INUTILMENTE Maurizio Gasparri (pensate!) invita gli scatenatissimi senatori Rutelli e Palma a «mostrare più equilibrio» e non perché non condivida il loro rabbioso risentimento contro i giornalisti, anzi!, solo lo vuole far fruttare invece di sprecarlo. «ESAGERANDO finiamo con il non fare nessuna legge» e intanto «in Italia — grida — dilaga la diffamazione ». Non è vero che sulla legge-bavaglio al Senato c’è un confronto tra falchi e colombe. È invece tra falchi e falchi, tra falchi furbi e falchi spudorati, tra astuti coltivatori di foglie di fico e disperati guerrieri come appunto Francesco Rutelli che neppure le foglie di fico concede perché non vuole più «una classe politica così sulla difensiva … da abbassare irrazionalmente» il tetto di centomila euro di multa a cinquantamila. «Scusate, onorevoli colleghi, qui siamo al supermarket della diffamazione Siamo addirittura al super-discount».
È stata questa la scena madre ieri al Senato, quella dell’ovazione a sfregio. Ed è stato commovente vedere tutti i gruppi che si spellavano le mani, sentire suonare uno sfogo di rancore come una gioia unanime. In fondo accade solo ad ogni visita del Papa. Applaudivano Pdl, Terzo Polo, larghi pezzi di Pd, ed era entusiasta la senatrice radicale Poretti perché ogni applauso era un insulto «ai nostri avversari — ha spiegato Quagliarello — che stanno qui fuori». E Gasparri: «Se adesso proponessi la multa di 300mila euro avrei una standing ovation su tutti i banchi, con la conseguenza che poi la legge non si farebbe».
E qui la colomba Quagliarello mostra gli artigli affilati dalla malizia: «Leggendo i giornali — dice con pacatezza — e passeggiando per il transatlantico mi sono reso conto che ci sono moltissimi tifosi fuori da quest’aula che sperano che qui fallisca tutto e che il provvedimento in esame non venga approvato». Secondo lui Rutelli e Palma e Malan e Caruso e tutti quelli che difendono «l’onore della politica» dicono «cose condivisibili ma non vorrei che la loro esasperazione ci facesse perdere di vista i nostri avversari, che stanno qui fuori».
Ma fuori — badate bene — ci sono i cittadini. E in Transatlantico ci siamo noi giornalisti, noi che facciamo
«giornalismo di inchiesta con il ricorso alla diffamazione, all’ingiuria, alla diminuzione dell’avversario ritenuto tale o dell’interlocutore politico». Più sofisticata, Anna Finocchiaro non parla mai così. Eppure è lei la promotrice e la protagonista dell’accordo che conclude questa bella pantomima e che conferma la sostanza dell’inghippo liberticida che era stato predisposto in Commissione Rancore. Cosa preferiamo noi: la sfrontatezza di Rutelli o la sintassi dorotea e la foglia di fico di Anna Finocchiaro? E ricapitolo brevemente cominciando con la rettifica che, pur non bloccando l’eventuale successiva querela, dovrà essere pubblicata subito, di dimensioni uguali e nello stesso spazio occupato dall’articolo, senza prova di verità. Per gli editori dei libri la rettifica sarà a pagamento su due quotidiani. È prevista l’interdizione dalla professione. La restituzione dei contributi pubblici eventualmente concessi agli editori è stata confermata con un voto («perché i cittadini non devono pagare le diffamazioni» dice D’Ambrosio e, aggiungo io, nemmeno gli errori di stampa, gli articoli scritti male, i cattivi programmi televisivi, le canzoni di Sanremo…). Ancora: il risarcimento del danno partirà da un minimo di trentamila euro. È stata confermata anche l’intrusione negli archivi dei siti per cancellare articoli di cui nessuno ha stabilito la natura diffamatoria. E poi la pubblicazione per esteso delle sentenze … E sul tetto massimo della multa vedremo lunedì pomeriggio.
L’alchimia del compromesso non ha resistito infatti alla scontro sul tetto alle multe (cinquantamila oppure centomila?). E Gasparri e la Finocchiaro si sono salvati con il rinvio perché il doroteismo è l’eterna scorciatoia della politica italiana. Dunque si voterà lunedì, ma con la marcia trionfale del voto segreto che è stato proposto da venti senatori, dei quali non sono stati fatti i nomi, immagino per vergogna, anche se tutti dicono che l’iniziativa è partita da Rutelli.
È capitato nella storia della politica italiana che il ricorso al voto segreto sia stato un sussulto etico, un modo per farsi guidare dalla morale e non dalla politica votando di nascosto ma nobilmente contro la propria maggioranza, contro gli interessi del proprio capo. Ma qui non c’è niente di virtuoso, di nobile e di probo. E infatti il voto di nascosto è stato chiesto di nascosto perché i nascondigli e i segreti non proteggono la moralità ma l’immoralità, custodiscono gli atti indecenti e non quelli decenti, tutelano la volgarità e non l’eleganza. Il voto segreto contro la libera stampa non libera le coscienze ma di sicuro le illumina, getta su tutta la vicenda una luce di fulgida vergogna, è il sole a mezzanotte sull’inadeguatezza di questo Parlamento a legiferare in emergenza e con il corpo piagato dalle ferite della corruzione.
Il senatore D’Ambrosio ha messo in guardia i suoi colleghi: «I giornalisti italiani ricorrono spesso alla corte di giustizia europea». In effetti basterebbe presentare a Strasburgo il resoconto stenografico di questo dibattito. A fine giornata, per esempio, ho ancora nelle orecchie il senatore Procacci (Pd): «Nessuno deve mai dimenticare che questo è il Paese in cui un certo signor Tortora ha perso la vita. «Ebbene, mentre sentivo gli applausi di Pd, Pdl e di tutti i gruppi, il mio pensiero andava a Biagi e a Bocca, a Sciascia e a Montanelli e agli articoli che pazientemente, senza paura delle rettifiche dei procuratori di Napoli e del conformismo di tanti altri colleghi, loro scrivevano in difesa di Tortora … E chissà cosa avrebbero potuto fare con la nuova legge che lunedì sarà votata. Tortora, vittima della ma-lagiustizia, fu salvato dalla libera stampa e dal partito radicale. Ma il Pd Procacci dice che «dobbiamo in qualche modo scoraggiarla…» (applausi dal Pdl e dai senatori Filippi, Mura e Pedica). «Scoraggiare la stampa che dà notizie e che a tavolino decide di colpire». Scoraggiare? Sbotta il senatore Li Gotti: «Allora, proponete 20 anni di carcere, ma fatelo! Volete la chiusura dei giornali? Mandate in galera i giornalisti». Dopo tanti anni di mestiere anche io, che non sono mai stato condannato penalmente, per la prima volta mi sento a rischio.
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