Democrazia e lavoro sono le radici della nostra Costituzione del 1948. Una cosa è cambiare, un’altra è il come cambiare. Il superamento del bicameralismo perfetto è largamente condiviso, ma siamo di fronte a un testo incomprensibile e al ritorno a condizioni pre-costituzionali.
Coloro che, la riforma costituzionale, la vedono gravida di conseguenze negative non si aggrappano alla Costituzione perché è “la più bella del mondo”. Sono gli zelatori della riforma che usano quell’espressione per farli sembrare degli stupidi conservatori e distogliere l’attenzione dalla posta in gioco. La posta in gioco è la concezione della vita politica e sociale che la Costituzione prefigura e promette, sintetizzandola nelle parole “democrazia” e “lavoro” che campeggiano nel primo comma dell’art. 1. Qui c’è la ragione del contrasto, che non riguarda né l’estetica (su cui ci sarebbe peraltro molto da dire, leggendo i testi farraginosi, incomprensibili e perfino sintatticamente traballanti che sono stati approvati) né soltanto l’ingegneria costituzionale (al cui proposito c’è da dire che nessuna questione costituzionale è mai solo tecnica, ma sempre politica).
Molte volte sono state chiarite le radici storiche e ideali di quella concezione, perfettamente conforme alle tendenze generali del costituzionalismo democratico, sociale e antifascista del II dopoguerra, tendenze riassunte nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, approvata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel dicembre del 1948, di cui la nostra Costituzione contiene numerose anticipazioni, perfino sul piano testuale. Quelle, le radici della Costituzione che c’è. E quelle della Costituzione che si vorrebbe che fosse, quali sono?
Quali credenziali possono esibire gli attuali legislatori costituzionali? A parte la questione, bellamente ignorata, dell’incostituzionalità della legge elettorale in base alla quale essi sono stati eletti; a parte la falsificazione delle maggioranze che quella legge ha comportato, senza la quale non ci sarebbero stati i numeri in Parlamento; a parte tutto ciò, la domanda che deve essere posta è: quale visione della vita politica li muove? A quale intento corrispondono le loro iniziative? C’è un “non detto” e lì si trovano le ragioni di tanta enfasi, di tanto accanimento, di tanta drammatizzazione che non si giustificherebbero se si trattasse solo di riduzione dei costi della politica e di efficientismo decisionale. La posta in gioco non è di natura economica e funzionale (risparmiare sui costi e sui tempi delle decisioni). Se fosse solo questo, si dovrebbe trattare la “riforma” come una riformetta da discutere tecnicamente, incapace di sommuovere acute passioni politiche. Invece, c’è chi la carica d’un significato eccezionale, si atteggia a demiurgo d’una fase politica nuova e dice d’essere pronto a giocarsi su di essa perfino il proprio futuro politico.
Ciò si spiega, per l’appunto, con il “non detto”. Cerchiamo, allora, di dirlo, nel quadro delle profonde trasformazioni istituzionali degli ultimi decenni, trasformazioni che hanno comportato un ribaltamento della democrazia parlamentare in uno strano regime tecnocratico-oligarchico che, per sua natura, ha come suo punto di riferimento l’esecutivo. Viviamo in “tempi esecutivi”! La politica esce di scena. I tecnici ne occupano lo spazio nei posti-chiave, cioè nei luoghi delle decisioni in materia economica, oggi prevalentemente nella versione della finanza, e nel campo della politica estera, oggi principalmente nella versione degli impegni militari. La partecipazione politica che dovrebbe potersi esprimere nella veritiera rappresentazione del popolo, cioè in Parlamento, a partire dai bisogni, dalle aspirazioni, dagli ideali non è più considerata un valore democratico da coltivare, ma un intralcio. Così, del fatto che la metà degli elettori sia lontana dalla politica al punto da non trovare attrattive nell’esercizio del diritto di voto, nessuno si preoccupa: pare anzi che ce ne si rallegri. Il fatto che i sindacati trovino difficoltà nel rappresentare i bisogni dei lavoratori, invece che a spingere a misure che ne rafforzino la capacità rappresentativa, induce ad atteggiamenti sprezzanti e di malcelata soddisfazione. Che i diritti dei lavoratori siano sottoposti e condizionati alle esigenze delle imprese, non fa problema: anzi il ritorno a condizioni pre-costituzionali si considera un fattore di modernizzazione. Che i partiti siano a loro volta ridotti come li vediamo, a sgabelli per l’ascesa alle cariche di governo e poi a intralci da tenere sotto la frusta del capo e di coloro che fanno cerchio attorno a lui, non è nemmeno da denunciare con più d’una parola. A questa desertificazione social-politica corrisponde perfettamente la legge elettorale. Essa dovrebbe servire a incoronare “la sera stessa delle elezioni” il vincitore, cioè il capo politico che per cinque anni potrà governare controllando il Parlamento attraverso il controllo del partito di cui è capo. La piramide si è progressivamente rovesciata e non abbiamo fatto il necessario per impedirlo. La democrazia dalle larghe basi voluta dalla Costituzione è stata sostituita da un regime guidato dall’alto dove si coagulano interessi sottratti alle responsabilità democratiche. L’informazione si allinea; la vita pubblica è drogata dal conformismo; gli intellettuali tacciono; non c’è da attendersi alcuna vera alternativa dalle elezioni, pur se e quando esse si svolgano, e se alternative emergessero dalle urne, sarebbe la pressione proveniente da fuori (istituzioni europee, Fondo monetario internazionale, grandi fondi d’investimento) a richiamare all’ordine; nella scuola si affermano modelli verticistici e i nostri studenti e i nostri insegnanti gemono sotto programmi ministeriali finalizzati a produrre non cultura ma tecnica esecutiva.
Può essere che questo è quanto richiedono i tempi che viviamo, i tempi dello sviluppo per lo sviluppo, dell’innovazione per l’innovazione, della competitività che non ammette deroghe, della spremitura degli esseri umani, dei diritti dei più deboli e delle risorse naturali per tenere il passo sempre più veloce della concorrenza.
Può essere che solo a queste condizioni il nostro Paese sia annoverabile tra i virtuosi, nei quali la finanza sovrana consideri conveniente investire le sue immani risorse; cioè, in termini più realistici, consideri conveniente venire a comperarci, approfittando delle tante privatizzazioni che segnano l’arretramento dello Stato a favore degli interessi del mercato. Gli inviti che provengono dalle istituzioni sovranazionali, legate al governo della finanza globale, sono univoci. I moniti che provengono dall’Europa (“ce lo chiede l’Europa”) sono dello stesso segno. Perfino una banca d’affari (gli “analisti” della J.P. Morgan) ha dettato la propria agenda, nella quale è scritta anche la riduzione degli spazi di democrazia che le costituzioni antifasciste del II dopoguerra (è detto proprio così e nessuno, tra le autorità che avrebbero il dovere di difendere la democrazia e la Costituzione, ha protestato) hanno garantito ai popoli usciti dalle dittature. La riforma della Costituzione, promossa, anzi imposta dall’esecutivo, s’inserisce in questo contesto generale. Il “non detto” è qui. Occorre dimostrare d’essere capaci di rispondere alle richieste. Se, come si dice nella prosa degenerata del nostro tempo, non si riesce a “portare a casa” il risultato, viene meno la fiducia di cui i governi esecutivi devono godere rispetto ai centri di potere che stanno sopra di loro e da cui, alla fine dipende la loro legittimazione tecnica. La chiamiamo “riforma costituzionale”, ma è una “riforma esecutiva”. Stupisce che tanti uomini e tante donne che hanno nella loro storia politica numerose battaglie per la democrazia, si siano adeguati a subire questa involuzione, anzi collaborino attivamente chiudendo gli occhi di fronte a ciò che a molti appare evidente. La riforma costituzionale è il coronamento, dotato di significato perfino simbolico, di un processo di snaturamento della democrazia che procede da anni. Coloro che l’hanno non solo tollerato ma anche promosso sono oggi gli autori della riforma. Sono gli stessi che ora ci chiedono un voto che vorrebbe essere di legittimazione popolare a un corso politico che di popolare non ha nulla.
I singoli contenuti della riforma importano poco o nulla di fronte al significato politico. Contano così poco che chi avesse voglia di leggere e cercare di capire ciò su cui ci si chiede di esprimerci nel referendum resterebbe sconcertato. A parte la lingua, a parte la tecnica più da “decreto mille proroghe” che da Costituzione (si veda il modo di elencare le competenze del nuovo Senato), non si arretra né di fronte alle leggi della matematica e della sintassi, né alle esigenze della logica. Si prenda quello che viene presentato come il cuore della riforma, il nuovo Senato: 95 senatori che rappresentano Regioni e Comuni, più cinque che “possono essere nominati” dal Presidente della Repubblica. Quale logica regga un mélange come questo, che poteva spiegarsi nel vecchio Senato che portava tracce di storia costituzionale pre-repubblicana, sfugge. Ogni Regione “ha” (sic!) almeno due senatori, e così anche le Province di Trento e Bolzano. Se si ritiene (ma non è chiaro) che tra i due non sia compreso il sindaco, che dunque si deve aggiungere al numero fisso minimo per ogni Regione, il conto è presto fatto: le Regioni sono 20; venti per 2 fa 40. A ciò si aggiungono 4 senatori per le Province anzidette, e fa 44. Si aggiungono i 22 senatori eletti tra i sindaci, uno per ciascuno dai consigli regionali e provinciali e fa 66. 95 meno 66 fa 29. Questi 29 seggi senatoriali dovrebbero servire a garantire la “ripartizione proporzionale” tra le Regioni, secondo le rispettive popolazioni! 29/20! Se si fa qualche calcolo, risulta tutto meno che la proporzionalità che pure è prevista dal IV comma dell’art. 2. Non cambia di molto il risultato, se il sindaco entra a far parte del numero due garantito a ogni regione. È un guazzabuglio di logiche diverse: la garanzia di almeno due posti in Senato corrisponde all’idea della rappresentanza degli Enti regionali, ma la distribuzione proporzionale dei seggi ulteriori corrisponde invece all’idea che, a essere rappresentate sono le popolazioni. Per non parlare del caso del Trentino Alto Adige che si troverebbe ad “avere” 6 senatori, due per ciascuna Provincia e due per la Regione (a meno che si sostenga, contro ciò che dice lo Statuto speciale, che il Trentino non è una Regione, ma è semplicemente la risultante delle due Province, nel qual caso avrebbe comunque quattro senatori). Anzi, forse ne avrebbe 7, calcolando il sindaco fuori del numero minimo di due, garantito alla Regione. Qual è il filo conduttore ha seguito il legislatore costituzionale? Ma c’è un filo conduttore o siamo allo sbando?
L’art. 2 avrebbe dovuto superare lo scoglio su cui, per un certo periodo, sembrava doversi incagliare la riforma: l’elezione indiretta o diretta. È storia parlamentare nota e non merita d’essere raccontata ancora una volta. Si è creduto di superare l’ostacolo lasciando ferma l’elezione da parte dei Consigli regionali e provinciali: dunque, elezione indiretta, aggiungendo però, in un comma (il V) che tratta di tutt’altro (la durata del mandato dei senatori), lo shibbolleth: eletti “in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri in occasione del rinnovo” dei Consigli regionali e provinciali. Bel rompicapo! Se “in conformità” significa che i Consigli non dispongono di poteri di scelta autonoma, l’elezione non è più un’elezione ma è una ratifica. Se possono operare scelte, è la “conformità” a essere contraddetta. In più, il II comma stabilisce che i Consigli “eleggono con metodo proporzionale”: presumibilmente, in proporzione alla consistenza dei gruppi consiliari. Ma gli elettori si esprimono sulle persone. I gruppi consiliari si formano dopo. Come può esserci “conformità” quando non c’è omogeneità delle volizioni? Come può esserci proporzionalità, inoltre, se si tratta di assegnare due posti o pochi di più?
Questo articolo 2 è esempio preclaro del modo con cui si è giunti all’approvazione della riforma. Essendo prevalsa l’opinabile opinione secondo la quale nella “lettura” del Senato si sarebbe potuto intervenire solo su norme modificate dalla Camera, si è sfruttata la circostanza che alla Camera, in quel V comma, si era sostituito un “nei” con un “dai” per appiccicarci “la conformità”, oltretutto con una virgola e un inciso sintatticamente scorretti. Tutte queste difficoltà dovranno essere affrontate in una legge di attuazione. Ma, ci può essere attuazione di contraddizioni?
Queste considerazioni precedono la discussione circa l’opportunità di superare il c.d. bicameralismo perfetto, opportunità peraltro da gran tempo largamente condivisa. Ma, una cosa è il cambiare, un’altra è il come cambiare. Siamo di fronte a un testo incomprensibile. Verrebbe voglia di interrogare i fautori della riforma – innanzitutto il presidente della Repubblica di allora, il presidente del Consiglio, il ministro - e chiedere, come ci chiedevano a scuola: dite con parole vostre che cosa avete capito. Qui, addirittura, che cosa avete capito di quello che avete fatto? Saprebbero rispondere? E noi, che cosa possiamo capirci?
(*) Anticipiamo il testo dell’intervento di Gustavo Zagrebelsky in occasione del primo incontro pubblico del Comitato per il no nel referendum costituzionale sulla legge Renzi-Boschi, che si tiene l’11 gennao 2016 alle 15,30 nella Sala della Regina a Montecitorio.
fateci sapere cosa dobbiamo fare per aderire all’essenziale e condivisa ainiziativa.
E’ necessario che L&G renda noto quando verranno costituite le sedi regionali del Comitato per il No e in quale località in ciascuna regione ci si potrà attivare per impedire il realizzarsi del disegno eversivo di Renzi-Boschi-Verdini.
Arrivare al Referendum è un grave rischio di “conscrazione popolare del renzismo”!
Occorre evitare la conclusione del percorso (contro)riformatore ed evitare il ref.!
Si può fare! C’è a disposizione la forza immane del 95% della Cittadinanza che dichiara di rifiutare l’offerta politica per mancanza del minimo di fiducia in essa (I. Diamanti dic. 15, indagine Demos) e quindi disponibile al cambiamento!
Inaudito lasciare che questo potenziale di “ribellione costruttiva” rimanga ad appassire nella rassegnazione e nell’impotenza!
Inaudito che tanti Persone Eccellenti che danno vita ad un’infinità di associazioni che si rifanno alla Costituzione, ai rischi che essa corre, alla volontà della sua difesa, non abbiano ancora colto la possibilità di una efficace via alternativa, costruttiva e nel segno della Costituzione, rispetto ad un difficilissimo e rischiosissimo percorso referendario che offre al PdC argomenti propagandistici molto funzionali alla sua capacità comunicativa e alla capacità di fuoco massmediatico.
Inaudito che anche su questi spazi così qualificati, non si sia voluto aprire una riflessione su questa ipotesi!
Inaudito! E Disperante!
Nn mi aspettavo certo da lei un consenso al cambiamento! Mi chiedo, se lecito, come mai con una così splendida e democratica costituzione, il paese sia mal messo com’è !
Cara Rosaria,
ipotizzando che si volesse rivolgere a me, è fin troppo facile spiegarle che se in un Parlamento siedono Razzi e Scilipoti, Cuffaro e Cosentino, Genovese e De Gregorio, Dell’Utri e Previti e/o i loro sodali e padrini, e ne stanno fuori Rodotà, Settis, Chiara Saraceno, Zagrebelsky, Carlin Petrini, e molti altri simili, impossibile che un Paese non sprofondi nella palude più maleodorante!
Non bastano gli spartiti di Mozart per avere un’ottima musica! Occorrono anche ottimi suonatori ed un ottimo direttore d’orchestra!
Se in Parlamento avessero operato Persone dello stesso spessore morale e culturale dei Costituenti, saremmo ai vertici dell’Europa e del mondo.
Ed è questo che bisogna fare: riportare in un Parlamento, anche “monocamerale” (come era monocamerale la Costituente), Persone di rigore morale e culturale, competenze e capacità, coerente orientamemto al bene comune garantito dalla storia personale e non dalla propaganda autoreferenziale o da padrini politici! Solo così saranno affrontati e risolti gradualmente tutti i problemi senza che noi si debba rincorrere le malefatte e malpensate di quella mediocrità offensiva che conduce il Paese verso un degrado e declino di cui non si vede ancora il livello finale!
A Rosaria.
Il Paese è messo male perché la Costituzione non è stata attuata. Non sono stati attuati, ad esempio, gli artt. 25, 28 e 54. Ed allora accade che:
- i giudici siano costretti a pestare l’acqua nel mortaio, andando alla ricerca, ciascuno secondo un proprio percorso, alla ricerca del giudice (NON) precostituito per legge;
- il Governo ponga a carico dei senzatetto, degli indigenti e dei lavoratori le somme per condanne al risarcimento dei danni derivanti da violazione di diritti ad opera dei pubblici funzionari;
- i cittadini che non svolgano con disciplina e onore le funzioni pubbliche loro affidate siano difesi dal Governo in sede amministrativa e giurisdizionale;
ecc., ecc., ecc.
un inadeguata accozzaglia di nominati con a capo un vanesio ,nemmeno eletto dal popolo,ha stravolto il pensiero dei patri costituenti scrivendo una costituzione piena di contraddizioni con dentro il seme di un possibile pericolo per la democrazia futura.Impediamo l’incostituzionale referendum confermativo.
Voglio sperare che il Sig. Palinuro sappia dell’ esistenza del Coordinamento per la democrazia costituzionale di cui la nostra associazione è stata tra i …soci fondatori. Se va sul sito nazionale del Coordinamento troverà più di 43 comitati territoriali o locali ( in alcuni casi coordinati proprio da soci leG ) già costituiti e operativi. Se la sua zona ne è sguarnita, è una buona occasione per…coprire il vuoto.
Alla sig.ra o signorina Rosaria che chiama cambiamento ciò che è autentico e deliberato stravolgimento della nostra Carta fondamentale, e che ironizza oltre che su quel gufo del prof. Zagrebelsky, sulla Costituzione tanto bella da non riuscire a cambiare un Paese in così forte declino, chiederei , non semplicemente di studiare, ma di….meditare il secondo comma dell’ art.3 della nostra Costituzione . Sono certo che, alla luce del compito particolarmente ambizioso che i costituenti ci hanno affidato , Rosaria lascerà da parte l’ ironia e troverà la forza di rimboccarsi le maniche nell’ intento di ” rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’ eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’ effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’ organizzazione politica, economica e sociale del paese “.
Giovanni De Stefanis, LeG Napoli
L’hanno capito anche i bambini che la maldestra riforma del Senato è una scusa bella e buona per giustificare la cancellazione dalla Costituzione delle gloriose e storiche Province italiane (alcune sono pure decorate al valor militare), solo per un capriccio di qualche “innominato”. Bastava ridurre gli emolumenti dei parlamentari, vergognosamente in assoluto i più alti al mondo, i loro privilegi, eliminando i loro vitalizi e facendo eleggere dal popolo un centinaio di senatori, uno per Provincia, piuttosto che essere nominati dalle segreterie politiche. Ed invece con le pseudo (false) riforme del Governo Renzi stiamo assistendo alla progressiva marginalizzazione ed impoverimento, anzi, ad una vera e propria desertificazione delle periferie del Paese (i territori coincidenti con le “vecchie” Province) attraverso il taglio di tribunali, ospedali, Camere di Commercio, Prefetture, Università, e più in generale attraverso il taglio di tutte le articolazioni periferiche dello Stato (Questure, Comandi provinciali delle Forze dell’Ordine, ecc.), tutto ad esclusivo vantaggio ed arricchimento delle sedicenti città metropolitane (alcune di loro molto forzatamente considerate tali) e/o dei capoluoghi di Regione e delle loro lobby e delle loro corruttele a scapito soprattutto di quelle che sono ancora i capoluoghi di Provincia italiani (sino a quando?), lasciando tra l’altro migliaia di lavoratori nell’incertezza del loro futuro (vedere, a titolo d’esempio il film “Quo vado” di Checco Zalone per farsi un’ idea ed una grande risata su questa pseudo riforma costituzionale).
E l’hanno capito anche i bambini che i cocciuti tentativi delle lobby metropolitane (che sono trasversali di destra e di sinistra) di cancellare le scomode ed ingombranti (per loro) Province italiane dalla Costituzione, sono stati mascherati da una inutile e maldestra riforma del Senato accompagnata dalla complessa riforma della pubblica amministrazione, dalla legge elettorale “Italicum” (incostituzionale perchè in essa, quando entrerà in vigore da luglio 2016, si dà già per scontato l’esito del referendum costituzionale confermativo con l’eliminazione del bicameralismo perfetto: referendum che invece si terrà non prima di ottobre 2016), dalla riforma della scuola (dove per le graduatorie ed i trasferimenti del personale scolastico si sostituiscono le tanto “odiate e vituperate” Province con gli aleatori e fumosi “ambiti territoriali”) e dall’abolizione dell’art.18 dello Statuto dei lavoratori, volute fortemente da quelle lobby per accompagnare l’estinzione definitiva delle Province dalla Costituzione attraverso mobilità coatte o addirittura licenziamenti (proprio ora?) delle migliaia di lavoratori delle Province e dei loro uffici e articolazioni periferiche con il meschino unico scopo di avvantaggiare ed arricchire con maggiori flussi di finanziamenti (e corruzione) esclusivamente le sedicenti città metropolitane italiane (alcune di loro molto forzatamente considerate tali) e/o dei capoluoghi di Regione. Ma il NO in occasione del REFERENDUM confermativo (che, voglio qui ricordare, non necessita di quorum) riporterà un po’ di giustizia sulla questione.
sono contro ad una costituzione modificata da chi non è mai stato eletto. Se modificata in Italia non esisterà più la vera democrazia. Dobbiamo sabotarla a tutti i costi.
OCCORRE UNA VERA SOVRANITA’POPOLARE, con REFERENDUM PROPOSITIVI, a quorum zero, con 100.000 firme, entro 18 mesi dalla presentaziobe, senza se e senza ma!
Se proprio si doveva mettere mano alla Costituzione, si poteva intervenire su di essa fissando un tetto costituzionale alle pensioni d’oro che sono le più alte al mondo. Ed invece non se ne è fatto nulla, cosicché ogni volta che si tenta di tagliarle o di fissarne un tetto oggi, si ricorre alla Corte Costituzionale ed i ricorrenti (i pensionati d’oro) vincono sempre.
Va ricordato che il bicameralismo perfetto e’ una tutela per i cittadini contro le dittature.
Andrebbe ridotto sostanzialmente il numero di parlamenatri, dimezzandoli sia alla Camera che al Senato, ma mantenendo una legge elettorale in prevalenza maggioritaria come quella precedente, che era una delle migliori che l’Italia abbia mai avuto. C’e’ da chiedersi perche’ il Presidente Mattarella non stia difendendo oggi la sua legge.
Se proprio si doveva mettere mano alla Costituzione, si poteva intervenire su di essa fissando un tetto costituzionale alle pensioni d’oro che sono le più alte al mondo o abolendo i vergognosi ed anacronistici vitalizi dei politici (dei parlamentari e dei consiglieri regionali). Ed invece non se ne è fatto nulla, cosicché oggi ogni volta che si tenta di tagliarli ( per i vitalizi) o di fissarne un tetto ( per le pensioni d’oro) , si ricorre alla Corte Costituzionale ed i ricorrenti (i pensionati d’oro ed i politici) vincono sempre.
NO allo spacchettamento della riforma costituzionale in occasione del Referendum costituzionale di ottobre 2016 che oltre ad essere illegittimo, farebbe il gioco di Renzi in quanto, in caso di parziale successo (vincendo alcuni Sì su determinati quesiti) rimarrebbe “a galla”a Palazzo Chigi.