Una cosa è certa. La coalizione del centrodestra ha dichiarato che, se vincerà le prossime elezioni, procederà ad una riforma costituzionale che trasformerà il nostro Stato da una Repubblica parlamentare, e cioè retta da un governo (Consiglio dei ministri) sostenuto da una maggioranza in Parlamento, in una Repubblica presidenziale, e cioè un governo che avrà la propria origine e il proprio riferimento nella persona del Presidente della Repubblica che, di conseguenza, dovrà essere eletto direttamente dai cittadini, per avere una propria legittimazione popolare.
Se poi la formula sarà quella del semi-presidenzialismo alla francese, le differenze non saranno molte. Quali e quante saranno le conseguenze di tale mutamento costituzionale! Molte, moltissime, e di fondamentale rilevanza. Innanzitutto la personalizzazione del potere presidenziale. Infatti non ci sarà più una proposta programmatica legata alla elaborazione di un programma politico, frutto della decisione collettiva di quelle entità diffuse sul territorio che si chiamano partiti politici, ma uno staff dipendente da una singola persona che determinerà i suoi programmi e la sua azione politica, con rapporti di interesse di tipo aziendale.
Lo stesso governo sarà composto da ministri nominati dal Presidente (e dallo stesso licenziabili in ogni momento) i quali, più che essere responsabili dei singoli settori amministrativi dello Stato, saranno coloro che rispondono al Presidente del loro operato, senza un rapporto con il proprio partito di provenienza, e tanto meno con l’elettorato di riferimento. Per mantenere il proprio potere, il Presidente più che perseguire un disegno politico coerente con una strategia politica di medio o lungo periodo, sarà occupato a ricercare il consenso mediante atti di stampo populistico, guardando più ai sondaggi di opinione che ai reali problemi da affrontare, abbandonando spesso i temi più cruciali e legati ai bisogni dei cittadini, spesso assai più spinosi, per cercare di compiacere gli elettori su strade più facili e più popolari.
Anche i partiti politici, che nella vigente Costituzione sono considerati come gli strumenti principiali della vita politica nazionale, diverranno (e in parte già lo sono) comitati di sostegno o di opposizione, alla politica dell’esecutivo – impressionata dal Presidente – assumendo sempre più la configurazione di comitati elettorali, più preoccupati di mantenere il potere che di sviluppare proposte politiche utili per governare. In definitiva, anziché costruire la politica nazionale attraverso il dibattito parlamentare tra le diverse forze politiche – che si scontrano, ma talvolta potrebbero trovare anche i compromessi utili – la politica del Paese è definita da una sorta di struttura aziendale caratterizzata da un vincolo di dipendenza politica, il cui capo è il Presidente, con ruolo simile a quella di un Amministratore Delegato di grande azienda.
Così crollerebbe definitivamente il principio generale, concepito dalla Costituzione del 1947, secondo cui i partiti politici, con le loro articolazioni sul territorio, elaborano le proposte politiche, che il Parlamento discute e che il governo raccoglie per renderle esecutive e attuabili. Il tutto sotto la garanzia della vigilanza del Presidente della Repubblica, garante del rispetto dei principi e meccanismi costituzionali.
I caratteri fondamentali del nostro sistema politico-istituzionale sarebbero inesorabilmente travolti. Tutto ciò verrebbe sostituito da un organo unipersonale onnipotente, che controlla un organismo esecutivo di subordinati, che si rivolge al Parlamento per fare approvare le leggi e gli atti politici da lui stesso proposti. Il quadro che ne risulta è desolante.
La politica sarà personalizzata come ai tempi della dittatura. Il governo sarà limitato nella sua azione alla coerenza con i disegni e la volontà del suo capo, e cioè il Presidente. Il Parlamento sarà più che mai un semplice ratificatore o giù di lì, delle proposte governative. I partiti saranno comitati d’appoggio, quasi totalmente privi di iniziativa politica. Se poi aggiungiamo a tutto ciò i personalismi che caratterizzano la nostra vita politica, il populismo di cui necessiterà di Presidente per tenersi in piedi, l’opportunismo ed il trasformismo dei sempre più rari eletti indipendenti, chi va in Parlamento per vivere una vita di privilegi anziché per idealità, la frittata è fatta! Avremo una sorta di monarca e una folta schiera di ciambellani.
E tutto ciò senza i “contrappesi” costituzionali statunitensi e buttando alle ortiche ciò che Gran Bretagna e Germania stanno praticando con successo, la prima da secoli, la seconda da meno tempo, ma con grande stabilità politica.
*L’autore dell’articolo è socio del Circolo LeG di Brescia.