Onida, lezione sulla Costituzione

07 Giugno 2010

Non è la Costituzione ad essere colpevole dei difetti di funzionamento della democrazia, è la politica che non riesce a ragionare al di fuori delle sue convenienze. Una per una, Valerio Onida smonta le accuse che la retorica dei partiti rivolge alla Carta

Non è la Costituzione ad essere colpevole dei difetti di funzionamento della democrazia, è la politica che non riesce a ragionare al di fuori delle sue convenienze. Una per una, Valerio Onida smonta le accuse che la retorica dei partiti rivolge alla Carta. Il presidente emerito della Consulta ha parlato lunedì 7 giugno nella sala del Mappamondo della Camera, per l’ultima di una serie di conferenze organizzate dall’associazione stampa parlamentare e dedicate alla formazione dei giovani giornalisti. Ed ha affrontato senza perifrasi i temi più roventi del momento. Ecco la sintesi del suo discorso.

Quella tra Costituzione formale e Costituzione sostanziale è una contrapposizione infondata. La Costituzione ha un certo grado di elasticità, contiene regole generali e principi la cui applicazione può avvenire in modi diversi. Spesso quando si parla di “Costituzione di fatto” si vuole coprire delle vere e proprie violazioni delle norme costituzionali. Quando si parla di cambiare la Costituzione bisogna porsi tre domande: a quali inconvenienti vogliamo porre rimedio? Questi inconvenienti sono riconducibili alle regole o riguardano i modi per attuarle? Le modifiche proposte migliorano davvero la situazione?

Il punto è che una buona Costituzione deve essere elastica, così da consentire al sistema politico di dispiegare le sue potenzialità. Il sistema scelto dai costituenti è flessibile ed ha un solo punto fermo: il governo deve avere la fiducia del Parlamento. Per il resto consente tutto. Oggi abbiamo un governo più stabile e legislature che arrivano alla scadenza naturale, quando in passato i governi cadevano spesso e molte legislature si concludevano prematuramente. Ma la Costituzione non è cambiata: quello che è cambiato è il contesto politico.

Il sistema parlamentare funziona bene, ed è quello che meglio si adatta al coordinamento dell’attività di governo con l’attività legislativa. Una certa prevalenza dell’attività legislativa del governo su quella parlamentare è fisiologica, come è fisiologico l’uso della fiducia. Tuttavia ogni sistema istituzionale si regge si un meccanismo di equilibri: la capacità deliberativa del Parlamento deve essere mantenuta, la continuità tra maggioranza parlamentare e governo non deve significare annullamento di ogni potere legislativo delle Camere. E se capita che la maggioranza parlamentare non sia sempre coincidente con l’opinione del governo, bisogna dire che questo è fisiologico, altrimenti il Parlamento diventa inutile, ed avrebbe ragione chi dice che basterebbe far votare i capigruppo invece di convocare l’intera assemblea.

Il Parlamento, inoltre, è il luogo di incontro e confronto, non solo di scontro, tra maggioranza e opposizione. Può esserci un eccesso di confronto, quello che fu definito consociativismo? Sì, ma questo significa che il governo ha una posizione debole e ondivaga. Al momento c’è un eccesso di scontro, perché l’opposizione e il governo si ritengono in dovere di dirsi sempre di no. C’è la mitologia del bipolarismo, come se si dovesse pensare più al numero dei poli che alla loro qualità.

E poi: in Parlamento possono essere trattati argomenti estranei all’agenda di governo? La risposta è sì, e l’esempio principe è quello del divorzio. Certo, non possono esserci solo quelli, perché il governo ha diritto di avere tempi certi per le sue leggi. Ma pretendere il monolitismo è patologico. Il sistema parlamentare è rappresentativo e perciò non può essere monocratico.

Tutto questo deriva dalla mitologia attuale che dipinge un governo con pochi poteri e un presidente del Consiglio addirittura inerme. Ma si tratta di un falso mito: il governo è un organo collegiale dove c’è una guida monocratica, il presidente del Consiglio, che non è un primus inter pares, perché dirige ed ha la responsabilità della politica del governo. Ma quando si legifera quasi solo per decreto, che entra in vigore prima che il Parlamento lo veda, come si può sostenere una simile tesi? Il governo dovrebbe essere consapevole che l’approvazione del Parlamento non può essere a scatola chiusa, e invece tenta di ottenere proprio questo, abusando dei decreti e dei maxiemendamenti, prassi che viola la Costituzione. Lamenta le lungaggini del bicameralismo perfetto dimenticando che alcune leggi sono state approvate a tempo di record. Il presidente del Consiglio si dichiara debole? Semmai è la collegialità del governo a soffrire quando una Finanziaria viene approvata in nove minuti e mezzo. E chi l’ha detto che non può rimuovere un ministro che dissenta dall’intera linea del governo? Può avocare al Consiglio dei ministri ogni argomento che, pur di competenza di un singolo dicastero, interessi il programma di governo, può far votare tutto il Consiglio contro il ministro ribelle e, secondo molti giuristi, dopo quel voto può sostituirlo. Dov’è la debolezza?

In questo contesto, il nostro sistema tende a diventare monistico, con governo e Parlamento che coincidono. E perciò diventano essenziali gli organi di garanzia, che invece si tenta di screditare. Così si accusa la Corte Costituzionale di essere a maggioranza di sinistra, cosa che non sta né in cielo né in terra. E si attacca la magistratura: i vizi dei magistrati sono tanti, ma la maggiore difficoltà ad affrontarli sta proprio in questo clima di guerra frontale.

Tutto questo conduce a una situazione pericolosissima per le funzioni di unità, senza le quali nessun ordinamento sopravvive, e che sono appunto la Consulta, la magistratura, e soprattutto il capo dello Stato. E che cosa significa il presidenzialismo se non abolire la presidenza della Repubblica e la sua fondamentale funzione?

Fin qui la sintesi della conferenza. Alla fine, rispondendo ad alcune domande, Onida ha toccato due temi di stretta attualità. Il primo riguarda la permanenza del neogovernatore del Piemonte Cota nel suo seggio di parlamentare nonostante l’incompatibilità: “Sono sicuro che sa di essere incompatibile perché ha letto la Costituzione. Ma allora come fa a dire di aspettare il verdetto della giunta delle elezioni della Camera? E’ come affermare: sono incompatibile ma aspetto che me lo dicano. Inaccettabile”. Il secondo tema riguarda la ventilata riforma dell’articolo 41 della Costituzione per agevolare la nascita delle piccole imprese: “Mi sembra un diversivo. Cosa c’entra lo sfoltimento delle regole e della burocrazia con l’equilibrio costituzionale, secondo il quale l’impresa è libera ma non può svolgersi contro l’utilità sociale, la dignità umana, e così via? Si vuole forse dire che può? Non credo, ma allora la realtà è che, poiché affrontare la selva delle regole è complicato, si preferisce volgere altrove l’attenzione. Se davvero si volesse intaccare l’equilibrio costituzionale tra impresa e utilità sociale, sarebbe un attacco alla Costituzione nel suo complesso. Conoscendo Tremonti, mi sembra difficile che voglia questo. Perciò preferisco interpretare la mossa come un diversivo”.

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