Il Presidente della Repubblica, la Costituzione e l’unità nazionale

23 Gen 2022

Gustavo Zagrebelsky Presidente Onorario Libertà e Giustizia

“Non divisivo”: Il presidente della Repubblica non deve essere divisivo: è ovvio, siamo tutti d’accordo. È il rappresentante dell’unità nazionale. Ma, detta così senza precisare di chi e di che cosa non si deve essere divisivi, la parola è insensata. Serve solo a scambiarsi accuse: tu sei divisivo – no, divisivo sarai tu. Berlusconi è divisivo – no, sei tu il divisivo, nel momento stesso in cui lo dici di un altro. Non fermiamoci alla superficie e cerchiamo di guardare un poco che cosa c’è dentro questa parola. La politica è una sequenza di decisioni, cioè di scelte tra possibilità. Decidere significa per l’appunto dividere, tagliare, separare. Se non c’è nulla da decidere, come accade di fronte alle cose che dipendono non da noi ma dalla necessità, dal caso o dal destino, non si è, né si può essere divisivi.

Ma, fuori di questi casi, cioè nel campo delle scelte d’ogni giorno, non si può accontentare tutti. Si è divisivi per necessità, prima che per volontà. Chi volesse o promettesse di accontentare tutti sarebbe un illuso o, peggio, un ipocrita, un impostore. In politica, essere divisivi è giocoforza. Non si può piacere a tutti. C’è un momento storico in cui si concentra la summa divisio politica. È il momento in cui si stabilisce una costituzione. Per quanto si desideri ch’essa sia inclusiva, soprattutto dopo una guerra civile, quando la pacificazione è il primo imperativo, la costituzione non può includere tutto. Ogni costituzione è una differenziazione e una decisione. Non si può costituzionalizzare tutto e il suo contrario.

Si vuole la pacificazione e, quindi, non si può ammettere la violenza. Si può credere nella dignità delle persone e dare spazio al razzismo? Si vuole uguaglianza, libertà e solidarietà e ammettere l’egoismo dei più forti e dei più ricchi. Si vuole la tolleranza, che è una virtù reciproca, e si può tollerare l’intolleranza? A tutto questo e a molto altro la prima e fondamentale decisione costituzionale dà risposte chiare e nette, a incominciare dall’antifascismo che la permea in tutte le sue parti. Questa è l’unità nazionale, una nozione non neutra, amorfa, ma piena di contenuti. Non equivale a dire: tutti hanno un po’ di ragione e un po’ di torto. Non si può, per esempio, essere equidistanti tra i ladri e le guardie, tra gli evasori fiscali e i contribuenti onesti. Non decidere significa essere dalla parte dei ladri e degli evasori.

C’è, dunque, una dimensione superiore della vita pubblica, collocata nella decisione costituzionale presa una volta per tutte all’inizio di un ciclo politico, che è unitiva e divisiva, per l’un verso e per l’altro. Al di sotto, nella dinamica politica d’ogni giorno, si vota per il Parlamento, si fanno leggi, si formano e si disfano maggioranze e governi. Quella è, per così dire, la dimensione non inferiore, ma quotidiana della vita politica dove stanno divisioni e decisioni senza le quali non ci sarebbe democrazia. Chi, invece, è chiamato a operare nell’anzidetta dimensione superiore e vi opera effettivamente entro i suoi limiti intrinseci, come esecutore e garante della decisione costituzionale, non potrà mai essere accusato di “divisività”, se non da parte di chi, più che contestare lui, contesta la costituzione e le si pone contro. Anche quando, per l’eccezionalità delle situazioni, dovesse fare uso non consueto dei suoi poteri, per difendere gli amici della costituzione dai suoi nemici.

Questo breve profilo del presidente della Repubblica non sarebbe completo se non si aggiungesse ciò che è già ovvio: non gli spetta sostituirsi alla libera dinamica delle forze politiche né interferirvi, né governare anche se non direttamente ma per interposta persona, né, infine, creare attorno a sé “partiti del presidente” o giri di potere più o meno ramificati, quale che ne sia il genere: affaristico, burocratico, politico, eccetera. La provenienza dalla militanza in un partito politico può considerarsi, alla stregua di ciò che si è detto, un impedimento? Non è né un ostacolo né una preferenza.

Ciò che conta è la consapevolezza, la determinazione e l’indipendenza necessarie a chi sia chiamato a ricoprire con le sue forze una così importante e difficile carica. La consapevolezza implica la conoscenza e l’adesione alla costituzione, non ai suoi singoli, freddi articoli, ma a ciò di cui sono espressione e testimonianza: cioè alla storia, alla cultura e ai sacrifici che sono venuti a consolidarsi in questo testo, di certo uno dei più alti e significativi venuti alla luce nel tempo che ci sta alle spalle. La determinazione può essere testimoniata nelle esperienze precedenti e, certamente, è incompatibile con l’opportunismo, il trasformismo, il grigiore e l’ossequio nei confronti del potente di turno.

La presidenza della Repubblica non è per i cortigiani, anche perché essi spesso, quando le occasioni lo permettono, trasformano la debolezza del passato in prepotenza nel futuro. L’indipendenza non è l’ultima caratteristica. Anzi, forse è la prima. Chi assume il compito affascinante e tremendo di dare la rappresentazione dell’unità della nazione può farlo solo a patto di liberarsi dai vincoli che, più o meno legittimamente, lo condizionavano in precedenza.

I vincoli sono tanti e vari. Possono determinare ciò che impropriamente si chiama conflitto d’interessi e che, più propriamente, sarebbe da definire non conflitto ma coesistenza di interessi contraddittori. Se non ci si spoglia della dipendenza dal partito da cui si proviene, dalla appartenenza a gruppi di potere che chiedono di restituire i favori in precedenza elargiti e accettati, dal vincolo di ubbidienza che si assume entrando in chiese e associazioni più o meno segrete, dai propri interessi economici la cui difesa diventa spesso un’irresistibile coercizione, dall’adesione faziosa a una ideologia politica: se non ci si spoglia da tutto questo, l’alta carica viene trascinata nella bassura del tornaconto personale o del gruppo, della cerchia, del “giro” di appartenenza.

Peggio del peggio sarebbe se proprio questo tornaconto fosse la molla delle ambizioni di chi mira al Quirinale. Questa sarebbe la massima divisività, il massimo allarme costituzionale. Non solo la persona influisce sulla carica ricoperta. Spesso, avviene il contrario e i pronostici possono essere smentiti dai bilanci. Tuttavia, i trascorsi sono pur sempre dei prodromi e i prodromi possono trasformarsi in eventi e gli eventi possono determinare conseguenze. Guardandoci intorno e cercando di capire che cosa succede in questi giorni di vigilia, vien voglia di unirsi a coloro – i realisti – che ridono di tutto ciò che non è puro interesse, puro potere, pura spregiudicatezza.

È vero, c’è questa voglia. O anche, la voglia di dire: non sono fatti miei, alla malora. Ma più crescono queste voglie, più cresce, insieme, anche la rivolta.

la Repubblica, 18 gennaio 2022

Nato a San Germano Chisone (To) il 1° giugno 1943. Laureato a Torino, Facoltà di Giurisprudenza, nel 1966, in diritto costituzionale, col professor Leopoldo Elia.

  • Professore di diritto costituzionale e diritto costituzionale comparato alla Facoltà di Giurisprudenza e alla Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Sassari dal 1969 a 1975.
  • Professore di diritto costituzionale comparato alla Facoltà di scienze politiche dell’Università di Torino dal 1975.
  • Professore di diritto costituzionale alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Torino, dal 1980 al 1995.

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