L’autoritarismo meloniano affronta una democrazia in crisi ma con anticorpi

13 Ott 2022

Per capire che ci aspetta con il governo Meloni, può essere utile fare riferimento all’esperienza di Viktor Orbán in Ungheria. Sono tre le caratteristiche da tenere a mente: tendenza autoritaria, nazionalismo e rifeudalizzazione. Queste tre caratteristiche, applicate al caso italiano, permettono di riconoscere nel conservatorismo il tratto fondamentale di Meloni. In particolare la rifeudalizzazione rappresenta il rischio più immediato: una svendita di beni pubblici a favore di pochi.

Per capire ciò che ci aspetta con il governo Meloni, ho riletto in questi giorni un piccolo libretto della filosofa ungherese Ágnes Heller dedicato all’orbanismo (Castelvecchi 2020). In quelle pagine si avanzano alcune ipotesi politiche che può valer la pena ricondurre al caso italiano. Secondo Agnes Heller l’orbanismo si definirebbe, tra le altre, per tre caratteristiche: la tendenza autoritaria, il nazionalismo e la rifeudalizzazione. La tendenza autoritaria non è che la pretesa di accentramento del potere nelle mani di una sola persona. Possiamo ragionevolmente sostenere che questo sarà il destino prossimo dell’Italia? Non è così semplice capirlo, però è utile provarci. Inserire Giorgia Meloni all’interno di questa tendenza autoritaria significa mettere a distanza delle chiavi interpretative molto diffuse.

L’autoritarismo non ha molto a che fare col fascismo, nella misura in cui non vi è alcun pericolo di “una presa del potere con la violenza”. Se ciò vale per Viktor Orbán – che non ha alcun bisogno di colpi di stato per restare al governo – a maggior ragione vale per Meloni.

MELONI E ORBÁN, LE DIFFERENZE

Sarà per questo che a mio avviso non si può interpretare l’autoritarismo meloniano nel segno della tirannide, come fa Agnes Heller con Orbán. Per nostra fortuna, non corriamo questo pericolo estremo: l’autoritarismo della Meloni sarà contestualizzato all’interno di una democrazia certo in crisi ma con una storia rispettabile.

È come fosse una malattia senile di una democrazia che possiede anticorpi. Invece Orbán è segno di una malattia che aggredisce una democrazia appena sorta e senza difese immunitarie: per questo può trasformarsi in un tiranno.

Che cosa dunque resterebbe dell’autoritarismo orbaniano dentro un contesto più maturo come quello italiano? L’autoritarismo è connotato da una doppia convinzione: I. il potere è tanto più efficace quanto più è unificato e non plurale; II. quest’unificazione è reale quando avviene sotto il segno di una persona e non di una funzione.

Per questo si tratta di accentrare il potere attraverso l’investitura di “uno”: la democrazia diventa elezione diretta di un segretario di partito, di un presidente della Repubblica, ecc.

Una diffidenza nei confronti del pluralismo, della separazione dei poteri e della spersonalizzazione delle funzioni che porta a ripensare la democrazia in termini inaspettati. Tutte le riforme istituzionali proposte vanno in questa direzione: come se l’autoritarismo fosse l’unico modo per salvare la democrazia dalla sua crisi di legittimità e non ne rappresentasse piuttosto una minaccia.

IL CONSERVATORISMO

Eppure non è difficile riconoscere che questa tendenza non segnala una discontinuità tra Meloni e la restrizione oligarchica della democrazia cui stiamo assistendo da almeno due decenni.

Possiamo così fissare una prima evidenza: l’autoritarismo di Meloni è in effetti la rappresentazione più chiara della sua qualità determinante: il conservatorismo. Il suo sarà un governo conservatore che si porrà in piena continuità, dal punto di vista delle riforme istituzionali, con i tentativi più recenti.

Ma l’autocrazia non ha a che vedere nemmeno col populismo, in cui vi è un odio rivolto verso le élite. Le prime mosse cui stiamo assistendo confermano questa sensazione. Meloni è stata eletta sfruttando senza dubbio il ventre del populismo e la rabbia nei confronti dei governi tecnici. Ma una volta vinte le elezioni, tutto lo sforzo sembra essere orientato al tentativo di garantire le élite, non certo di odiarle.

Meloni è stata eletta contro Mario Draghi ma farà delle politiche in continuità con Draghi. È per questo che Meloni non è temuta come Matteo Salvini. Mentre quest’ultimo si dimostra pervicacemente populista, lei si affanna a manifestarsi come coerentemente conservatrice e funzionale alle élite che molti dei suoi elettori odiano.

FINTO ATLANTISMO

Anche il nazionalismo andrà inquadrato all’interno di questo conservatorismo. I primi passi di Meloni trionfante sembrano infatti concentrarsi sull’esigenza di rassicurare i salotti buoni dell’Europa mettendo da parte il lessico sovranista.

Ora, questa rassicurazione avviene attraverso un’ostentata professione di atlantismo. Ma l’atlantismo serve oggi anche a marginalizzare il progetto europeo, già fortemente indebolito per conto proprio.

Quella stessa Europa la cui genesi era legata esplicitamente alla fine dei nazionalismi. Così il conservatorismo di Meloni si inserisce in questa fase “neo atlantista” con un doppio obiettivo: indebolire sempre più l’Europa e sostituirla con nuove rivendicazioni nazionalistiche.

POCHI CONTRO MOLTI

Infine, la rifeudalizzazione definirebbe quel movimento per cui i governi autoritari concedono a una parte sempre più ristretta di capitalisti dei vantaggi esasperati che finiscono per ridisegnare i contorni della società in un senso sempre più diseguale e, soprattutto, a rendere tali contorni garantiti per legge.

Ecco, in quella che è la congiuntura economica più grave degli ultimi decenni (perché non è una crisi finanziaria, ma di materie prime e di salari), a me pare sia questa la minaccia più immediata. Non sto certo sostenendo che avremo in Italia degli oligarchi cafoni e criminali come in altri paesi.

Ma certamente il conservatorismo di Meloni sarà molto sensibile a garantire i pochi contro i molti. In maniera anche più risoluta di quanto avvenuto negli ultimi decenni è probabile che dovremmo assistere a una privatizzazione estrema (a partire dalla Sanità per continuare con Scuola e Università, che saranno sempre più “al lavoro” per pochi) e a un saáccheggio oligarchico dei beni pubblici. Del resto, tra le righe delle tante dichiarazioni di facciata, mi pare che l’unico vero indizio serio su quale sarà la politica sociale di Meloni sia in queste parole: “l’obiettivo è non disturbare chi vuole creare ricchezza”.

Un processo di rifeudalizzazione non solo accentuerebbe le diseguaglianze, ma sarebbe anche in palese contrasto coi valori fondamentali della Costituzione. Meloni non è Orbán e l’Italia non è l’Ungheria. Ma non è detto che ciò basti a rassicurarci.

Domani, 10 ottobre 2022, www.editorialedomani.it

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