Berlusconi parla ai suoi

Che cos’altro ci toccherà vedere fino a quando Berlusconi resterà a Palazzo Chigi? Per il momento va in scena lo spettacolo, del tutto inedito, di un presidente del Consiglio che parla a mezzo Parlamento, cioè alla sua sola maggioranza, cioè da solo. Con la sua assenza, che non è un vero e proprio Aventino, perché domani sarà in aula a scandire il suo “no”, l’opposizione ha voluto segnare la distanza, anche fisica, da un governo che opera al di fuori delle modalità democratiche e non si è dimesso neppure dopo la bocciatura sul rendiconto dello Stato, rifiutandosi di seguire la prassi dei suoi predecessori. Ma quest’immagine dell’aula spaccata a meta, con i banchi del centrosinistra vuoti, ha finito per dare una significativa valenza all’ appello del premier. Le sue parole sono apparse più rivolte a una maggioranza debole e confusa anziché all’opposizione. La sua affermazione, secondo cui se cade questo governo si va al voto, è valsa per la fronda interna più che per Bersani o Casini. Tutto ciò, naturalmente, all’interno delle solite   “invenzioni” berlusconiane. Con tutti gli slogan più risaputi.. Il governo ha operato bene, l’Italia ha fronteggiato meglio di altri paesi la crisi. Ha varato la manovra, che è apprezzata in Europa, e ora presenterà il piano per lo sviluppo. C’è stato “l’incidente grave” della bocciatura sul rendiconto, ma l’esecutivo ci porrà rimedio, a prescindere dai dubbi costituzionali su questa sua iniziativa, perché si tratta di un “atto strettamente contabile”. Non ci sono alternative a questa maggioranza. Tutti i problemi li risolverà Berlusconi, non può affrontarli un governo tecnico, “non legittimato democraticamente”.

Poco più di venti minuti di discorso e nulla di nuovo. Così Berlusconi ha chiesto l’ennesima fiducia, per la cronaca la numero 53. Ma bisogna fare attenzione a come il premier ha motivato la richiesta: se il governo, questa fiducia, dovesse perderla, non c’è altra strada se non quella di “dare la parola agli elettori” perché sono loro che “fanno i governi” e scelgono il capo dell’esecutivo. Questa è la sua personale interpretazione della Carta costituzionale, dimenticando che la nostra è ancora, malgrado tutto, una repubblica parlamentare. E questo è, in soldoni, l’avvertimento che lui dà ai tanti riottosi della sua maggioranza.. Insomma, non c’è spazio per il dissenso. Se cade Berlusconi, cadono anche i suoi oppositori. In ogni caso, del voto di fiducia il premier è certo. Non lo turbano i boatos del Transatlantico di Montecitorio. Qualcuno magari mancherà all’appello. Ma anche l’opposizione ha le sue perdite: la pattuglia dei sei deputati radicali ha celebrato il distacco dal gruppo del Pd, decidendo d’essere l’unica opposizione presente in aula.

I problemi si porranno il giorno dopo la fiducia. Un succoso antipasto si è avuto nello scontro in Consiglio dei ministri tra il superministro dell’Economia, Tremonti, e il responsabile della politica per lo sviluppo, il ministro Romani. Il che ci porta alla lotta, senza esclusione di colpi, tra Berlusconi e Tremonti, essendo Romani, nel campo oggetto della controversia, la voce del Cavaliere. Siamo sempre allo stesso punto: il governo, per sopravvivere, deve  ricorrere al voto palese della fiducia, ma poi non riesce ad andare avanti nel normale lavoro parlamentare. L’alternativa è tra il collasso e una stentata sopravvivenza, tra i disperati tentativi di scampare alla catastrofe e la certezza di precipitarci dentro. A questo punto, però, c’è un capo dello Stato, Napolitano, che ha chiesto all’esecutivo di non limitarsi a esibire una maggioranza numerica, ma a dimostrare di essere in grado di fornire “risposte credibili” alle esigenze del Paese. È qui l’assillo, per Berlusconi. Che tenta di recuperare il logorato rapporto con il Quirinale. E, nel suo discorso, ha elogiato “l’impeccabile vigilanza” del presidente della Repubblica.

Tutti sono consapevoli che un nuovo incidente parlamentare avrebbe come sbocco più probabile il ricorso anticipato alle urne. Berlusconi ripete la frottola di una “maggioranza coesa”, in condizione di arrivare al 2013, scadenza normale della legislatura. Ma in che modo? Più prosaicamente, conta di arrivare a gennaio, quando l’ipotesi di un governo di transizione, già inficiata dalla prevista fiducia, si sarebbe definitivamente consumata. È pronto a puntare sull’azzardo, attaccato alla poltrona di Palazzo Chigi. Ma sullo sfondo dell’ennesima pagliacciata berlusconiana c’è purtroppo il dramma delle crisi che morde il Paese.

4 commenti

  • Colgo l’occasione per condividere anche quanto detto da Sandra Bonsanti nell’intervento “Costituzione ad personam”. Io penso che, nel momento in cui Berlusconi fosse sfiduciato (anche a gennaio), il presidente della Repubblica avrebbe il pieno diritto, come prevedono le sue prerogative, di conferire a un’altra personalità l’incarico di formare un nuovo governo, magari un governo tecnico. E chi può escludere che, a quel punto, certi maneggioni del Parlamento, non sperando di poter essere rieletti, votino la fiducia a un altro premier, per salvare almeno il vitalizio parlamentare, tenendo in piedi la legislatura? Certo, non è questa la politica che desideriamo, ma se per una volta i calcoli della casta parlamentare coincidessero con il bene dell’Italia, ossia la caduta di Berlusconi, sarebbe una cosa positiva e anche una bella beffa per chi su questi calcoli si è tenuto a galla finora.

  • Esteticamente parlando: la vacuità del discorso si intonava pienamente alla volatilizzazione, corporea e mentale, dei nostri parlamentari.

  • Ormai non mi fido più di questi politici. Se per il dopo-Berlusconi si riuniscono per un seminario a Todi i cattolici della compagnia delle opere, della cisl, della coldiretti e di confartigianato e titolano il loro incontro “La buona politica per il bene comune. I cattolici protagonisti della politica italiana” non mi interessa più ne il berlusconismo e il suo declino ne il post-berlusconismo. Tanto Berlusconi cade quando lo decide Bagnasco e quando i preti avranno un governo pronto a succedergli (vedi Scajola e Pisanu e Ruttelli e i moderati tutti pronti con forchetta e coltello alla mano). I comitati d’affari che fanno capo al Vaticano non molleranno questo paese fino a quando non lo avranno spolpato, ridotto ad un ramo secco come un corpo divorato da metastasi e piaghe da decubito. Devono ancora vendicarsi della breccia di portapia altro che 150° anniversario dell’unità d’Italia) Quindi non solo non voterò mai più ma osserverò con ansia gli esiti della crisi greca, nella speranza che quel povero paese martoriato segni anche per l’Italia una via d’uscita dalla presa mortale del parassità cattolico e del corrotto post-socialista. Non saremo mai un paese laico, democratico e indipendente se si continua con i concordati e con la sovranità in condominio con il Vaticano. Berlusconi è il figlio di Camillo Ruini, il fratello di Bettino Craxi, il socio di Massimo Dalema e l’adultera infedele di Fini e di Casini. Finito lui, ne inventeranno un altro e se Cicciolina ha detto che adesso la politica è un casino, ci vuole un partito serio, vedrete che i radicali si stracceranno le vesti per suggerire un altro immondo premier, magari scelto da qualche altro fascistoide mascherato da riformatore.

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