Una recentissima sentenza della Corte di Giustizia europea riporta in primo piano il nodo della disciplina dell’informazione televisiva in Italia. La decisione riguarda in particolare la situazione di Europa 7 che, pur avendo ottenuto da anni una concessione per l’emittenza televisiva nazionale, non si è mai vista assegnare le frequenze necessarie per trasmettere. Ciò a causa di una serie di proroghe e leggi ad hoc (l’ultima è la legge Gasparri sul sistema televisivo, poi riprodotta nel Testo Unico oggi in vigore) che hanno consentito agli operatori dominanti – Mediaset e RAI – di continuare a fruire di una distribuzione di fatto delle frequenze televisive terrestri in modalità analogica, che le ha fortemente privilegiate ai danni di potenziali nuovi entranti nel mercato tv. Si tratta di uno degli aspetti fondamentali di quel duopolio dell’emittenza televisiva nazionale più volte censurato dalla Corte Costituzionale come contrario all’art.21 della Carta, nonché a livello internazionale in varie sedi e ormai ripetutamente denunciato anche dalle Autorità di regolamentazione della Concorrenza e della Comunicazione a livello nazionale. Il legislatore italiano, ciononostante, non ha saputo o voluto (nel caso delle leggi emanate dal governo Berlusconi) adeguare la legislazione italiana in materia ai principi della tutela del pluralismo e della concorrenza, che sono alla base delle discipline vigenti negli altri Stati membri della UE. Basti ricordare la legge Mammì nel 1990, che ha sancito la posizione di monopolio di Berlusconi nell’emittenza televisiva privata, la legge Meccanico nel 1997, che ha affermato principi poi regolarmente disattesi mediante l’emanazione di leggine e regolamenti in deroga, la legge Gasparri nel 2004, che ha eliminato anche gli ultimi rimasugli di limiti allo strapotere degli operatori dominanti.
Occorre dire infatti – con l’Autorità delle Comunicazioni – che la situazione del mercato televisivo italiano si sostanzia oggi in un duopolio, in cui RAI e Mediaset si spartiscono il mercato; se poi si aggiunge che entrambe sono dominate da soggetti politici, si vede che ben poco spazio rimane per l’interesse del pubblico a fruire di un’informazione libera e autorevole. La causa dinanzi alla Corte di Giustizia ruotava intorno al quesito se l’articolo 49 del Trattato europeo, che vieta gli ostacoli normativi alla libera prestazione dei servizi in ambito comunitario, e le direttive europee sulle comunicazioni elettroniche ostino a che uno Stato membro mantenga in vigore, in materia di trasmissione televisiva, disposizioni tali da impedire ad un operatore (Europa 7) titolare di una concessione di disporre di frequenze assegnate in base a criteri obiettivi, trasparenti e non discriminatori. La conclusione della Corte è che il sistema di “appropriazione” delle frequenze televisive esistente in Italia contrasta con il quadro normativo europeo e deve quindi essere modificato. Di fronte all’inerzia del legislatore nazionale, che come si è visto si protrae dal lontano 1990, negli ultimi anni si è assistito a lodevoli prese di posizione dell’Autorità delle Comunicazioni la quale, con gli strumenti dei quali dispone in base alla legge, cerca di favorire una evoluzione del mercato tv in senso concorrenziale. Tuttavia, la questione della libertà dell’informazione in Italia e del superamento del duopolio televisivo, nonché del relativo asservimento a soggetti direttamente impegnati nell’arena politica, non può essere elusa dal legislatore; non ci si illude che si tratti di questione semplice: si può anzi dire, senza tema di esagerare, che la debolezza del legislatore in questa materia e l’aver assecondato per molti anni il consolidamento del monopolio di Berlusconi nell’emittenza privata sono stati tra i fattori determinanti dell’involuzione civile e politica che constatiamo nel nostro paese.
Sia per il decadimento dell’informazione e della programmazione televisiva, sia per il peso che la conservazione della sua posizione di potere ha avuto ed ha nella “discesa in campo” di Berlusconi e nella sua condotta politica. Tant’è che il governo Prodi è caduto proprio nella fase in cui aveva programmato e messo in calendario l’esame del progetto di legge Gentiloni, di ridisegno dell’emittenza televisiva pubblica e privata. Da qui il rischio che la nuova leadership del centro-sinistra guardi al tema della disciplina del mercato televisivo come ad un tema inaffrontabile, nella attuale congiuntura politica; ci si permetta di suggerire che in realtà i cittadini italiani si aspettano una riforma di civiltà in questo ambito così delicato e sono pronti a comprenderne le ragioni, purchè spiegate con chiarezza e onestà intellettuale. I principi più volte enunciati dalla Corte Costituzionale, dagli organi europei e dall’Autorità delle Comunicazioni devono costituire i punti di riferimento di un progetto di cambiamento che liberi il nostro paese dalla sua attuale condizione di ostaggio di un gravissimo conflitto di interessi, dove il potere politico è utilizzato al servizio del mantenimento di un potere economico dominante. Non si vuole trascurare la miriade di altri problemi che affliggono il paese, né il fatto che tale conflitto è condiviso da tutti gli altri esponenti politici che antepongono il loro tornaconto personale (e quello dei loro amici) all’interesse comune: si vuole però sottolineare che il conflitto di interessi di cui Berlusconi è portatore è – per la sua evidenza, per il danno che arreca all’immagine internazionale dell’Italia, per la sua illegittimità – il primo e il più importante da affrontare.
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