Se pare un sogno

06 Feb 2012

“Io sono nato nel 1991: non so cosa sia un partito radicato sul territorio, io un partito così non l’ho mai conosciuto…”: come accade quasi sempre è uno dei nostri studenti a dirci la cosa a cui ancora non abbiamo pensato. Probabilmente la più importante e nuova. Questa cosa ce l’ha detta Giulio, un ragazzo della scuola di Libertà e Giustizia di Pavia.

“Io sono nato nel 1991: non so cosa sia un partito radicato sul territorio, io un partito così non l’ho mai conosciuto…”: come accade quasi sempre è uno dei nostri studenti a dirci la cosa a cui ancora non abbiamo pensato. Probabilmente la più importante e nuova. Quella che rompe gli schemi del monotono linguaggio della politica. Questa cosa ce l’ha detta Giulio, un ragazzo della scuola di Libertà e Giustizia di Pavia, sabato scorso. E lo ringrazio.
I giovani non sanno cosa fossero i partiti quando erano forti, hanno conosciuto solo questi, malati e in via di esaurimento per mancanza di ossigeno e di legalità. Per mancanza di idee e eccesso di autoreferenzialità.
Allora tocca pensare davvero a come potrebbe essere un partito, il partito che vorremmo votare, senza pensare al passato. Allora tocca inventare.
Forse il radicamento non è un bene  assoluto. Lo abbiamo sostenuto perché ci pareva l’unico modo per conoscere il territorio e le necessità dei cittadini: bisogni materiali e aspirazioni etiche. Ma il radicamento può diventare un difetto se è l’anticamera dell’autopromozione, della immutabilità degli assetti, del “funzionariato” pesante e a vita, della distribuzione ai fedeli di posti in aziende pubbliche.
Allora diciamo che vorremmo strutture ponte fra società e la politica: strutture di ascolto come quelle degli “organizzatori di comunità” che lavoravano e lavorano per Obama.
Una volta ascoltato il territorio e raccolto problemi e proposte, serve lo studio per trovare le soluzioni. Dunque il partito nuovo deve avere, oltre alle strutture di ascolto, dei centri di studio che elaborino i dati, li analizzino, cerchino soluzioni. Dunque: esperti, competenti nelle varie discipline. Non funzionari e basta, ma studiosi di economia, del lavoro, di cultura, di diritto delle istituzioni ecc.
Dall’ascolto del territorio dovrebbero nascere anche le scelte dei candidati al Parlamento: competenza, dirittura morale, giovani e donne. E sarà sempre il territorio a deciderne l’eventuale ricandidatura.
Il partito nuovo dovrà avere a rotazione dei segretari responsabili: durano un anno o poco più e sono affiancati da una direzione. Nessuna struttura di vertice radicalizzata.
Credo che questo sarebbe l’inizio di un partito non di professionisti della politica, ma di professionisti del cittadino. Una struttura casa di vetro, una struttura di costo bassissimo.
Molto importante dovrebbe essere lo “studio”: la rielaborazione dei bisogni. Nelle varie discipline. Non più macchine parassite, ma comunità produttive, di soluzioni, di idee, di programmi. Sempre in movimento, con uno sguardo al futuro e non inchiodati al presente o peggio al passato.
Di veramente “fisso”, “stabile” solo una sommaria (molto) carta di identità nella quale il cittadino possa riconoscere i valori di fondo, i “non possumus”: le cose su cui non si transige. Pochi principi e concreti, così forti da offrire strumenti in grado di tener testa alla “finanza” o a chiunque si facesse portatore di disegni contro i diritti e i doveri previsti dalla nostra costituzione.
Alla prossima sezione della scuola di Pavia ne parlerò con Giulio e già da ora lo ringrazio per avermi costretta a ripensare…e a buttar giù queste poche righe che, ovviamente, sono solo un inizio di discussione. Ma da qualche parte bisogna pur cominciare, anche se pare un sogno.

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