* quella che riportiamo è una versione aggiornata rispetto al testo pubblicato su La Stampa
È vero, esiste una questione di “confini”. Sono i confini della nostra democrazia, costituzionale, antifascista, pluralista, europeista, quella che ci hanno consegnato le madri e i padri costituenti dopo gli orrori del potere assoluto del fascismo e del nazismo. Nettissima la linea che separa governo e organi di garanzia (giudici indipendenti e Corti costituzionali), “garanzia” delle minoranze e non delle maggioranze al potere. Confini da presidiare e difendere contro chi non li rispetta semplicemente perché, di fatto, non li vede, e non li vede perché non li sente come propri, ha un’altra visione della democrazia e del potere, e perciò quei confini li forza, li erode, li riscrive. È quel che sta accadendo con la destra di governo, in modo sotterraneo ma talvolta ostentato, quasi a voler segnare un prima e un dopo con la democrazia costituzionale fondata sull’antifascismo, che vuole i poteri limitati, tutela i diritti di tutti e a tutti dà voce. La sua visione è molto diversa e non può non preoccupare chiunque abbia a cuore, invece, proprio i “confini” della democrazia costituzionale e voglia, legittimamente difenderli.
Se la vicenda dei dossieraggi ha acceso i riflettori sulla fragilità della nostra democrazia, non meno rivelatori sono i due anni di governo che abbiamo alle spalle quanto all’assenza di una “mentalità costituzionale” necessaria a scongiurare il pericolo di sconfinamenti, culminati nell’aggressione ai giudici – di Roma e poi di Bologna – sulla vicenda migranti/Albania/paesi sicuri. Non c’è bisogno di condividere le sentenze per rispettare i confini della democrazia costituzionale: dentro quei confini c’è posto per il dissenso, le impugnazioni, le revisioni critiche.
Stiamo ai fatti. Se la nostra classe dirigente fosse guidata da una sincera mentalità costituzionale, non avremmo assistito all’ennesimo, ripetuto, attacco frontale contro i giudici da parte della premier e del suo cerchio magico, politico e mediatico. Né avremmo ascoltato parole inaudite come: “I giudici devono aiutare il governo” e, siccome non lo fanno, bisogna “cambiare la Costituzione”, a partire dalla separazione dei poteri. Se la destra avesse una radicata mentalità costituzionale, non spaccerebbe per “collaborazione istituzionale” la pretesa di avere giudici allineati, afasici, apatici, burocrati, né spaccerebbe per “opposizione politica” la funzione contromaggioritaria degli organi di garanzia ma l’accetterebbe in quanto funzione naturale di “limite” agli sconfinamenti del potere politico, proprio a garanzia di chi il potere non ce l’ha. E per contestare le decisioni dei giudici, seguirebbe la strada prevista dall’ordinamento, quella delle impugnazioni; e la critica sarebbe civile, non delegittimante con tanto di gogna mediatica. Se ci fosse una vera mentalità costituzionale, la destra non negherebbe il primato del diritto europeo su quello interno né l’obbligo dei giudici di disapplicare la legge contrastante, salvo precipitarsi a proporre emendamenti (targati Lega ma fotocopia di identici Ddl a firma Giorgia Meloni presentati nella scorsa legislatura) per cancellare proprio i vincoli internazionali (esistenti) e l’“obbligo” (esistente) di disapplicare le norme interne in contrasto con quelle dell’Ue. Né la premier definirebbe “propaganda” politica la scelta, prudente, dei giudici di interpellare la Corte Ue sui “paesi sicuri”.
Da un lato si invoca il rispetto dello stato di diritto, dall’altro se ne ignorano i “fondamentali”. Se così non fosse, chi governa non ostenterebbe il proprio ostruzionismo verso sentenze della Consulta (fine vita, diritti dei figli arcobaleno, diritto dei detenuti all’affettività, doppio cognome) che restano lettera morta come i diritti da esse riconosciuti: i cittadini hanno “quei” diritti ma non possono esercitarli perché alla maggioranza non piacciono. Altro che golpe dei giudici! Il pensiero va alla Polonia, quando il precedente governo, per vanificare le sentenze della Corte costituzionale, tentò di non pubblicarle sulla Gazzetta ufficiale, rendendole di fatto inesistenti.
Se le destre non fossero “straniere in patria”, l’elezione parlamentare del giudice costituzionale mancante da un anno non sarebbe stata gestita, dalla premier in persona, come se la Corte fosse cosa sua, rivendicando pubblicamente (fatto senza precedenti) la propria prerogativa “di dare le carte”, senza mai far sedere al tavolo l’opposizione per condividere un passaggio importante della vita democratica del paese; né avremmo assistito – dopo un anno di melina per arrivare a ridosso della scadenza di altri tre giudici, a dicembre, in modo da confezionare un “pacchetto” di quattro – a un vero e proprio blitz della premier per imporre il “suo” giudice, forte dei numeri ottenuti, nottetempo, con i cambi di casacca politica; blitz fallito ma “venduto” dalla propaganda come “risposta responsabile” della presidente del Consiglio al richiamo lanciato a luglio dal Capo dello Stato… Questo accade qui da noi, mentre in Germania, pensate, si sta invece approvando una riforma della Costituzione per sottrarre a un solo partito il potere di bloccare gli altri nell’elezione dei giudici costituzionali…
Assistiamo alla sfrontata esibizione di un potere muscolare, assoluto, che butta il sasso e poi nasconde la mano, che confonde e manipola, intollerante con i poteri di controllo, che criminalizza il dissenso, spinge alla delazione i medici di fronte ai bimbi nati da maternità surrogata; crea improbabili reati universali ma nega i diritti universali dei figli. Un potere che, provocatoriamente, forza le regole per potersi poi scagliare contro chi, quelle regole, ha il dovere di ristabilire. Così è stato con i giudici di Roma, con quelli di Bologna e, prima, con quelli di Catania, per rimanere ai migranti, e così sarà con la Consulta quando smonterà alcune leggi approvate in questi due anni forzando i confini della Costituzione. No, non è il solito scontro tra politica e giustizia. La partita è più grande e ci riguarda tutti, perché ha a che fare con la difesa dei confini dei nostri spazi di libertà e di democrazia come li ha disegnati la Costituzione.