tempo passa, il nominalismo è sempre lo stesso. Ecco adesso Nichi Vendola, uno dei protagonisti della campagna in corso, che dichiara, serafico: «C’è una totale incompatiblità fra noi e l’agenda liberista di Monti, spero che il Pd non si assuma la responsabilità di far saltare l’alleanza». Scusi, l’alleanza per fare che cosa? Di che agenda parla? Mah, questo non importa. Importante è il principio. Bersani risponde: «Non sacrificherò mai Nichi. Mai». Commovente. Ma questo riguarda lui e Nichi. E noi? Di che cosa stiamo parlando? Mario Monti, novizio in queste dispute, è un po’ meglio, cioè un po’ meno nominalista, ho l’impressione però che stia imparando in fretta.
In compenso tutti sono per le riforme. Ma riforme di che cosa? Nessuno specifica: vedremo, se ne riparlerà. Intanto, l’Italia è oppressa da problemi terribili. Ci voleva Giorgio Napolitano per scoprire il problema delle carceri, del loro sovraffollamento, che è “un disonore nazionale”. Anche lui, però, ha l’aria di essersene accorto dopo sette anni, quando ha già un piede fuori del Quirinale. E la lentezza della burocrazia? E della giustizia?
Il nominalismo di cui sto parlando è storia antica. Gianni Agnelli, con allusione a Ciriaco De Mita, per altro uno dei migliori segretari della Democrazia cristiana, aveva trovato la definizione giusta: un intellettuale della Magna Grecia. La definizione vale per tutta la categoria. Sulla possibilità di redenzione ho poche speranze: si tratta di difetti antichi, non basta certamente denunciarli nei nostri articoli per estirparli. Tuttavia sarebbe interessante conoscerne l’origine, per pura curiosità intellettuale.
Intanto arriva qualcuno, prima o dopo, e annuncia che abolirà le tasse: il gioco è fatto.

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