D.D.L costituzionale iniziativa popolare riforma Titolo V

15 Nov 2022

Questo contenuto fa parte di uno speciale Riforme

DISEGNO DI LEGGE COSTITUZIONALE
Modifica dell’articolo 116 comma 3 della Costituzione, concernente il riconoscimento alle Regioni di forme e condizioni particolari di autonomia, e dell’art. 117, commi 1, 2 e 3, con l’introduzione di una clausola di supremazia della legge statale, e lo spostamento di alcune materie di potestà legislativa concorrente alla potestà legislativa esclusiva dello Stato.

La crisi sanitaria, economica e sociale derivante dalla pandemia ha posto in immediata evidenza le intollerabili diseguaglianze, accresciute progressivamente nel tempo e aggravate oggi dalla crisi, nel godimento di diritti fondamentali come la salute, l’istruzione, la mobilità, il lavoro. Si è segnalata da più parti la necessità di rafforzare il ruolo dello Stato a tutela dell’eguaglianza e dei diritti, con la formulazione e implementazione di politiche pubbliche forti finalizzate in ultima analisi a consolidare l’unità del paese. L’urgenza di una iniziativa così indirizzata è in particolare sottolineata dalla necessità di attuare il Piano nazionale di ripresa e resilienza secondo le indicazioni e i tempi dati dall’Europa. Mentre una pericolosa spinta in senso contrario si ricava dalle persistenti richieste di autonomia differenziata avanzate da alcune Regioni.

In questo quadro, la proposta di riforma si volge alla modifica dell’art. 116, comma 3, e dell’art. 117, commi 1, 2 e 3 della Costituzione.

Per l’art. 116, comma 3, alle regioni possono essere attribuite “forme e condizioni particolari” di autonomia.

La modifica intende riportare il riconoscimento dell’autonomia differenziata a una condizione effettivamente diversa e propria del territorio interessato, senza lesione dell’interesse di altre regioni. Si cancella la possibilità di autonomia differenziata oggi prevista nelle materie affidate alla potestà esclusiva dello Stato (art. 117, comma 2, lett. l), n) ed s): giustizia di pace, norme generali sull’istruzione e tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali). Si prevede che possa essere richiesto un referendum nazionale approvativo della legge attributiva dell’autonomia prima della sua entrata in vigore, e un referendum abrogativo successivamente, entrambi oggi preclusi in base al testo vigente e alla giurisprudenza della Corte costituzionale. Si recupera infine flessibilità, cancellando la natura pattizia e lasciando il legislatore statale libero di adeguare le “forme e condizioni particolari” già riconosciute a esigenze diverse e sopravvenute che ne suggeriscano la revisione.

L’obiettivo della modifica proposta è consentire una limitata e giustificata variabilità dell’autonomia regionale, espungendo però gli elementi che la rendono potenzialmente pericolosa per l’unità del paese. Si intende così anche porre un argine alle inaccettabili letture dell’autonomia differenziata che sono alla base delle richieste avanzate in specie da Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna.

L’art. 117, commi 1, 2 e 3 definisce il quadro delle potestà legislative attribuite allo Stato e alle Regioni.

La modifica proposta introduce nel primo comma una clausola di supremazia della legge statale finalizzata alla tutela dell’interesse nazionale e dell’unità giuridica ed economica della Repubblica.

Nei commi 2 e 3 si propone una parziale ridefinizione del catalogo delle potestà legislative. Si segnala in specie nel comma 2 la modifica che affida alla potestà legislativa esclusiva dello Stato la determinazione di livelli “uniformi” e non più “essenziali” delle prestazioni per i diritti civili e sociali. Si riportano in ampia misura alla potestà esclusiva materie come la sanità ed in specie il servizio sanitario nazionale, la scuola e l’istruzione a tutti i livelli, il lavoro e la previdenza, le infrastrutture materiali e immateriali di rilievo nazionale e di valenza strategica. La potestà legislativa concorrente attribuita alle Regioni rimane, ma senza la possibilità di derive che mettano a rischio l’unità e indivisibilità della Repubblica garantite dall’art. 5.

Una modifica che chiaramente imputa al legislatore nazionale il potere, e conseguentemente la responsabilità, di formulare e attuare forti politiche pubbliche, oggi rese necessarie e urgenti dalla crisi sanitaria, economica e sociale derivante dalla pandemia.

L’obiettivo ultimo della riforma che qui si propone è introdurre un più saldo presidio per l’eguaglianza dei diritti in ogni parte del paese, premessa necessaria per una effettiva unità.

Art. 1 – Modifica dell’articolo 116, terzo comma (autonomia differenziata)

L’art. 116, comma 3, della Costituzione è sostituito dal seguente:

“Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui al terzo comma dell’articolo 117 e giustificate dalle specificità del territorio, possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sentiti la regione e gli enti locali interessati, nel rispetto dell’interesse delle altre Regioni e dei principi di cui agli articoli 117 e 119. La legge è sottoposta a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi. La legge promulgata ed entrata in vigore può essere sottoposta a referendum abrogativo secondo le modalità e con gli effetti previsti dalla legge di attuazione dell’articolo 75”.

Art. 2 – Modifica dell’art. 117, primo comma

L’art. 117, primo comma, della Costituzione è sostituito dal seguente:

“La potestà legislativa e` esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento dell’Unione Europea e dagli obblighi internazionali. La legge dello Stato può disporre nelle materie non riservate alla legislazione esclusiva, comprese le materie disciplinate con legge regionale in attuazione dell’art. 116, terzo comma, quando lo richiede la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale. La legge regionale non può in alcun caso porsi in contrasto con l’interesse nazionale”.

Art. 3 – Modifica dell’art. 117, secondo comma (potestà legislativa esclusiva dello Stato)

L’art. 117, secondo comma, della Costituzione è modificato come segue:

1. Nella lettera e), dopo le parole “sistema tributario e contabile dello Stato” sono aggiunte le parole “coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario;”.
2. Nella lettera i) è aggiunta in fine la parola “professioni;”.
3. Le lettere m), n) e o) sono sostituite dalle seguenti:
“m) determinazione dei livelli uniformi delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale; tutela della salute e servizio sanitario nazionale; tutela e sicurezza del lavoro; scuola e università, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e universitarie, ricerca scientifica e tecnologica;
n) reti nazionali e interregionali di trasporto e di navigazione; porti e aeroporti civili di rilievo nazionale e interregionale; reti e ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale e interregionale dell’energia;
o) previdenza sociale, previdenza complementare e integrativa;”

Art. 4 – Modifica dell’art. 117, terzo comma (potestà legislativa concorrente Stato-Regioni).

L’art. 117, terzo comma, è sostituito dal seguente:

“Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a: rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni; commercio con l’estero; assistenza ed edilizia scolastica; istruzione e formazione professionale; sostegno all’innovazione per i settori produttivi; assistenza e organizzazione sanitaria; assistenza sociale; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile a carattere regionale; governo del territorio; porti e aeroporti civili di rilievo regionale e locale; tributi regionali e locali; valorizzazione dei beni culturali e ambientali di rilievo regionale e locale e promozione e organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale. Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato”.

Firmatari

Massimo Villone, emerito di Diritto costituzionale Uni. di Napoli Federico II
Adriano Giannola, presidente SVIMEZ
Eugenio Mazzarella, già docente di Filosofia teoretica Uni. di Napoli Federico II
Gianfranco Viesti, docente di Economia applicata Uni. di Bari
Marco Esposito, giornalista e saggista
Nadia Urbinati, docente di Scienze politiche Columbia University
Franco Gallo, emerito di Diritto tributario Uni. Roma LUISS
Giuseppe Pisauro, già docente di Scienza delle finanze, Uni. di Roma Sapienza
Maurizio De Giovanni, scrittore
Rino Di Meglio, coordinatore nazionale Gilda
Francesco Sinopoli, segretario generale FLC CGIL
Pino Turi, segretario generale UIL scuola
Silvio Gambino, emerito di Diritto pubblico comparato Uni. della Calabria
Marina Calamo Specchia, docente di Diritto costituzionale Uni. di Bari
Mario Dogliani, emerito di Diritto costituzionale Uni. di Torino
Natale Carlo Lauro, emerito di Statistica, Uni. di Napoli Federico II
Roberto Esposito, già docente di Filosofia nella Normale di Pisa
Luigi Ferrajoli, emerito di Filosofia del diritto, Uni. di Roma Tre
Paolo Corsini, già docente di Storia moderna Uni. di Parma
Giovanna De Minico, docente di Diritto costituzionale Uni. di Napoli Federico II
Guido Giarelli docente di Sociologia, Uni. “Magna Graecia” di Catanzaro.
Mauro Volpi, emerito di Diritto costituzionale Uni. di Perugia
Lucio Romano, docente di Bioetica Pontificia Facoltà Teologica Italiana Meridionale
Titti Marrone, giornalista e scrittrice
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Isaia Sales, docente e scrittore
Giuseppe Acocella, già docente di Dottrine politiche Uni. di Napoli Federico II
Maria Carmela Agodi, docente di Sociologia, Uni. di Napoli Federico II
Salvatore M. Aloj, emerito di Patologia molecolare, Uni. di Napoli Federico II
Francesco Barbagallo, emerito di Storia contemporanea, Uni. di Napoli Federico II
Charlie Barnao, docente di Sociologia dei processi culturali, Uni. “Magna Græcia” di Catanzaro
Pasquale Belfiore, già docente di Urbanistica Uni. di Napoli Federico II
Mauro Beschi, Coordinamento per la democrazia costituzionale
Salvatore Biasco, emerito di Economia monetaria internazionale Uni. di Roma La Sapienza
Gennaro Biondi, già docente di Geografia economica Uni. di Napoli Federico II
Giuseppe Bozzi, già docente di Diritto civile Uni. Luiss di Roma
Micol Bronzini, docente di Sociologia dei processi economici e del lavoro, Uni. Politecnica delle Marche
Pietro Massimo Busetta, docente di Statistica economica, Uni. di Palermo
Maria Agostina Cabiddu, docente di Istituzioni di diritto pubblico, Politecnico di Milano
Fulvio Cammarano, docente di Storia contemporanea Uni. di Bologna
Giuseppe Cantillo, emerito di Filosofia morale Uni. di Napoli Federico Ii
Mario Cardano, docente di Sociologia generale, Uni. di Torino
Lorenzo Chieffi, docente di Diritto costituzionale Uni. della Campania Vanvitelli
Elvira Chiosi, già docente di Storia moderna Uni. di Napoli Federico II
Rosanna Cioffi, docente di Storia dell’Arte già prorettore Uni. della Campania Vanvitelli
Ines Ciolli, docente di Diritto costituzionale, Uni. di Roma La Sapienza
Roberto Cogliandro, Notaio
Luigi Colaianni, docente di Sociologia, Uni. di Padova
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Tullio D’Aponte, emerito di Geopolitica economica, Uni. di Napoli Federico II
Francesco Dandolo, docente di Storia economica Uni. di Napoli Federico II
Davide De Caro, docente di Elettronica, Uni. di Napoli Federico II
Claudio De Fiores, docente di Diritto costituzionale Uni. della Campania Vanvitelli
Biagio De Giovanni, emerito di Filosofia del diritto Uni. di Napoli Orientale
Pompea Giuseppina Grazia Del Vecchio, docente di Chimica fisica, Uni. Napoli Federico II
Renata De Lorenzo, Presidente Società Napoletana di Storia Patria
Paola De Vivo, docente di Sociologia dei processi economici e del lavoro, Uni. di Napoli Federico II
Gianni De Simone, già docente di Cardiologia Uni. di Napoli Federico II
Alberto Di Donato, emerito di Biochimica Uni. di Napoli Federico II
Francesco Di Donato, docente di Storia delle istituzioni politiche Uni. di Napoli Federico II
Costanzo Di Girolamo, emerito di Filologia e linguistica romanza, Uni. di Napoli Federico II
Raimondo Di Maio, libraio ed editore Dante&Descartes
Maurizio Esposito, docente di Sociologia generale, Uni. di Cassino e del Lazio Meridionale
Anna Rosa Favretto, docente di Sociologia generale, Uni. di Torino
Roberto Finelli, già docente di Storia della filosofia Università di Roma Tre
Vittoria Fiorelli, docente di Storia moderna, Suor Orsola Benincasa
Domenico Gallo, Coordinamento per la democrazia costituzionale
Massimo Galluppi, già docente di Relazioni internazionali Uni. di Napoli Orientale
Alfonso Gianni, Coordinamento per la democrazia costituzionale
Raffaele Giglio, emerito di Letteratura italiana, Uni. Federico II di Napoli
Alfiero Grandi, Coordinamento per la democrazia costituzionale
Giuseppe R. Gristina, medico. Pontificio Consiglio per la Cultura – Consulta Scientifica
Bruno Jossa, emerito di Economia politica, Uni. di Napoli Federico II
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Giuliano Laccetti, docente di Informatica, Uni. di Napoli Federico II
Marie-Helene Laforest, già docente di Letteratura postcoloniale anglofona Uni. di Napoli Orientale
Clemente Lanzetti, già docente di Sociologia generale, Uni. Cattolica del Sacro Cuore, Milano
Fabrizio Lomonaco, docente di Storia della filosofia, Uni. di Napoli Federico II
Alberto Lucarelli, docente di Diritto costituzionale Uni. di Napoli Federico II
Paolo Macry, emerito di Storia contemporanea, Uni. di Napoli Federico II
Luigi Manconi, già docente di Sociologia dei fenomeni politici IULM di Milano
Silvia Manderino, Coordinamento per la democrazia costituzionale
Rosita Marchese, presidente Accademia belle arti di Napoli
Luigi Mascilli Migliorini, docente di Storia moderna Uni. di Napoli Orientale
Francesco Mazzocca, già docente di Geometria, Uni. della Campania Vanvitelli
Andrea Mazzucchi, docente di Filologia della letteratura italiana Uni. di Napoli Federico II
Guido Melis, già docente di Storia delle Istituzioni Politiche Uni. di Roma La Sapienza
Edmondo Mostacci, docente di Diritto comparato Uni. di Genova
Fabio Murena, docente di Principi di Ingegneria Chimica, Uni. di Napoli Federico II
Aurelio Musi, già docente di Storia moderna Uni. di Salerno
Ida Nicotra, docente di Diritto costituzionale Uni. di Catania
Silvana Nitti, Docente di Storia del cristianesimo e della chiesa Uni. di Napoli Federico II
Francesco Pallante, docente di Diritto costituzionale Uni. di Torino
Anna Papa, docente di Istituzioni di diritto pubblico Uni. di Napoli Partenope
Massimo Pica Ciamarra, architetto, già docente di Progettazione Architettonica Uni. di Napoli Federico II
Antonio Pileggi, Coordinamento per la democrazia costituzionale
Catello Polito, emerito di Genetica Uni. di Napoli Federico II
D.D.L costituzionale iniziativa popolare riforma Titolo V
Franco Rengo, emerito di Medicina geriatrica Uni. di Napoli Federico II
Francesca Rossetti, sociologa clinica, medico, Bologna
Guido Rossi, emerito di Immunopatologia Uni. di Napoli Federico II
Renato Rotondo, Medico, Napoli
Mario Rusciano, emerito Diritto del lavoro Uni. di Napoli Federico II
Fiammetta Salmoni, docente di Istituzioni di diritto pubblico, Uni. Guglielmo Marconi
Franco Salvatore, emerito di Biochimica clinica e biologia molecolare clinica Uni. di Napoli Federico II e Membro dell’Accademia delle Scienze (detta dei XL) di Roma
Cesare Salvi, già docente di Diritto civile Uni. di Perugia
Aldo Schiavone, già docente di Diritto romano presso la Normale di Pisa
Antonella Sciortino, docente di Diritto Costituzionale Uni. di Palermo
Adolfo Scotto di Luzio, docente di Pedagogia Uni. di Bologna
Luigi Maria Sicca, docente di Economia Uni. di Napoli Federico II
Alessandro Somma, docente di Diritto comparato, Uni di Roma La Sapienza
Elena Spina, docente di Sociologia dei processi economici e del lavoro, Uni. Politecnica delle Marche
Giulio Starita, docente di Fisica Matematica, Uni. della Campania Vanvitelli
Franco Toniolo, già Direttore Generale Assessorati Sanità e Sociale Regione Veneto e già Presidente AGENAS, Agenzia per i Servizi Sanitari Regionali
Giorgio Ventre, docente di Sistemi di elaborazione delle informazioni Uni. di Napoli Federico II
Sandro Veronesi, scrittore
Giovanna Vicarelli, docente di Sociologia economica, Uni. Politecnica delle Marche
Lida Viganoni, già docente di Geografia Uni. di Napoli Orientale e già rettrice dell’Istituto
Vincenzo Vita, presidente Associazione per il rinnovamento della sinistra
Giovanni Vitolo, già docente di Storia medievale, Uni. di Napoli Federico II


1. Perché un disegno di legge costituzionale di iniziativa popolare
La previsione nell’art. 71 Cost. di una iniziativa legislativa popolare è rimasta a lungo sostanzialmente priva di effettività. Ma si registrano da ultimo due innovazioni significative.

Una riforma del regolamento Senato del 2017 (art. 74) ha definito con maggiore precisione l’iter del disegno di legge, in modo tale che ne risulti in principio assicurato l’approdo nel calendario di aula. Mentre questo ovviamente non garantisce l’esito, né impedisce il ricorso a pratiche dilatorie, ne risulta certamente rafforzata la possibilità che i soggetti politici siano sollecitati a prendere posizione, con una assunzione di responsabilità nei confronti dell’opinione pubblica. Un siffatto risultato sarebbe particolarmente importante per un tema come l’autonomia differenziata, sul quale si è tentato fin dal primo avvio di stendere un velo di oscurità, che tuttora preclude una piena consapevolezza dei termini reali del problema. Non è un caso che non si sia mai andati oltre audizioni in commissioni di merito o bicamerali, o risposte del governo in aula. Una discussione generale su un disegno di legge avrebbe ben altra visibilità e valenza informativa. Un riscontro concreto è dato dall’approvazione in prima lettura in aula il 3 novembre 2021 dell’AS 865, disegno di legge costituzionale di iniziativa popolare recante l’introduzione nell’art. 119 della Costituzione del concetto di insularità.

Si aggiunge a queste considerazioni la introduzione da ultimo (d.l. 77/2021) della firma online, che si applica anche all’iniziativa legislativa popolare.

Va però detto che nessuna riforma testuale della Costituzione potrà mai di per sé bloccare la deriva verso la frantumazione sostanziale del paese. L’unità della Repubblica e l’eguaglianza dei diritti sono difesi anzitutto con la battaglia politica. Ma una riforma mirata del testo costituzionale può creare condizioni migliori perché quella battaglia sia vinta.

2. Perché una riforma mirata del Titolo V
Sarebbero certamente facili, e forse di maggiore impatto mediatico momentaneo, proposte radicali, come ad esempio la abrogazione dell’intero Titolo V, e il ritorno al testo originario della Costituzione del 1948. Ma non si può realisticamente pensare di cancellare venti anni di applicazione del Titolo V, che hanno cambiato in profondità gli assetti politici e istituzionali, oltre che modellato gli apparati pubblici centrali e periferici. Una proposta in tal senso sarebbe di bandiera per alcuni, ma non avrebbe concrete possibilità di essere assunta nei processi politici e nelle sedi istituzionali.

Quello che si può realisticamente fare è individuare i punti di maggiore sofferenza e pericolo per l’unità della Repubblica evidenziati già nel dibattito sul regionalismo differenziato, e poi successivamente nell’esperienza della lotta alla pandemia. Una riforma chirurgica, orientata a correggere errori manifesti, ed a prevenire danni ulteriori.

3. Su quali punti concentrare la riforma
I punti essenziali sono tre: la riscrittura dell’art. 116.3; la rivisitazione dell’art. 117, con lo spostamento di alcune materie dalla potestà concorrente a quella esclusiva dello Stato; la introduzione di una supremacy clause della legge statale.

3.1. Modifica dell’art. 116.3

3.1.1. Va anzitutto esplicitato che la diretta connessione con una specificità territoriale è requisito essenziale per la concessione di “forme e condizioni particolari” di autonomia.

Questa in realtà è la lettura corretta della norma già con il testo vigente. Basta a tal fine guardare al Titolo V in connessione con il principio di unità della Repubblica di cui all’art. 5. Nel modello generale l’art. 116.3 è norma derogatoria, che deve trovare una sua giustificazione. Ma tale lettura non è stata fin qui seguita. Le ipotesi note abbracciano un gran numero di materie a prescindere da qualsiasi connotazione territoriale, giungendo a una sostanziale decostituzionalizzazione e ad uno stravolgimento del modello ex art. 117. Il tutto in base a una trattativa tra Governo e singole regioni tradotta in un’intesa.

3.1.2. è inoltre necessario riscrivere il procedimento di formazione della legge che concede la maggiore autonomia. Attualmente si prevede l’iniziativa della regione interessata e l’approvazione con legge a maggioranza assoluta dei componenti sulla base di intesa tra lo Stato e la regione interessata.

Gli effetti conseguenti sono:
a) a stretto rigore, il riconoscimento vede come soggetto principale la Regione, che può avviare il procedimento con l’iniziativa, e può chiuderlo con l’intesa.
b) La previsione di un’intesa introduce un principio pattizio sulla maggiore autonomia, ponendo la questione dei soggetti stipulanti – il governo e la singola regione – e soprattutto del ruolo della legge che approva la maggiore autonomia in base all’intesa raggiunta. Da qui le polemiche sulle trattative semi-segrete tra ministro/a della autonomie e le regioni, e sul ruolo del parlamento, cui secondo un’opinione è riservata una mera presa d’atto, senza alcuna possibilità di incidere sui contenuti. È evidente la pericolosità di una procedura che potrebbe vedere una momentanea sintonia politica tra una o più regioni e il governo nazionale, favorevole al riconoscimento di particolari vantaggi a danno di altre regioni, anche considerando che la maggiore autonomia potrebbe comportare vantaggi anche sotto il profilo dei rapporti finanziari. Inoltre, poiché l’art. 116.3 configura una fonte rinforzata, secondo il principio generale anche la modifica del regime così introdotto andrebbe posta con il medesimo procedimento. Quindi, una regione beneficiaria avrebbe un sostanziale potere di veto su qualsiasi modifica successiva. Potrebbe essere difficile o impossibile, ad esempio, eliminare condizioni di vantaggio o privilegio in danno di altre regioni introdotte in base all’originaria intesa, qualora errate valutazioni iniziali o condizioni mutate consigliassero una correzione o un ripristino del preesistente.

Va quindi superato il modello fondato sull’intesa, da ricondurre a parere della regione interessata nell’ambito del procedimento di formazione della legge di approvazione.

d) come fonte rinforzata, la legge approvativa dell’intesa rimarrebbe anche sottratta a un referendum abrogativo ex art. 75. Va introdotto invece la possibilità di un riscontro referendario, che offrirebbe alle altre regioni e ai loro cittadini la possibilità di esprimersi su una riforma che comunque in ultima analisi li tocca. Ciò è in particolare significativo in vista di richieste di autonomia fondate su referendum nei quali si è espressa la volontà di una frazione minima del popolo italiano, che tuttavia si vorrebbe cogente per il resto del paese.

È opportuno a tal fine prevedere sia: 1) un referendum sul modello dell’art. 138 per la legge costituzionale, giustificato perché la maggiore autonomia tocca gli assetti generali del rapporto Stato-regioni; 2) un referendum abrogativo sul modello dell’art. 75, che va esplicitamente menzionato perché diversamente potrebbe incorrere nelle esclusioni derivanti dalla giurisprudenza costituzionale, per la probabile assimilazione alle leggi tributarie e di bilancio, o alle leggi costituzionalmente necessarie.

3.1.3. Non è invece utile una legge-quadro, sul modello già proposto dall’allora ministro Boccia. In primo luogo, è dubbio che una legge comunque ordinaria possa vincolare alla propria osservanza intese approvate con leggi rinforzate che potrebbero sopravvivere o sovrapporsi a quanto stabilito nella legge quadro. Inoltre, non basta collegare l’approvazione di intese all’adozione di livelli essenziali di prestazioni (Lep), che non garantiscono uguaglianza ma al più pongono a un eccesso di diseguaglianze un argine come definito con legge da una maggioranza politica pro tempore, e certamente non pongono argini alla frantumazione del paese. Un chiaro esempio è dato dai LEA (Livelli essenziali di assistenza, l’equivalente dei Lep in sanità) che non hanno certamente impedito la distruzione del Servizio sanitario nazionale.

3.2. Modifica dell’art. 117
La riscrittura parziale dell’art, 117 Cost. si mostra necessaria perché la riformulazione dell’art. 116.3 può ridurre il rischio di un’autonomia differenziata lesiva dell’unità della Repubblica, ma di per sé non esclude che a siffatte forme di autonomia si possa giungere anche sulla base del dettato dell’art. 117 oggi vigente, senza alcun ricorso all’art. 116.3. A tal fine si prospetta l’opportunità di una revisione del catalogo del riparto di competenze, e l’introduzione di una clausola di supremazia per la legge statale.

3.2.1 Revisione del riparto di competenze.
Vengono spostate dal catalogo delle competenze concorrenti di cui all’art. 117.3 all’elenco della potestà esclusiva statale ex art. 117.2 alcune materie che si ritengono strategiche per l’unità del paese. In primo luogo la tutela della salute, per ripristinare in prospettiva un servizio sanitario effettivamente nazionale, che la pandemia ha ampiamente dimostrato non più sussistente. Si aggiunge la scuola, unitamente all’università e alla ricerca, la cui disciplina uniforme è in vario modo strategica per l’unità della Repubblica. Ancora si aggiungono materie relative alla infrastrutturazione materiale e immateriale, rilevanti sotto il profilo di diritti individuali, dell’eguaglianza, e dell’efficienza complessiva del sistema-paese.

Ovviamente, l’inclusione nel catalogo delle potestà esclusive non comporta di per sé il raggiungimento di obiettivi di eguale tutela dei diritti e di perseguimento dell’eguaglianza. Questo dipenderà in ogni caso dalla disciplina che il legislatore statale adotterà, e dalle politiche conseguentemente messe in atto. Ma basterà ad impedire a singole regioni di perseguire obiettivi di diversificazione territoriale sulla base del riparto di competenze vigente. Si potrà ricordare a tal fine il proposito, espresso dai presidenti delle regioni capofila per l’autonomia differenziata, di voler giungere a una regionalizzazione della scuola anche a prescindere da un accordo sul tema dell’autonomia differenziata. Si potrà altresì ricordare che nelle bozze di intesa che hanno avuto in passato circolazione si ipotizzava la regionalizzazione di ferrovie, autostrade, porti, aeroporti, ambiente, beni culturali di primario rilievo e altro ancora.

3.2.2. Introduzione di una clausola di supremazia/salvaguardia
Uno degli errori commessi con la riforma del Titolo V del 2001 fu la cancellazione dell’interesse nazionale come limite generale nel riparto delle competenze. Non fu colta la fondamentale aporia che si introduceva nel testo, dal momento che una Repubblica una e indivisibile (art. 5) non può non legarsi strettamente a un interesse nazionale. Tale cancellazione fu essenzialmente dovuta alla censura avanzata da una parte dei costituzionalisti dell’epoca – quelli favorevoli ad una ampia regionalizzazione – all’interesse nazionale utilizzato non come limite alla legislazione regionale, ma come fondamento per una potestà legislativa statale quasi considerata extra-ordinem. Questo errato assunto fu in parte superato con l’art. 120 del Titolo V riformato e il richiamo all’unità giuridica ed economica della Repubblica, senza però cogliere la contraddizione implicita nel prevedere un limite solo per i poteri sostitutivi del governo, e quindi per ipotesi quando il danno all’unità fosse in atto o fosse già avvenuto. Essendo invece ovvia l’opportunità di prevedere un potere del legislatore statale di definire in termini generali ex ante i limiti funzionali all’esigenza di unità, in modo da prevenire il danno.

Una parziale riconsiderazione si trova ora nell’AS 1825 (Parrini-Pinotti), che qui si riprende nella sua formulazione di base nell’art. 117.1, con qualche integrazione. Si aggiunge una esplicita menzione dell’applicabilità della clausola di supremazia per le leggi regionali eventualmente adottate in attuazione dell’art. 116.3, che si potrebbero ritenere non pienamente assimilabili alla comune legislazione regionale. Altresì, per il caso che il legislatore statale non attivi la clausola di supremazia, si prevede come limite generale per la legge regionale l’interesse nazionale e l’interesse di altre regioni, limiti che potrebbero farsi valere anche in assenza di esplicita attivazione legislativa statale della clausola di salvaguardia.

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