«Spero che il confronto con il Pd prosegua, magari con tempi diversi e su temi diversi. Dicono che siamo il movimento dell’antipoltrona per eccellenza, dover decidere dei nomi era una cosa inedita, ma è stata una bella esperienza», racconta Sandra Bonsanti, presidente di Libertà e Giustizia.
Cosa ha portato alla scelta di Gherardo Colombo e di Benedetta Tobagi?
«Sono persone di indubbio valore e abbiamo sacrificato la cosiddetta esperienza alla discontinuità rispetto agli anni che abbiamo alle spalle».
È stata sacrificata la competenza sulla Rai? Qualcuno lo dice.
«No, competenza e esperienza sono due cose diverse. Colombo e Tobagi sono persone competenti, non specificatamente su questioni interne alla tv, ma lo sono nel settore dell’informazione, sulle regole, sulla libertà d’informazione, su cose che vorremmo vedere ripristinate nella Rai del futuro. Del resto mi sembra che tanti esperti di questioni interne alla Rai in passato abbiano contribuito a creare quella cappa che l’ha oppressa».
Per scelte politiche?
«Per certe incrostazioni del potere, per abitudini, ora ci vuole un po’ di freschezza».
È stato difficile scegliere due nomi, ci sono state discussioni, scontri tra le associazioni?
«No, è stata una discussione serena, nessuno scontro. Certo c’era un’autentica ricchezza di candidature valide, anche tante donne del Pd. E tante persone che in questi anni hanno lavorato sulla Rai, un lavoro prezioso che sarà utile anche a Tobagi e a Colombo. Sul nome dell’ex pm, proposto da Libera, siamo stati subito tutti d’accordo, anche su Benedetta, che faceva parte comunque della rosa proposta dalle donne di “Se non ora quando?”. Loro hanno fatto una scelta diversa, ma è comprensibile, sono un movimento trasversale e hanno scelto di rivolgersi alle istituzioni. Però è bello che abbiano firmato il documento con tutti noì».
Cosa si aspetta che accada in Rai?
«Ci sono problemi immensi, ma le priorità è che ci siano dei telegiornali che rispecchino la realtà, l’Italia vera. E che rientrino i tanti, giornalisti, conduttori, che sono stati mandati via per motivi politici in questi anni. Non faccio nomi, parlo anche di chi è stato chiuso in una stanza senza lavorare. Insomma, che sia una Rai dei cittadini e per i cittadini».
Antonio Di Pietro critica il metodo e parla di nuova lottizzazione.
«Ma quale lottizzazione. Noi siamo tutti autonomi dai partiti e comunque il gesto di Bersani è stato coraggioso».
È quella che chiama la “discontinuità”?
«Sì, discontinuità rispetto alla spartizione partitica, non ci sono state trattative tra noi. Ognuno ha sacrificato qualcosa per un ragionamento politico in nome dell’unità e per tenere in vita l’energia della società civile, che è utile in questo momento drammatico. Non c’è contrapposizione tra noi e i partiti. E ‘società civile‘ è chi esercita una cittadinanza attiva, non chiunque: uno come Calearo non lo è, è frutto della cattiva politica».
Il Forum dei cattolici si è sentito escluso…
«Ma perché? Libera è stata inventata da un prete amico mio che si chiama Don Ciotti, Colombo ha una fede profonda, non ci sono divisioni tra laici e cattolici nelle associazioni».
Lei aveva detto subito che da Bersani era arrivato un “segnale concreto”. Continuerà questo rapporto?
«Certo, già il 29 incontreremo Bersani a Milano per l’iniziativa con Zagrebelsky. Si parlerà di politica e antipolitica. Questo momento, nel rispetto della Commissione di Vigilanza, non esaurisce il rapporto tra il Pd e la società civile, ognuno con le proprie prerogative, è un inizio».
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