“Stiamo con Monti, ma nel 2013 deve tornare la politica”

13 Mar 2012

Non sono Monti-scettici, dicono. Però…
«Sia chiaro, Napolitano ha fatto un ca-po-la-vo-ro». Carlo De Benedetti non si tira indietro di fronte alle domande di due giornalisti. Sono le otto e trenta, Roberto Saviano è uscito da poco al casello autostradale di Milano e l’Ingegnere si accomoda sulle poltroncine rosse in prima fila del Teatro Smeraldo.

Umberto Eco l’ha preceduto di poco – alla manifestazione di Libertà e Giustizia per chiedere il ritorno della politica, dopo la stagione dei tecnici – e lo invita, «siediti qui». Molti hanno scritto di questa serata collegandola direttamente a loro due, così adesso l’editore del Gruppo Espresso ragiona: «Il capolavoro del presidente è stato affidare il governo a Monti, il migliore che c’era in giro. Io quindi mi auguro innanzitutto che Monti possa lavorare fino al 2013. Ma non un Monti ragioniere, come vorrebbe la destra, semmai un Monti che faccia politica». E dopo? «Dopo mi auguro che torni la politica». Il 2013 sembra ancora lontano? «Ma no, è domani mattina. Napolitano ha concesso ai partiti quindici mesi per riaccreditarsi davanti ai cittadini. Tutti i sondaggi oggi danno quei partiti attestati intorno al 13, al 14 per cento. Perciò hanno l’obbligo di fare questo percorso: riaccreditarsi».

Eco più in là annuisce: «I partiti hanno chiesto una supplenza, in cui siamo. Bisogna aspettare e sperare che arrivi il momento in cui non ne avranno più bisogno». Quando arriva Giuliano Pisapia la sala si alza in piedi quasi come un sol uomo. Lui è the man, quello che ha battuto Berlusconi a Milano. Monti è invece il convitato di pietra.

In realtà, attenzione, il premier attuale, a un rapido sondaggio, piace a sei persone su dieci, in sala. Qui si chiede più partecipazione. Trasparenza. Lotta alla corruzione. Si evoca Placido Rizzotto. Si cita Oscar Luigi Scalfaro. La Bindi manda una lettera. La Bonsanti anima. Milly Moratti stringe tante mani. C’è don Colmegna, c’è la filosofa De Monticelli. Passa un bussolotto per l’offertorio, come in chiesa. Non manca il collegamento tv, con Lerner che finisce sulla voce di Concita De Gregorio, e Zagrebelsky che lo rimbrotta: «Non si fa così con una signora». Il presidente emerito della Consulta, professorale: «Non siamo stati capiti da tutti. Noi non siamo qui per partecipare a manovre, o lanciare segnali. Sul governo tecnico, lo consideriamo una risorsa, in questo momento. Ma ciò non può significare censura. La discussione non è una minaccia, ma un contributo per evitare algido distacco tra cittadino e istituzioni». Dove però è parso pesare tantissimo quell’aggettivo, «algido», perché «il vero salva-Italia è la riforma della politica»; altrimenti ridotta «come i bambini a balia». Dal Professore.

Pisapia, soprattutto, colpiva. Parla ormai da leader nazionale, di fatto: «Non chiamatemi signor sindaco ma sindaco, o Giuliano (applausone). Ricordiamoci di far partire questa politica dal basso, pensando al benessere di tutti, non di pochi (applauso tiepido)». Cita Doria a Genova. Lancia il programma: «Queste esperienze locali devono diventare nazionali (boato). L’Italia stava annegando, quindi serviva un salvagente, cioè il governo Monti. Noi lo ringrazieremo sempre. Ma a un certo punto la parola dev’essere restituita agli elettori. Ci vuole un altro passo. Anche perché, attenti, Berlusconi non è sparito, sta lavorando».

E Saviano? Se n’è stato nel backstage tutto il tempo. S’è «esaltato» – parole sue – per Pisapia, che l’ha fatto cittadino milanese. E’ comparso infine come rock star, con sala in piedi come per Mick Jagger: «Lo schifo per la politica non è odio, ma voglia che la politica sia diversa. Mi preme dire che la legge sulla corruzione è fondamentale. Questo governo – che risulta prezioso, perché ci porta via dal berlusconismo, e sembra salvarci dal default – deve farla. La grande ansia, in chi osserva, è che questo governo sia sotto ricatto, che si debba fare tutto, tranne giustizia e tv. Proprio per questo bisogna dargli legittimità dialogando». Il Paese nuovo, dice, «non ha cacciato Berlusconi; questo non può che passare da una nuova legge sul finanziamento ai partiti». Un Paese nuovo che sta provando a ripartire dalla sua capitale di fatto, Milano.

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