Nessuna emergenza costituzionale anche con il “governo dei tecnici”

15 Dicembre 2011

Il presidente emerito della Corte Costituzionale, che siede anche nel Consiglio di presidenza di LeG, risponde a Ernesto Galli della Loggia che sul Corriere del 12 dicembre evoca il fantasma di uno «stato di eccezione» che investirebbe la Costituzione e il suo funzionamento

L’editoriale di Ernesto Galli della Loggia sul Corriere del 12 dicembre evoca il fantasma di uno «stato di eccezione» che investirebbe la Costituzione e il suo funzionamento. Certo, viviamo un momento per tanti aspetti «eccezionale». È anche «eccezionale» il modo in cui si è risolta la crisi politica, con il Governo cosiddetto dei «tecnici» appoggiato da una inedita maggioranza di «grande coalizione» all’italiana (ma le grandi coalizioni sono strumenti utili in certe circostanze).
Basta questo per parlare di stato di eccezione costituzionale? Non è infrequente che le Costituzioni contemplino la possibilità che sia proclamato uno stato di emergenza, che può tradursi nella sospensione di garanzie costituzionali e nel trasferimento legale di poteri tra organi dello Stato, per lo più a favore di organi dell’esecutivo. Per esempio la Costituzione francese, all’articolo 16, prevede poteri straordinari del presidente della Repubblica in casi di gravi minacce alle istituzioni, alla indipendenza nazionale o all’esecuzione di impegni internazionali quando «il regolare funzionamento dei poteri pubblici costituzionali è interrotto». La nostra Costituzione contempla solo la deliberazione dello stato di guerra da parte delle Camere, che in questo caso «conferiscono al Governo i poteri necessari» (articolo 78). Previsioni del genere riguardano comunque ipotesi in cui i normali poteri sono impossibilitati a funzionare ed è in gioco la stessa sopravvivenza dello Stato.
Dove è oggi, in Italia, la sospensione delle regole costituzionali e in particolare di quelle sulla formazione del Governo e sui suoi poteri? Il Parlamento continua ad esercitare tutte le sue competenze. Il Governo è stato nominato a seguito delle dimissioni del precedente per lo sfaldamento della sua maggioranza, e ha ottenuto la fiducia delle Camere. Esso esercita i suoi poteri tipici, compreso quello (in passato assai abusato, ma in questo caso non contestabile) di disporre misure urgenti con decreto legge, regolarmente sottoposto alle Camere per la conversione, pena la decadenza. Al più tardi nel 2013, alla scadenza della legislatura, eleggeremo un nuovo Parlamento. Nella primavera prossima, se la Corte costituzionale lo dichiarerà ammissibile, ci sarà il referendum sulla legge elettorale.
Si sottolinea il ruolo particolarmente incisivo esercitato dal Capo dello Stato. Ma sappiamo bene che il presidente di una Repubblica parlamentare, e in particolare della nostra Repubblica, ha un ruolo definito dalla Costituzione in modo alquanto elastico, e che tuttavia non gli consente mai di sostituirsi a Governo e Parlamento: decide solo su certi atti, e per il resto può solo consigliare, stimolare, ammonire, anche pressare, nell’esercizio del suo «magistero di persuasione e di influenza» e in nome di esigenze che, pur secondo il suo soggettivo apprezzamento, si riconducono all’interesse della «unità nazionale» che egli costituzionalmente rappresenta. Non è mai stata derogata la norma costituzionale per la quale «nessun atto del presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dai Ministri proponenti» (o almeno competenti).
Sappiamo bene anche che questo ruolo può, in costanza delle stesse regole costituzionali, espandersi o ridursi di fatto in relazione alla situazione politica. Quanto più emergono divisioni, incertezze e difficoltà politiche, tanto maggiore sarà lo spazio per la influenza del Capo dello Stato. Quanto più Governo e maggioranza sono determinati e compatti, e il Parlamento è concorde su ciò che unisce, tanto minore sarà tale spazio. Anche l’idea del presidente della Repubblica come «motore di riserva» del sistema allude a questa elasticità di fatto, non ad una sostituzione di esso agli altri organi, secondo l’antica versione del Capo dello Stato come «reggitore dello Stato nelle crisi del sistema». Ne parlava il costituzionalista Carlo Esposito nel 1960, e si riferiva alle ipotesi in cui per il mancato funzionamento dei meccanismi costituzionali spetterebbe, secondo questa tesi, al Capo dello Stato la potestà di «sostituirsi al Parlamento e provvedere con ministri da lui nominati e godenti la sua fiducia» invece di quella del Parlamento.
Di tutto ciò non c’è traccia nell’Italia di oggi; come non c’è traccia di accoglimento della tesi (giustamente criticata da Galli della Loggia), per cui la Costituzione prescriverebbe che la composizione del Governo sia decisa dal Capo dello Stato: i Ministri sono sì nominati dal presidente, ma «su proposta» del presidente del Consiglio, e con atti da lui controfirmati. Non si può confondere l’influenza esercitata con i poteri costituzionali.
In realtà il gran parlare di emergenza, in questo campo, può solo incoraggiare l’aspirazione a superare il sistema parlamentare, in vista di un assetto nel quale gran parte dei poteri si concentrino in un capo dell’esecutivo scelto direttamente dagli elettori: concezione non nuova, ma «povera», della democrazia, lontana dal suo più genuino significato di autogoverno di una società pluralista.

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