Berlusconi, Fini e l’incognita di una mossa a sorpresa

07 Set 2010

Decidendo di salire al Quirinale per chiedere le dimissioni di Fini, Berlusconi e Bossi stanno varcano la soglia di un conflitto istituzionale che non ha precedenti. Non rientra nelle prerogative del Quirinale “dimettere” il presidente della Camera. Il presidente del Consiglio gli chiede di farlo secondo una Costituzione materiale di propria invenzione. Una mossa che rivela tutta la debolezza del Cavaliere

La valutazione è comune: decidendo di salire al Quirinale  per chiedere le dimissioni di Fini, Berlusconi e Bossi stanno varcano la soglia di un conflitto istituzionale che non ha precedenti. L’attacco frontale è a Fini. Il Cavaliere vuole metterlo definitivamente alle corde, stringerlo in un assedio che non lascia nessuna via d’uscita, cancellare qualsiasi soluzione politica che possa avere il presidente della Camera tra i suoi punti di riferimento. Ma in questo modo coinvolge nello scontro il capo dello Stato, con cui ha rapporti difficili, sovrastati da sospetti e diffidenza. Certo, la tesi dell’ “incompatibilità” di Fini  non è nuova per il Cavaliere. Però, ancora non  era stata portata sul Colle più alto, nello studio presidenziale. Anche Berlusconi non può non sapere che non rientra nelle prerogative del Quirinale “dimettere” il presidente della Camera. E, tuttavia, gli chiede di metterlo in mora. Secondo una Costituzione materiale di propria invenzione. Che risponde alla sua interpretazione cesaristica della politica, alla sua logica padronale, alla sua intolleranza repressiva.

E’ una mossa all’apparenza forte. Ma, al di là delle dichiarazioni dei pasdaran, rivela una sostanziale debolezza. Si presenta come l’iniziativa disperata di un leader che si sente franare il terreno sotto i piedi. Perchè, malgrado ogni artificio, non può nascondere la sua debacle, segnata dalla morte di quella sua creatura politica, il Pdl, che si era inventata per garantirsi il potere. Oggi, quindi, deve inventarsi un altro schema di gioco, sapendo che non può più giocare tutta la partitita in termini di comando. Probabilmente, la stessa decisione di salire al Quirinale, per mettere in mora Fini, è già il frutto di un compromesso. Tra Bossi e Berlusconi. Tra il capo del Carroccio che voleva le elezioni subito e il premier che ancora esitava. La soluzione finale fa pendere comunque la bilancia dalla parte della Lega. Questo è, infatti, il succo: col presidente della Camera che “si mette di traverso”, è impossibile per il governo andare avanti; di conseguenza, o Fini si leva di torno oppure tanto vale andare alle urne.

In realtà, è facile per Bossi dire “elezioni”. Come che vada, lui vince sempre. La Lega è destinata ad accrescere i suoi suffragi. Dalle urne uscirà più forte. Ai danni del Pdl, e probabilmente non solo al Nord. E’ naturale, dunque, che il “senatur” soffi sul fuoco. I sondaggi, invece, sono contrari a Berlusconi che tanto li ha amati. Il premier dovrà ammettere che il grande raccolto elettorale di due anni fa è stato del tutto inutile, che non è stato in grado di mantenere la promessa di governabilità solennemente enunciata. Lui è solito affrontare ogni campagna elettorale all’attacco. Ma questa volta sarebbe costretto a giocare in difesa. Grande raccontatore di sogni, vedrebbe ora messi in piazza i suoi incubi. Il plebiscito elettorale è tutt’altro che certo. E, se dovesse perdere, per il Cavaliere sarebbe la fine. La Lega, al contrario, avrebbe altre opzioni, da mettere a frutto.

Molti dicono che si corre ormai verso le elezioni. Ma le variabili rimangono. E’ certa la cancellazione dall’agenda del “patto di legislatura”, proposto da Fini a Mirabello, mai peraltro preso in seria considerazione, presupponendo una disponibilità alla trattativa che da parte del Cavaliere non c’è mai stata. Tuttavia, non è da escludere che si finisca per stiracchiare la maggioranza ancora per un po’, attraverso la cosiddetta verifica, in cui tutti i gruppi del centrodestra votano i famosi punti programmatici, mantenendo ciascuno, però, le proprie riserve mentali. Berlusconi potrebbe pensare così di guadagnare tempo, portando avanti, tra i finiani più tiepidi, e nell’area grigia dei mini-partiti, una campagna acquisti che finora non ha dato grandi risultati. Se, però, anche questa si rivelasse una strada senza uscite? Sullo sfondo rimane l’incongita di una mossa a sorpresa, un altro predellino, uno “strappo”,  da parte di un premier per il quale non è una remora la distruzione degli equilibri istituzionali. Il berlusconismo sta finendo. Ma minaccia di trascinare nella sua rovina il Paese.

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