Fare democrazia

07 Novembre 2009

Siamo venuti qui oggi a scegliere insieme la strada che percorreremo nei prossimi tempi: mesi, anni? Chi può dirlo, anche il concetto di tempo ci sembra sottratto alle normali certezze che ci hanno accompagnato per lunghi tratti della nostra vita: oggi a scandirlo sono improvvise, irruenti emergenze, e non è sempre facile giudicarne la gravità e le possibili conseguenze.Conosciamo un presente inquietante ed è in questo tempo che Libertà e Giustizia cerca oggi il suo ruolo, il suo orizzonte. “Fare democrazia” è il titolo che abbiamo scelto per questo nostro incontro perché sentiamo con forza che il momento delle parole, della volontà di impegnarsi domani, delle belle frasi fatte è esaurito. La società civile se vuole essere, cioè se vuole essere società e civile, deve fare, deve esserci, in questo tempo.E’ oggi che deve crescere e moltiplicarsi.Non ci sono più rendite di cui usufruire, non padri della patria a cui affidare il compito, non più fondamenta certe e per tutti. E’ a rischio la tenuta dello Stato, insieme all’unità del nostro Paese, e siamo di fronte, come sintetizza Gustavo Zagrebelsky, a un “processo di progressiva distruzione delle istituzioni”.Dunque il nostro destino di Repubblica democratica è nelle nostre mani. A ciascuno di noi è affidato un pezzo di libertà, di giustizia, di diritti civili. A ciascuno gli articoli della prima e della seconda parte della Costituzione.Ho sempre pensato che nel 1947, quando scrivevano il secondo comma dell’articolo 4 (quello che nel primo prevede che la Repubblica riconosce a tutti il diritto al lavoro), i costituenti avessero in mente noi, cittadini della società civile.

“Ogni cittadino ha il dovere di svolgere secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale delle società”. Ma quanto spesso ci ricordiamo di queste parole semplici e definitive? Perché quell’articolo è citato soltanto, sempre, nella prima parte? La risposta non è facile. E parlare solo di regole e doveri, oggi, senza renderli vivi, senza dar loro una voce di credibilità e di passione, rischia di trasformarsi in un esercizio retorico, che allontana invece di convincere le giovani generazioni. Ma è da questo dovere, che ha in sé l’energia rivoluzionaria di Mazzini, e da questa certezza che possiamo ripartire per cambiare il mondo. Fare democrazia: le scelte che faremo tra oggi e domani non possono non nascere dall’analisi della situazione odierna, delle finalità che vogliamo raggiungere e degli strumenti con i quali pensiamo di sostenere i nostri obiettivi. Partendo proprio da LeG, dal compito che ci fu affidato nel momento della fondazione e da come abbiamo saputo o non saputo essere all’altezza.1) L’ANALISI: nel febbraio scorso era già tutto chiaro, e il manifesto scritto dal nostro presidente onorario e fatto proprio da più di 200.000 italiani, denunciava l’allarme: “Non vedere è non voler vedere. Non conosciamo gli esiti, ma avvertiamo che la democrazia è in bilico”. Un grido che avrebbe dovuto squarciare davvero l’assopita opposizione politica, oltre che svegliare le coscienze dormienti e far sentire meno soli tanti cittadini disorientati e delusi.

I cittadini hanno risposto, riempiendo le sale e i circoli dove presentavamo il manifesto. I politici non hanno sentito: per mesi e mesi hanno continuato a crogiolarsi nei bizantinismi della costruzione di un partito, un congresso infinito che ha convinto Berlusconi che nel frattempo, in quel grande vuoto di idee e di politica, poteva fare e dire di tutto, e di tutto ha fatto e detto, creando del nostro Paese un caso internazionale, studiato in tutto il mondo, studiato come una peste contagiosa, da tenere alla larga per non rimanerne infettati. Il sogno di onnipotenza del cavaliere si è abbattuto su tutte le istituzioni di controllo, non ne farò qui l’elenco che abbiamo documentato giorno dopo giorno col lavoro di Olga, che è oggi la testimonianza più preziosa dell’assalto alla Costituzione da parte del presidente del Consiglio. Già nel manifesto erano elencate alcune aree di impegno per noi: Costituzione, legalità, rinnovamento della classe dirigente, laicità senza aggettivi, promozione del pensiero critico. Temi immensi, ma non troppo grandi per una associazione come la nostra che, quando nacque, nel 2002 aveva come missione soprattutto il fine di creare un anello di raccordo fra la società civile e i partiti. E’ stata in questi anni la nostra missione. Critici della politica, ma non contro la politica. Impietosi spesso nei confronti dei partiti di opposizione, ma sempre attenti a incalzarli per farli esser diversi e non a picconarli per farne a meno o sostituirsi ad essi.

E l’assoluta autonomia di LeG da qualunque lobby politica o economica è il patrimonio che sono orgogliosa di consegnare a tutti voi , soci vecchi e nuovi, amici di Libertà e Giustizia che ci conoscete direttamente o anche esclusivamente via web. I nostri errori sono i nostri errori, le nostre virtù sono le nostre virtù. Non abbiamo potere da distribuire, ma solo voglia di contare per riportare civiltà e senso dello Stato nel nostro Paese.2) FARE DEMOCRAZIA, partendo dunque da cos’è oggi Libertà e Giustizia. Una delle poche associazioni di cultura politica che non sia legata, come le tante fondazioni sorte negli ultimi tempi, a correnti politiche, a un politico, a un parlamentare. 2300 i soci regolarmente iscritti, una trentina i circoli, appassionatamente seguiti da Costanza, un consiglio di direzione rinnovato nel , presieduto da Stefano Pareglio, un consiglio di presidenza e un presidente scaduto, un presidente onorario da noi eletto nel maggio del 2008. I garanti sono quelli del 2002 e, con Simona Peverelli e Elisabetta Rubini, li abbiamo incontrati recentemente a Milano per confrontare giudizi ed ottenere consigli. Le scuole presiedute da Salvatore Veca sono il nostro grande vanto: quella di Pavia è alla quarta edizione, splendida è stata quest’anno la prima edizione della scuola toscana, diretta da Paul Ginsborg. Speriamo di proseguire anche la scuola di Reggio Calabria e di Modena, e nuovi progetti ci portano a sperare per Genova. Questa è la parte di investimento per il futuro: tutti parlano di importanza della formazione, noi abbiamo cominciato a farla concretamente.

L’età dei nostri iscritti si abbassa, a Poggibonsi abbiamo avuto molti ragazzi tutti sono diventato amici o soci di LeG e lavoreranno con noi in futuro. Ricordo in particolare Marco Giraudo e gli altri ragazzi di Cuneo, Dario Li Mura di Catania e Lorenzo Pagni, 16 anni, di Pontedera che ci ha definito tutti, professori e studenti, “persone cazzute”. Ma voglio anche salutare Luca Comunello di Bassano del Grappa che lavora con il padre in una cooperativa molto speciale della quale, spero, vi parlerà lui stesso.Dobbiamo creare nuove modalità di iscrizioni, per i giovani che non possono permettersi 25 o 50 euro. 3) BASTA TUTTO QUESTO a fare democrazia?Basta tutto questo in questa fase storica, basta a dare per scontato che LeG c’è ed è viva ed ha un futuro perché ormai non possiamo nemmeno immaginare una società civile senza di noi?No. Non basta. Serve di più: più impegno, più lavoro, più soci.Cari amici, LeG deve imparare ad aprirsi, a scrollarsi di dosso questa fama di elitarismo che noi sappiamo essere falsa, ma che dobbiamo cancellare anche nell’immagine esterna.Quindi, dopo Fare Democrazia è apertura la raccomandazione che mi sento di rivolgere a questa assemblea, un tema che ho visto essere sottolineato anche nei documenti del circolo di Genova. Non veniamo dal nulla: l’esperienza dei comitati per il NO al referendum del 2006 è un patrimonio nostro, l’idea stessa del coordinamento che poi vide insieme tutte le forze poltiche democratiche e i sindacati in quella indimenticabile esperienza sotto la guida di Oscar Luigi Scalfaro, nacque da noi.

Oggi nessuno è più sufficiente da solo a contrastare la deriva democratica, come nei momenti importanti dobbiamo cercare un collegamento serio e concreto con altri movimenti e associazioni, come noi autonomi, come noi impegnati nelle mille sfide per i diritti umani. Una vera e propria MoveOn capace di raccogliere nello spirito di Libertà e Giustizia le mille energie della società civile. Troveremo insieme nel corso del nostro dibattito i modi e i mezzi per aprirci e inventare nuove forme di democrazia attiva che pesino sulle scelte della collettività, in una fase così drammatica dal punto di vista del lavoro, dei giovani, della istituzioni.4) Aprirsi, da soli, non ce la faremmo senza il WEB, è il web la nuova piazza politica, i “social network sono un’arma potente per l’informazione e l’educazione, sono uno strumento civico” ha detto qualche giorno fa Trevor Fitzgibbon uno degli attivisti più importanti di MoveOn , il movimento americano che oggi ha più di 5 milioni di iscritti e ha contribuito massicciamente all’elezione di Obama. Uno dei nostri soci fondatori ha voluto offrirci la possibilità di far fare un progetto a una società specializzata nella diffusione di contenuti nella rete. Gli siamo grati, sarà Olga Piscitelli che ha il compito di seguire il progetto, a spiegarvi rapidamente gli estremi di questa avventura: ma vi dico subito che non potremo affrontarla se non contando su di voi e su quanti nei circoli saranno interessati a partecipare.

Questi soci vanno individuati per tempo e per tempo dovremo abituarci a pensare e a produrre i contenuti con i quali LeG vuole sbarcare nel grande universo dei social network. Non sarei sincera fino in fondo se non vi dicessi che alla riuscita di questo progetto è affidato molto del nostro futuro: ma saranno le vostre idee, i vostri giudizi, le vostre proposte a stabilire se ce la faremo. Se non riusciamo a farci sentire nei giornali, dovremo farci sentire nel web. La sfida è quella di riuscire a coniugare web e territorio, web e circoli che si incontrano e discutono, vecchie e nuove generazioni, vecchie e nuove esigenze. Il nostro mondo, lo sapete, è diviso. Noi sappiamo da che parte stiamo, ma lo sanno anche gli altri. La nostra voce è sgradita a molti, l’autonomia mal sopportata.5) Ed ora, l’ultimo punto. Cosa vuol dire oggi FARE DEMOCRAZIA? Cosa, in concreto dobbiamo fare oltre quello che già facciamo, circoli, incontri, dibattiti, prese di posizione, presidi , manifesti, raccolte firme, scuole ecc. su quali temi concentrarci, dal momento che tutto è messo in discussione, tutto traballa, Berlusconi dopo 15 anni è ancora lì, pronto a sferrare l’ultimo attacco alla magistratura, alla libertà di stampa, al Parlamento, alla Corte, al Quirinale? In questo momento posso solo elencare alcune priorità assolute, anche sulla scia di cose pensate e scritte da studiosi, storici, costituzionalisti a noi vicini. Michele Ainis, ad esempio, individua un decalogo di cose cui mettere mano subito: disarmare le lobby (disciplinando la libertà di associazione); rompere l’oligarchia di partiti e sindacati con leggi che ne disciplinino la democrazia interna; dare voce alle minoranze; garantire l’equità dei concorsi; neutralizzare i conflitti di interesse; favorire il ricambio della classe dirigente; impedire il governo degli inetti e promuovere il controllo democratico introducendo la revoca degli eletti (il recall o sfiducia).

Scrive Ainis: “Se almeno un punto di questo decalogo ti sembra convincente, datti da fare, non restartene con le mani in mano. Trasformalo in una proposta di legge popolare, in referendum, in petizione collettiva…e poi guardati attorno, ci sarà pure qualcun altro che rifiuta l’ingiustizia. Ah, sì, la società civile. Se ci sei ancora, batti un colpo”.Non possiamo delegare ad altri il compito di battere un colpo, di rifare l’Italia, di coltivare i diritti e la Costituzione, la Libertà e la Giustizia. Sarebbe bello avere STRUMENTI già pronti e serviti e invece ogni volta dobbiamo inventarli, studiarli, sperimentarli. Non sono buoni una volta per tutte. Abbiamo bisogno di saper stare in piazza e di saper fare comunicati e appell, saper mobilitare, protestare, chiamare i parlamentari, farci sentire. Dobbiamo imparare a fare proposte di legge e poi raccogliere le firme. Fare democrazia è fatica, è un lavoro vero e non basta una firma o un appello a fare partecipazione.Credo, ad esempio, che la nostra mobilitazione per il rafforzamento degli organismi di controllo debba essere assoluta, se è vero che rischiamo la fine del costituzionalismo a favore di un populismo strisciante e contagioso. Dobbiamo lavorare per la separazione della politica dalla gestione delle risorse pubbliche, pretendere che le cariche elettive siano legate al territorio di residenza e che i partiti siano davvero rifondati a partire proprio dal territorio.Dobbiamo esigere che la questione morale significhi concretamente almeno due cose.

a) predisposizione di meccanismi adeguati alla selezione del personale dei partiti e al controllo del loro apparato (Carlo Federico Grosso); b) non si aspettano tre gradi di giudizio: chi è condannato in primo grado è ancora innocente ma non deve fare politica. Si tratta, in sostanza, di fissare un livello di responsabilità politica che viene prima della responsabilità giudiziaria.La riforma berlusconiana della giustizia, la libertà d’informazione, la dignità del Parlamento, la richiesta-pretesa di una nuova legge elettorale, ci terranno senza dubbio impegnati nei prossimi tempi e dovremo servirci di tutti gli strumenti che abbiamo già citato. Credo infine che dovremo chiedere all’opposizione di essere forte, semplice, trasparente e intransigente sui principi. Come dice ancora una volta Zagrebelsky: “Non si può barattare un principio con una presunta utilità”. Credo che dovremo sostenere una buona politica, che si preoccupi dei posti di lavoro per tutti perché questo è soprattutto fare giustizia, fare democrazia. La dignità della persona comincia da lì, dalla possibilità di ognuno di dire quella parola, futuro, senza che il suo sguardo si perda a fissare nel vuoto. E dobbiamo insistere e moltiplicare le scuole: un giorno Berlusconi non governerà più ma le macerie lasciate da lui e da chi non ha saputo o voluto contrastarlo con la fermezza della ragione e della coscienza, resteranno attorno e dentro di noi a lungo.Finita la guerra, fu immediato l’inizio della ricostruzione, del ritorno alla vita.

Ma qui avremo alle nostre spalle non atti di eroismo, non spinte ideali, ma una melma, palude, indifferenza, opportunismo.So che molte cose non ho citato, ma questa mia è soltanto una introduzione alle nostre giornate. Apertura, autonomia, web, ricerca e valorizzazione degli strumenti indispensabili a fare democrazia e tutto il resto che voi avete pensato e di cui faremo tesoro.C’è, nelle Supplici di Euripide, la più semplice e forte critica alla tirannia: “… un uomo solo governa e la legge è cosa sua, egli la considera un fatto suo, dunque non vi è più uguaglianza”.E c’è sul mio tavolo di lavoro il messaggio che Giovanni mi ha lasciato. Non so leggerlo senza rivederlo nella sala del caminetto del collegio Ghisleri, dove fra gli applausi dei ragazzi disse le sue ultime parole. “In Italia la libertà è abbastanza vecchia per essere dimenticata e troppo giovane per essere forte”. Grazie della forza che ancora oggi ci dai.Discorso letto al convegno Fare democrazia, Palazzo Ducale di Genova, 7 novembre 2009

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