Metti una sera a cena con i giudici

01 Luglio 2009

Il governo spieghi // Sì, la “cena galeotta, carbonara e piduista” (espressioni usate da Antonio Di Pietro nel question time di questo pomeriggio) c’è stata, eccome. E con tutti i commensali citati nelle rivelazioni dell’Espresso: l’inquisito presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, il ministro della Giustizia Angelino Alfano (da cui ha preso il nome il lodo-scudo che protegge il Cavaliere da ogni procedimento giudiziario), il sottosegretario alla presidenza Gianni Letta, il presidente della commissione Affari Costituzionali del Senato Carlo Vizzini e, soprattutto, i due giudici costituzionali Luigi Mazzella (che aveva promosso e ospitato la cena a casa sua) e Paolo Maria Napoletano, altro graditissimo ospite. Anzi (grave omissione dell’Espresso) “c’erano anche la Signore di alcuni invitati” !
Lo ha ammesso con studiata disinvoltura (e “solo dopo che la tresca è stata scoperta”) il ministro per i rapporti con il Parlamento, Elio Vito, rispondendo alla Camera alla prima delle numerose interrogazioni e interpellanze che l’opposizione ha rivolto al governo per sapere se la cena si fosse effettivamente svolta e per conoscerne gli argomenti, dal momento che giusto fra tre mesi la Corte costituzionale dovrà esprimersi sulla costituzionalità del lodo Alfano sulla base di tre eccezioni. Sono quelle della prima sezione del tribunale di Milano (presunte irregolarità nella compravendita di diritti tv da parte di Mediaste con Berlusconi tra gli imputati), della decima sezione dello stesso tribunale (per il procedimento che ha già portato alla condanna a quattro anni e mezzo dell’avvocato Mills, coimputato di Berlusconi) e del Gip di Roma, nell’ambito del procedimento che vede ancora e sempre indagato il presidente del Consiglio per istigazione alla corruzione di alcuni senatori eletti all’estero nella passata legislatura.
“Il governo – ha sostenuto Vito – non ha organizzato alcuna cena, l’iniziativa è stata presa dal giudice Mazzella legato al presidente Berlusconi da antica amicizia.

Nessun sospetto sugli argomenti discussi nel corso della cena”. Dunque, non si sarebbe discusso della sorte del giudizio cui è chiamata la Consulta il 6 ottobre: “Del resto la cena si è svolta a maggio (confermata dunque anche la data, ndr), ben prima che il presidente della Corte fissasse l’udienza sul lodo Alfano”. E men che mai si è parlato della riforma del sistema giudiziario che sarebbe stata ideata dal giudice Mazzella e sottoposta alla valutazione, che si immagina entusiastica, di Berlusconi: “Le riforme, anche in tema di giustizia, spettano solo al Parlamento e al popolo”.
Insomma, aria talmente fritta da suscitare un’irata replica dell’on. Di Pietro: “Non era stata fissata la data della riunione della Corte costituzionale, ma il lodo già c’era, e già c’erano le eccezioni dei giudici. La cena dunque mina la credibilità almeno di quei due giudici e infangato la credibilità della Corte: forse non sapremo mai se una eventuale decisione che vanifichi le eccezioni della magistratura ordinaria sia frutto di questo convivio galeotto”. Di più, per Di Pietro: i giudici Mazzella e Napoletano “devono dimettersi”, e uguale gesto deve compiere il ministro Alfano che, comunque, si è ben guardato dal presentarsi in aula delegando al collega Vito la gatta da pelare in modo così grottesco.
Ma la polemica su questa sconcertante vicenda è ripresa e dilagata anche fuori dell’aula di Montecitorio. Il giudice Mazzella ha sostenuto che lui invita a cena chi gli pare e piace? “Io trovo – ha osservato Anna Finocchiaro, presidente dei senatori Pd – che non stia bene invitare a casa propria qualcuno su cui si è chiamati a decidere: un magistrato, soprattutto se siede alla Corte costituzionale, non dovrebbe mai farlo”.

Apriti cielo! Il vicecapogruppo Pdl al Senato, Gaetano Quagliariello, le ha replicato non solo sostenendo che “è la conferma lampante di una vera e propria caccia all’uomo-Berlusconi” ma addirittura che “il lodo non è un provvedimento su Berlusconi, né la Corte è un tribunale chiamato a pronunciarsi sulla colpevolezza o l’innocenza del presidente del Consiglio”. E’ vero. Ma è anche vero che se per la seconda volta (la prima fu quando nel 2004 la stessa Consulta annullò l’analogo lodo Schifani) la Consulta annullasse questo indecente scudo, il presidente del Consiglio potrebbe essere processato come un qualsiasi cittadino. E mentre il senatore Belisario preannunciava una interpellanza dell’Italia dei Valori anche a Palazzo Madama, a Montecitorio il responsabile Giustizia del Pd, Lanfranco Tenaglia, annunciava di avere presentato uno strumento analogo alla Camera: “Ogni giudice non solo deve essere imparziale ma deve anche apparire tale. Tanto che se un uguale comportamento fosse stato tenuto da un giudice ordinario, egli sarebbe stato sottoposto a procedimento disciplinare in forza – ha voluto sottolineare polemicamente – di una norma approvata su impulso dell’attuale maggioranza di governo”.

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