Quando il non voto era sanzionato

11 Giu 2011

In queste ultime ore prima dell’apertura dei seggi stiamo davvero precipitando nel paradosso: ormai sembra quasi che sia un dovere “non” andare a votare. O almeno, coloro che hanno deciso di astenersi domenica e lunedì, rivendicano con orgoglio il diritto a non presentarsi al seggio

In queste ultime ore prima dell’apertura dei seggi stiamo davvero precipitando nel paradosso: ormai sembra quasi che sia un dovere “non” andare a votare. O almeno, coloro che hanno deciso di astenersi domenica e lunedì, rivendicano con orgoglio il diritto a non presentarsi al seggio. D’accordo, è una scelta possibile ed è legittimo farla. Così sostengono anche molti esponenti della maggioranza, a cominciare dal presidente Berlusconi. Ma non è bello, né edificante, che l’invito a disertare le urne venga da alti rappresentanti istituzionali. E la volontà del popolo contenuta nella scheda (faro perenne del populista Cavaliere) non conta più? E la mitica “gabina” elettorale, esaltata da Bossi in altri momenti, dov’è finita? Stavolta conoscere la volontà del popolo nei referendum è “inutile” (ipse dixit).

Tutto ciò premesso, ci corre l’obbligo di ricordare alcuni dati e concetti di base costituzionali. Anzitutto ha proprio ragione il Capo dello Stato Napolitano, il quale non parla per caso, neppure quando si esprime al di fuori dei comunicati ufficiali. Lunedì scorso il presidente ha detto: “Io sono un elettore che fa sempre il suo dovere”, rispondendo ai giornalisti che gli chiedevano se intendeva recarsi alle urne per i referendum.
Napolitano si mostra così assolutamente rispettoso dell’articolo 48 della Costituzione (che anche LeG richiama nella home page in questi giorni): “Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è un dovere civico”. E non è neppure la prima volta che Napolitano si esprime così. Esattamente l’8 giugno 2005, a pochi giorni dal referendum sulle norme per la procreazione assistita, Napolitano (non ancora eletto al Quirinale) dichiarò che certamente sarebbe andato a votare, in una intervista a radio Radicale (autore Alessio Falconio).

La pensa così anche il presidente della Camera, Fini: ” Vado a votare, perché il referendum è una forma di partecipazione del cittadino. Può stare a casa, è un suo diritto, ma in questo modo si incentiva l’assenza di partecipazione. Puntare sul fallimento del quorum sarà anche legittimo, ma è politicamente sbagliato”.
Naturalmente, il premier Berlusconi non può che pensarla in modo opposto a Napolitano (e a Fini). Infatti ha detto: ” Non mi recherò a votare. E’ un diritto dei cittadini decidere se votare o meno per il referendum”. E il ministro del Lavoro, Sacconi: “Non votare è un diritto costituzionale”. Addirittura.

Non è proprio così. Astenersi è certo una facoltà. Ma si può anche deporre nell’urna scheda bianca (se non ci si vuole esprimere nel merito), adempiendo così al dovere di votare. Inoltre, l’articolo 48 sta nella prima parte della Costituzione (Titolo IV, rapporti politici), cioè ha un valore generale, per i voti dati dagli elettori in qualsivoglia consultazione. Non è legato solo alla parte seconda (il Parlamento, elezione della Camera, articolo 56). E l’articolo 75 afferma che “hanno diritto” a partecipare ai referendum i cittadini chiamati ad eleggere la Camera; si prevede il quorum della maggioranza, ma non si dice affatto che non votare è riconosciuto come un diritto costituzionale, pur essendo una scelta legittima. Quindi votare è “un dovere civico”. Vorrei aggiungere che durante il dibattito alla Costituente (erano altri tempi, luglio 1946, con altri statisti!), non passò – perché non si volle essere troppo esigenti e vincolanti – una versione del secondo comma dell’art. 48 che così diceva: il voto è “un dovere civico e morale”. Si pensò che, dato che si intendeva sanzionare nella legge elettorale gli elettori non votanti, non era opportuno censurare un atto che investiva una qualità morale del cittadino. Scrupoli costituzionali che oggi sarebbero davvero impensabili!
In ogni caso, poiché il sottoscritto è davvero un ‘parruccone’, ricorda bene una vecchia sentenza della Corte costituzionale presieduta da Aldo Sandulli (n.96, 2 luglio 1968): nelle considerazioni in diritto, al punto 3, si legge che “in materia di elettorato attivo, l’articolo 48, secondo comma, della Costituzione ha, poi, carattere universale ed i princìpi, con esso enunciati, vanno osservati in ogni caso in cui il relativo diritto debba essere esercitato”. Sembra abbastanza chiaro, anche per il nostro premier.

Infine ricordo che in altri tempi i cittadini non votanti per le elezioni delle Camere, venivano sanzionati (dpr n.361 del 30 marzo 1957). Le consultazioni referendarie erano ancora lontane. Articolo 4: ” L’esercizio del voto è un obbligo al quale nessun cittadino può sottrarsi senza venir meno ad un suo preciso dovere verso il Paese”. Ma c’era ben di più all’articolo 115: “L’elettore che non abbia esercitato il
diritto di voto, deve darne giustificazione al sindaco (….) L’elenco di coloro che si astengono dal voto (…)senza giustificato motivo è esposto per la durata di un mese nell’albo comunale (…) Per il periodo di cinque anni la menzione ‘non ha votato’ è iscritta nei certificati di buona condotta (…)”. Naturalmente sappiamo tutti benissimo che la sanzione per coloro che non vanno a votare non è più in vigore. La norma è stata abrogata nel 1993. Non esiste più la sanzione, tuttavia il “dovere civico” previsto dall’articolo 48 rimane (proprio nei termini chiariti dalla Consulta e dalle parole inequivocabili di Napolitano). Quindi, buon voto a tutti.

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