L’abuso di potere /12

11 Novembre 2010

Il pubblico ministero dei minori, di turno nella notte tra il 27 e il 28 maggio, non ha intenzione di accettare la verità raffazzonata dal questore, dal ministro dell’Interno, dalla procura della Repubblica di Milano. Questa “verità ufficiale” la si può dire con le parole di Roberto Maroni: la giovanissima amica di Silvio Berlusconi, Karima El Mahroug, “Ruby”, 17 anni, accusata di furto, priva di documenti, in fuga dalla famiglia e scappata da una comunità, viene affidata – come ripetutamente pretende il capo del governo quella notte – a Nicole Minetti, una persona di sua fiducia.

Per tre ragioni. Le illustra il ministro dell’Interno in Parlamento. 1. “Il funzionario di turno alla centrale operativa accerta che non vi sono posti disponibili nelle comunità della zona”. 2. Nicole Minetti “riferisce di conoscere la ragazza e assicura la propria disponibilità a prendersene cura”. 3. Il verbale di affidamento è redatto “sulla base delle indicazioni del pubblico ministero di turno presso il tribunale dei minorenni”.

Di questa “verità” ufficiale già si sono potute apprezzare le contraddizioni. Non è vero che non ci sono posti disponibili nelle “comunità della zona” (ce ne sono in quattro comunità). Non è vero che la Minetti conosca la ragazza (Nicole lo confessa). Non è vero che voglia prendersene cura (una volta ottenuto l’affido, Nicole lascia in strada Ruby in compagnia di una prostituta brasiliana, Michelle, intima del premier al punto da averne il numero di telefono privato).

Ora a questo tableau già danneggiato si aggiunge una mossa ufficiale che può comprometterlo definitivamente. Il pubblico ministero dei minori intende rivolgersi al Csm per ripristinare “il rispetto della legalità e delle istituzioni” perché – dice Anna Maria Fiorillo, il magistrato di turno la notte del 27 maggio – “le parole del ministro Maroni, che sembrano in accordo con quelle del procuratore Bruti Liberati, non corrispondono a quella che è la mia diretta e personale conoscenza del caso”. Detto in chiaro, il pubblico ministero non autorizza l’affido di Ruby, l’amica minorenne di Berlusconi, all’altra sua amica, Nicole. Al contrario, ordina che la ragazza trascorra la notte in questura nel caso in cui non ci siano a Milano comunità disponibili ad accoglierla.

Si può dire dunque che il colpo di spugna che si è voluto dare agli interrogativi sulle condotte dei funzionari della questura di Milano, come frutto avvelenato dell’abuso di potere di Berlusconi, è stato quanto meno prematuro. La fretta ha fatto i gattini ciechi e ora tutte le questioni controverse riemergono lasciando in fuorigioco il quietismo istituzionale della procura di Milano; un’imprudente sfida del ministro dell’Interno; la manipolazione dei corifei del Cavaliere. E quel che più conta: lascia emergere con evidenza una menzogna di Berlusconi e del suo avvocato, Niccolò Ghedini.

Sorprende e non poco, il 2 novembre, il procuratore della Repubblica di Milano Edmondo Bruti Liberati quando conclude che “procedure di affidamento della minorenne sono state correttamente eseguite e non sono previsti ulteriori accertamenti sul punto”. Poche parole per chiudere un capitolo della storia. È un risultato che rende compatibile l’incompatibile. Come conciliare le dichiarazioni del funzionario della questura (l’affido fu autorizzato dal pm) con le parole del pubblico ministero (non ho mai autorizzato quell’affido)? Ignorare quest’opposizione stupisce anche perché Bruti Liberati fa sapere che “non sarà sentita il procuratore dei minori Anna Maria Fiorillo” mentre la funzionaria di polizia lo è stata. Perché non ascoltare anche il magistrato?

Il disequilibrio rende ancor più precaria la soluzione accomodata, anche se incautamente sulle poche parole del procuratore saltano il ministro dell’Interno e i ventriloqui del capo del governo. “Dopo le parole di Bruti Liberati, la bolla mediatica costruita intorno al ‘caso Ruby’ comincia a sgonfiarsi”, strepitano subito i portavoce del Cavaliere, stretto dall’urgenza di uscire dall’angolo in cui si è cacciato da solo con quella pressione indebita sui funzionari della questura. Sfoggia un’aggressività non usuale (è un uomo pacatissimo) anche Roberto Maroni. “Oggi – dice – c’è l’autorevole conferma della Procura che la questura di Milano ha agito correttamente. Prima si accerterà la verità sul caso Ruby, poi si procederà contro chi ha gettato fango, come Repubblica, a tutela della credibilità e del buon nome della polizia”.

Naturalmente – in questo caso – il buon nome della polizia non è mai stato in discussione e Repubblica ha soltanto dato conto delle pressioni abusive del capo del governo, di testimonianze in contraddizione, di verità incoerenti; insomma di una storia che, quietismi a parte, ha già molti punti fermi. Uno soprattutto: la menzogna del presidente del Consiglio. Berlusconi in affanno sostiene di non sapere quasi nulla di Ruby. Non sa che è minorenne. Non sa dove è nata. Quindi, non può aver detto che “è la nipote di Mubarak”. Il Cavaliere dice al Giornale: “Non ho mai detto che fosse la nipote di Mubarak. Era lei che aveva raccontato di essere egiziana e di avere una parentela con Mubarak”. Raccontato a chi? A Silvio nei loro incontri di febbraio/marzo o, quella notte, ai poliziotti in questura? A sciogliere il dubbio provvede Niccolò Ghedini. Nello studio di Annozero sostiene: “Fu la ragazza a dire ai poliziotti di essere la nipote del presidente egiziano”. È un racconto che il ministro dell’Interno si incarica di smentire.

Nel suo resoconto in Parlamento, così Maroni ricostruisce la questione: “Il presidente Berlusconi chiede informazioni in merito all’accompagnamento presso la questura di una ragazza di origine nordafricana, che gli sarebbe stata in precedenza segnalata come parente del presidente egiziano Mubarak”. Ci sono ancora da chiarire le responsabilità penali in quest’affare, ma una responsabilità politica è stata già accertata. Per tutti i protagonisti della vicenda, dal funzionario di turno in questura al ministro, quella notte, il capo del governo ha abusato del suo potere e ha mentito sapendo di mentire.

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