1.- La questione va affrontata nel suo complesso, con riguardo sia alla tv pubblica che all’emittenza privata, con l’obiettivo di migliorare il livello di pluralismo esterno ed interno nonchè la qualità complessiva dell’offerta televisiva in Italia. Avendo ben in mente che non si cambia l’Italia se non si cambia la televisione!
Occorre inoltre avere presente la situazione attuale, caratterizzata dal persistere del duopolio RAI-Mediaset nel quale:
– le sei televisioni generaliste raccolgono tuttora il 70% dell’audience nazionale; ciò significa che l’avvento sul mercato di Sky non ha affatto risolto il deficit di pluralismo esistente nel nostro paese;
– nel 2011 Mediaset ha raccolto 2.7 miliardi circa di risorse pubblicitarie, a fronte di circa 900 milioni di RAI, mentre le altre tv si dividono quanto manca ai 4 miliardi circa che rappresentano l’intero mercato della pubblicità televisiva;
– la televisione pubblica ha vissuto un progressivo indebolimento sia culturale che economico: nei primi sei mesi del 2012 la raccolta pubblicitaria registra un meno 20%, con un andamento nettamente peggiore di Mediaset, che riporta RAI a livelli inferiori a quelli del 2000;
– Mediaset da sola raccoglie più risorse pubblicitarie di tutti i mezzi della carta stampata nel loro insieme (1,9 miliardi di euro), caso unico in Europa.
La legge Gasparri (successivamente trasfusa nel Testo unico della Radiotelevisione) va interamente riscritta; i nodi centrali da riformare sono:
– il limite antitrust: va abolito il riferimento al SIC, criterio privo di significato e strumentale a consentire il permanere delle tre reti generaliste in capo a Mediaset, nonostante le ripetute pronunce contrarie della Corte Costituzionale; poichè l’obiettivo è la tutela del pluralismo informativo, il limite alla titolarità di concessioni per l’emittenza radiotelevisiva va espresso in termini di “audience share”, come è in altri ordinamenti europei e come era previsto in un progetto di direttiva europea sulle concentrazioni nei mezzi di informazione, mai varata a seguito delle pressioni di Berlusconi e Murdoch;
– le frequenze: sono un bene pubblico e non debbono essere assentite gratuitamente alle emittenti; è preferibile disegnare un sistema che affidi la gestione delle frequenze ad operatori di rete indipendenti, che le mettono a disposizione dei fornitori di contenuti, così come avviene negli altri paesi europei; occorre quindi prevedere aste competitive destinate agli operatori di rete puri, che paghino per le frequenze corrispettivi adeguati;
– indipendenza e imparzialità dell’informazione: come in altri contesti europei (in specie, Regno Unito), bisogna stabilire che le concessioni per l’emittenza televisiva non possono essere assentite a soggetti politici o religiosi, né a entità collegate a soggetti politici o religiosi; il nostro paese ha ampiamente sperimentato le distorsioni e il degrado informativi che derivano dal controllo politico delle reti televisive;
– televisione pubblica: il controllo della tv pubblica va sottratto all’interferenza dei governi e del Parlamento, così come indicato dal Consiglio d’Europa e come previsto nelle legislazioni di altri paesi europei e non; la televisione pubblica esplica un servizio nell’interesse dei cittadini, consistente nell’offrire informazioni e idee indipendenti, affidabili e imparziali, e una programmazione di elevato livello qualitativo; questi sono gli obiettivi che giustificano il mantenimento dell’emittenza televisiva pubblica e l’attribuzione alla stessa di risorse adeguate, tramite il canone pagato dai cittadini;
– governance RAI: alla luce del fondamentale principio della tutela dell’indipendenza del servizio pubblico, occorre introdurre regole che traducano concretamente tale obiettivo; ad esempio ponendo il controllo della RAI nelle mani di una fondazione i cui membri siano eletti tramite procedure articolate e trasparenti, sulla base di requisiti di competenza e specchiata onorabilità, su segnalazione tra l’altro di associazioni, sindacati etc., sul modello di quanto avviene nel Regno Unito e in Germania; la fondazione nominerebbe quindi il consiglio di amministrazione della RAI, sempre mediante procedure trasparenti e sulla base di adeguati requisiti personali dei candidati; la qualità e indipendenza dei candidati – e quindi le modalità adottate per le nomine – rappresentano infatti la garanzia fondamentale circa il perseguimento delle finalità del servizio pubblico e l’indipendenza del medesimo; occorre inoltre prevedere il divieto di candidarsi per soggetti in situazione di conflitto d’interessi;
– controllo da parte dei cittadini: vanno istituiti organi che consentano alla Fondazione e al Cda RAI di raccogliere le osservazioni, il gradimento e le critiche dei cittadini utenti del servizio pubblico, quali appositi Consigli dell’Utenza; e va prevista l’effettuazione di periodiche indagini.
2.- Quanto alla definizione dei compiti del servizio pubblico televisivo, si suggerisce il Rapporto pubblicato da UNESCO nel 2011, dal titolo “Public Service Broadcasting: a Comparative Legal Survey” (autore Tony Mendel) nel quale vengono analizzate sia le finalità del Servizio Pubblico nel contesto mondiale sia le soluzioni più efficaci che sono date nei vari Paesi per assicurare un’informazione indipendente di alto livello qualitativo unita a costi sostenibili.
3.- La proprietà della televisione pubblica non può che essere dello Stato, dunque del Tesoro; tuttavia, la sua indipendenza può essere assicurata interponendo tra l’azionista e il consiglio di amministrazione della RAI una Fondazione, i cui membri vengano nominati tramite ampia consultazione e la presentazione di candidature da parte di un’ampia serie di soggetti, tra cui associazioni e sindacati; e prevedendo che i candidati debbano essere in possesso di requisiti che ne garantiscano competenza, indipendenza, onorabilità e assenza di conflitti di interesse.
4.- Come sopra accennato, la separazione tra operatori di rete e fornitori di contenuti – ovviamente non solo in termini societari ma di effettiva titolarità – appare in linea con le scelte effettuate in praticamente tutti gli altri paesei europei.
5.- Le Commissioni parlamentari dovrebbero limitarsi ad essere destinatarie di periodici rapporti, da parte della Fondazione e del consiglio di amministrazione RAI, relativi all’andamento della tv pubblica e al soddisfacimento delle finalità del servizio pubblico, nonchè alla formulazione di suggerimenti in merito. Nel complesso, si tratterebbe di un mutamento radicale rispetto alla situazione oggi delineata dalla Gasparri, secondo cui i membri del cda RAI vengono nominati dal Ministero azionista previo accordo con la Commissione di vigilanza. Nell’ipotesi sopra delineata, i membri del cda RAI verrebbero nominati dalla Fondazione, i cui membri sarebbero a loro volta designati da una pluralità di soggetti, portatori di interessi in varia misura pubblici: enti locali, associazioni, sindacati, Parlamento. La varietà e numerosità dei soggetti coinvolti mira a garantire la complessiva indipendenza dell’organo; l’intero procedimento, i compiti e le responabilità della Fondazione, del cda RAI, del Consiglio degli Utenti devono formare oggetto di adeguata regolamentazione.
Altro tema che deve essere totalmente ripensato riguarda la nomina e i poteri dell’Autorità Garante delle Comunicazioni, oggi terreno di scandalosa lottizzazione politica e, almeno con riguardo al mercato televisivo, esempio preclaro di inefficienza e mancanza di incisività. E’ infatti inutile introdurre una disciplina rigorosa dei limiti antitrust e degli obblighi delle emittenti pubbliche e private, se l’organo chiamato al controllo sul rispetto di tale disciplina non dispone di poteri adeguati a reagire alla relativa violazione e, ancor prima, se è composto di mandatari dei soggetti controllati.