La finta democrazia dei nuovi despoti

10 Lug 2019

Nadia Urbinati Consiglio di Presidenza Libertà e Giustizia

Le società dispotiche sono una fiera di modernità architettonica, di lusso e di innovazione tecnologica

Intorno a Roma si muovono con agio le potenze anti-democratiche. In poco più di tre mesi, l’Italia ha accolto Xi Jinping e Vladimir Putin. L’Europa (la sua debolezza in primo luogo) interessa entrambi (come interessa al loro amico-nemico Donald Trump); soprattutto il Mediterraneo, crocevia per l’Africa e il Medio Oriente, appetibili alle due potenze continentali con ambizioni imperiali, Cina e Russia. Che sono, insieme all’Arabia Saudita, alla Turchia, al Tagikistan, agli Emirati Arabi, al Vietnam, all’Iran e a Singapore (con un fronte che si spinge fin dentro l’Europa con l’Ungheria di Orbán) i rappresentanti di un modello socio-economico e politico che sfida nemmeno tanto timidamente la democrazia. Di recente Putin ha tuonato contro le democrazie costituzionali, giunte secondo lui al capolinea; qualche anno fa commentando una risoluzione del Parlamento europeo contro le ingerenze russe nei media, aveva dichiarato: «Tutti ci fanno scuola di democrazia mentre vediamo il degrado in cui versa l’idea stessa di democrazia».

Per definire questi sistemi di potere si sono ideate le più fantasiose formule, come per esempio quella di «democrazia illiberale» (amata molto anche da Orbán oltre che da Erdogan) che però non significa nulla poiché una democrazia con diritti civili sotto sorveglianza dell’esecutivo e senza una pubblica e libera competizione politica non può esistere, anche quando usa elezioni e un sistema sofisticato di media. Recentemente John Keane, uno studioso di politica dell’Università di Sidney ha scritto che questi sistemi molto radicati in Asia possono essere rubricati nella categoria di «nuovo dispotismo». Evidente l’eco dei classici, di Aristotele e di Montesquieu, che situavano nel continente asiatico i fondamenti di un sistema di negazione della politica di cui intuivano la capacità attrattiva e di penetrazione ben oltre i confini di casa loro. Il nuovo dispotismo, che gli amici della democrazia dovrebbero cercare di conoscere meglio, ha tutti i requisiti per far fortuna anche dentro le nostre democrazie perché si alimenta di un cibo di cui conosciamo bene gli ingredienti: l’ideologia del popolo, la manipolazione dei media, il capitalismo e l’oligarchia, la corruzione e il clientelismo.

Sostenuti da un sistema multiplo di piramidi di potere, i leader del nuovo dispotismo coltivano la loro egemonia sia mediante un esteso sistema di corruzione che stratifica amici e nemici, sia mediante l’uso di elezioni fantasma che devono celebrare le vittorie invece di dar voce alle preferenze. Intimidiscono i votanti e comprano i voti — ma vogliono lo show delle elezioni perché vogliono presentarsi con l’aura della legittimità popolare.

Questo sistema gelatinoso non usa con plateale dispendio di mezzi la repressione violenta (anche la ’ndrangheta del Varesotto comprende del resto il ruolo della pubblicità!) né alimenta ossessivamente la paura, come il despota tratteggiato da Montesquieu. È come un enorme organismo nel quale si tengono insieme la ricchezza stratosferica dei pochi, il benessere delle classi medie e la promessa di riuscita delle classi lavoratrici. Meticolosamente attenti ai dettagli, a come il popolo vive e a che cosa pensa, si regge su un’oligarchia dotata di un potere insindacabile che accumula fantastiche ricchezze, genera vere e proprie dinastie, e non si cela agli occhi del pubblico come gli antichi despoti, ma si presentano anzi come role models per tutti. Il successo è la miglior forma di controllo sociale auto-generato.

Non è neppure vero che il nuovo dispotismo sia puro arbitrio: è vero invece che usa la legge secondo una regola che conoscono bene anche i populisti: dolce e gentile con i sostenitori e gli amici, arcigna con gli oppositori. Amministrano la paura con regolarità e senza bisogno di inutili show di violenza. Tutto sommato i fascismi erano come la scuola elementare dei nuovi dispotismi. Ma vi è un fatto nuovo, che né il fascismo storico né il sovietismo totalitario conoscevano: l’ideologia dell’edonismo consumistico. La seduzione del pubblico invece della repressione è oggi resa possibile dal sistema capitalistico che consente ai nuovi despoti di usare a piene mani l’argomento del successo economico e del benessere. Le nuove società dispotiche sono una fiera di modernità architettonica, di lusso e di innovazione tecnologica. Ed è proprio su questo argomento che la sfida alle democrazie occidentali si fa fatale, le quali sono risorte nel secondo dopo guerra con la promessa di un benessere diffuso che fosse non fine a sé stesso ma condizione per una vita dignitosa e libera. I nuovi despoti promettono (e sono generosi a sostenere istituti di ricerca e media che diffondono i dati sulle grandi conquiste dei loro popoli) quello che nelle nostre società pochi ormai possono promettere: un futuro in cui i figli vivranno meglio dei genitori.

Proprio questo successo economico induce studiosi e analisti occidentali a concedere che si tratti in effetti di «democrazie», magari «delegative» o «illiberali» o «semi-democratiche». La filosofia sociale della felicità consumistica viene premiata con la medaglia della «democrazia»: una scelta ben poco saggia, visto che per premiare i nuovi despoti facendoli entrare nel Pantheon democratico si finisce per sdilinquire la democrazia, facendone una parola così lasca che alla fine perde di senso, proprio come i nuovi despoti vogliono che sia.

 

 

corriere.it, 7 luglio 2019

Politologa. Titolare della cattedra di scienze politiche alla Columbia University di New York. Come ricercatrice si occupa del pensiero democratico e liberale contemporaneo e delle teorie della sovranità e della rappresentanza politica. Collabora con i quotidiani L’Unità, La Repubblica, Il Fatto Quotidiano e con Il Sole 24 Ore; dal 2019 collabora con il Corriere della Sera e con il settimanale Left.

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