IL PRESIDENTE Napolitano ha ripetutamente, insistentemente richiamato i partiti alla necessità di cambiare la legge elettorale, ma siamo arrivati al punto che l’unica riforma alle viste si riduce a qualche pezza appiccicata sull’orrido Porcellum. Con il risultato di peggiorarlo ancora, se mai fosse possibile. L’irritazione del presidente è comprensibile: nonostante i suoi moniti, i partiti si sono dimostrati svogliati e neghittosi. Interessati ad altro, insomma. E quando si sono degnati di affrontare il problema si sono attorcigliati intorno a formule astruse elaborando ibridi degni di Frankenstein, in cui si combinavano, maldestramente, l’attaccamento pervicace del Pdl a forme proporzionali con la pulsione maggioritaria del Pd. (E non si è mai capito come mai per anni si sia detto il contrario, e cioè che al centro-sinistra piaceva il proporzionale e al centro-destra il maggioritario, identificando addirittura in Berlusconi il suo alfiere, quando è vero il contrario, tant’è che in tempi di Mattarellum il centro-destra prendeva sempre meno voti del centro-sinistra nella scheda maggioritaria).
Se siamo arrivati a questo punto le responsabilità vanno equamente distribuite. Alla Lega quella di aver ideato la legge, al Pdl di averla sempre difesa, all’Udc di essersi acquattata al misfatto, salvo piangere per non poter giocare uno dei suoi asset migliori, la caccia alle preferenze, al Pd di non aver mai proposto una alternativa forte in
cui riconoscersi. Ciò detto, al Partito democratico va rimproverato qualcosa in più, perché una seria opposizione deve prendersi delle responsabilità per guadagnare credibilità come forza di governo. Era quindi dovere del Pd condurre una battaglia, magari di bandiera ma “onorevole”, in difesa di pochi e chiari principi: l’elezione di un rappresentante per ogni collegio elettorale garantendo quindi un rapporto più diretto tra cittadini rappresentanti; la riduzione della frammentazione senza mortificare la rappresentatività; la scelta per una maggioranza di governo; il rigetto di distorsioni premiali. Tutti principi insiti nel doppio turno alla francese, dalla possibilità del voto “espressivo” grazie all’ampia offerta elettorale del primo turno, allo stimolo a formare coalizioni pre-elettorali per superare la soglia di sbarramento del secondo turno. Tra l’altro, con il doppio turno votiamo già per i sindaci, e non c’è mai stato sistema elettorale più apprezzato dai cittadini. Perché il Pd ha avuto paura di riproporlo sic et simpliciter? Forse perché si è fatto sedurre dalle delizie dei tatticismi parlamentari, o imbrigliare dal fair play con gli altri partner della coalizione, o trascinare dalla
hybris
di elaborare qualcosa di così originale ed efficace da convincere anche gli altri?.
Sia come sia, il tempo è scaduto per proporre
una vera riforma elettorale. Lo ha ricordato il Consiglio d’Europa: approvare nuove norme elettorali un anno prima del voto è una forzatura. Ora c’è tempo solo per interventi di contorno che salverebbero l’anima ai partiti, lenirebbero l’irritazione del Quirinale, e getterebbero in pasto all’opinione pubblica una immagine/pretesa di volontà riformatrice. Ma è una operazione di corto, cortissimo respiro per gli effetti incerti, distorsivi e di breve periodo che avrebbe una legge rimaneggiata nel premio di maggioranza — perché solo di questo si tratta e non di altro. E poi, un intervento in extremis senza dignità di vera riforma andrà incontro allo sbertucciamento grillino: dal suo blog partiranno le bordate contro una legge fatta per salvare il posto alla Casta, il potere dei soliti partiti, ecc, ecc.. Al netto delle esasperazioni grilliane, c’è però una opinione pubblica esasperata nei confronti della politica fuori dal Palazzo, e una riformetta che non offra un diverso e migliore rapporto tra eletti e rappresentanti non farebbe che esasperarla. Insomma, un infangamento ulteriore del Porcellum, con questo balletto sui premi da fiera zootecnica, irrita e delude. Per una volta, piuttosto che un rabberciamento dell’ultimo minuto da dover poi modificare ancora per la sua insostenibilità, meglio niente.
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