Italia, un paese sospeso tra indignazione e sfiducia

24 Ott 2011

QUESTA LEGISLATURA resiste. Malgrado che, da mesi, tutti ne evochino la fine. Invocata dall’opposizione, esorcizzata dalla maggioranza. Malgrado che gran parte degli elettori (oltre il 70%) ritenga la parabola di Berlusconi ormai conclusa.

QUESTA LEGISLATURA resiste. Malgrado che, da mesi, tutti ne evochino la fine. Invocata dall’opposizione, esorcizzata dalla maggioranza. Malgrado che gran parte degli elettori (oltre il 70%) ritenga la parabola di Berlusconi ormai conclusa. Non credono alla risalita del Cavaliere neppure gli elettori del Pdl (45%), tantomeno i leghisti (20%).

Tuttavia, si prosegue. O meglio, si staziona. Mentre la sfiducia dei cittadini cresce, insieme all’incertezza nel futuro. I dati dell’Atlante Politico di Demos, raccolti attraverso un sondaggio condotto durante la scorsa settimana, descrivono, infatti, uno scenario statico e pressoché stagnante, sul piano elettorale.

I due principali partiti confermano il loro debole primato nella coalizione. Il Pd, in lieve calo, si attesta intorno al 28%. Il Pdl, in lieve crescita, raggiunge il 26%. Insieme superano di poco il 54%. Alle politiche del 2008 erano oltre il 70%. Una conferma di più che la prospettiva bipartitica è ormai illusoria. Ma, soprattutto, un segno di crisi del bipolarismo così come l’abbiamo conosciuto.

D’altronde, gli alleati dei due partiti maggiori – IdV e SEL, a centrosinistra, la Lega, a centrodestra – occupano uno spazio rilevante. Ma non possono svolgere un ruolo aggregante. Non ne hanno la vocazione e tanto meno il peso. La Lega, peraltro, appare in calo sensibile.

Gli scenari elettorali tracciati in base alle possibili coalizioni confermano le tendenze dell’ultimo anno. Il Centrosinistra – impostato sull’alleanza fra PD, IdV e SEL – sembra in grado
di prevalere comunque. Da solo, in una competizione a tre, contro il Centrodestra e il Centro. A maggior ragione, se alleato con il Centro. Ma anche messo di fronte al Centrodestra allargato al Centro. Il quale conferma la sua difficoltà coalizionale. Perché i suoi elettori soffrono ogni spostamento; verso sinistra, ma anche verso destra. Mentre da solo il Terzo Polo allargherebbe i consensi molto al di là della somma del voto attribuito ai partiti che ne fanno parte – UdC, API, FLI.

Le stime di voto si riflettono nelle previsioni degli elettori. Quasi il 50% di essi pensa che se si votasse oggi vincerebbe il Centrosinistra, il 37% il Centrodestra, per il quale significa 10 punti in più rispetto a un mese fa. La ripresa del Centrodestra, nella percezione degli elettori è favorita, forse, dal successo alle Regionali in Molise, per quanto stentato. Ma è, soprattutto, un segno che si respira aria di elezioni anticipate. Non a caso si è ridotta la quota di coloro che, al proposito, non esprimono un’opinione. D’altronde, è diminuita sensibilmente anche la “zona grigia” dell’incertezza e dell’astensione elettorale. Oggi non supera il 25%: circa 10 punti percentuali meno di un mese fa.

Eppure, l’orizzonte resta pervaso dall’incertezza. Di fronte alla crisi politica attuale, infatti, gli elettori si dividono in modo eguale fra le tre soluzioni proposte: un governo di emergenza, guidato da una figura autorevole (l’ipotesi preferita, anche se di poco: 34%); nuove elezioni nei prossimi mesi; oppure tirare avanti, con questo governo, fino al 2013. Insomma, come si è detto, questa legislatura sfinita non si decide a finire. Anche se la stanchezza del governo è evidente e riflette, anzitutto, la stanchezza della leadership.

La fiducia nei confronti di Silvio Berlusconi, infatti, è ai minimi (22%, quasi come il mese scorso). Più basso di lui, solo Bossi, il fedele alleato. I due appaiono saldamente legati, nella buona e nella cattiva sorte.
Tuttavia, questa palude di sfiducia rischia di inghiottire tutto e tutti. Non solo i partiti e gli uomini della maggioranza.

Basta guardare gli indici di fiducia nei confronti dei leader politici. Tutti in calo. In testa è tornato Tremonti, con il 37% di consensi. Ma solo perché, nell’ultimo mese, ha perso meno degli altri. Un anno fa, tuttavia, il credito verso il ministro dell’Economia era superiore di 10 punti percentuali. Il leader del PD, Bersani, ottiene la fiducia del 34% degli elettori: 7 punti meno di un anno fa. L’indice di fiducia verso Vendola, rispetto al novembre 2010, è sceso addirittura di 15 punti. Ora è al 33%.

Perfino Beppe Grillo – che, sulla sfiducia verso “tutti” i partiti, ha fondato la propria fortuna – nell’ultimo anno un anno ha perso 8 punti di consenso. Di Pietro, restando fermo al 35% come un anno fa, è quasi in testa alle preferenze. Il fatto è che la fiducia si è rarefatta. Basti pensare che nella graduatoria costruita in base agli indici di fiducia personale, nel novembre del 2010, il leader posizionato al 5° posto, cioè a metà, otteneva il consenso del 39% degli intervistati. Oggi la fiducia verso il leader che occupa la medesima posizione è scesa al 30%.

La sindrome della sfiducia affligge tutti gli attori politici. I partiti per primi: “stimati” (si fa per dire) da meno del 5% dei cittadini. Ma anche le istituzioni. Lo Stato (il cui l’indice di fiducia si è ridotto al 20%), la stessa magistratura (42%: 7 punti meno di un mese fa). L’onda grigia lambisce perfino il presidente della Repubblica, che dispone di un consenso cosmico, rispetto a tutti gli altri. Il 70% dei cittadini esprimono “molta/moltissima” fiducia nei suoi confronti. Il che significa, però, 4 punti in meno di un mese fa.

D’altronde, la sfiducia nel futuro (62%) non è mai stata così alta, negli ultimi dieci anni.

Anche per questo motivo non sorprende che la maggioranza degli italiani esprima sostegno gli “indignati” che hanno manifestato il 15 ottobre a Roma. Nonostante le violenze che ne hanno funestato lo svolgimento – le cui responsabilità, tuttavia, sono attribuite prevalentemente ad altri soggetti. Non è solo perché è difficile disconoscere le buone ragioni degli “indignati”.

La frustrazione dei giovani, privati del futuro, costretti a un eterno presente, naturalmente precario. Il fatto è che l’indignazione è, ormai, un esercizio collettivo. Tutti si sentono – e sono – indignati. Contro le istituzioni pubbliche, contro lo Stato, gli statali, i partiti, i politici. Contro la Casta. Perfino i politici e la Casta si sentono indignati. Reciprocamente e contro chi si indigna con loro.

Da ciò il rischio. Che l’indignazione smetta presto di essere una virtù rivoluzionaria. E diventi un riflesso condizionato. Una parola alla moda. L’ultima beffa verso coloro che hanno tutti i motivi per dirsi “Indignati”. Non gli hanno rubato solo il Futuro e il presente. Ma perfino l’Indignazione.

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