La sicurezza e un governo di polizia

07 Dicembre 2018

Nadia Urbinati Consiglio di Presidenza Libertà e Giustizia

La legge sulla sicurezza approvata dal Parlamento assegna larghissimo spazio all’immigrazione, facendone a tutti gli effetti un tema di ordine pubblico, di polizia. Regola la presenza dei migranti in maniera molto restrittiva, abrogando il permesso di soggiorno per motivi umanitari e togliendo la protezione a chi chiede asilo da trattamenti disumani e degradanti.

Propone una lettura disumana della Costituzione, ed esce dall’alveo delle convenzioni internazionali sulla protezione dei diritti di bambini e ragazzi, che l’ Italia ha sottoscritto (l’ art. 10 della Costituzione dice che “La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali). Come ha scritto Chiara Saraceno su Repubblica, “dopo l’ approvazione della nuova legge sulla sicurezza i figli di coloro che hanno ottenuto protezione umanitaria dovranno seguire il destino dei genitori, obbligati a lasciare i luoghi in cui avevano trovato accoglienza e progetti di inserimento”. Mario Morcone, rappresentante del Consiglio italiano per i rifugiati, ha spiegato che “richiedenti asilo e rifugiati non hanno commesso alcun reato. La Convenzione di Ginevra prevede esplicitamente che gli Stati non possano adottare sanzioni penali contro i rifugiati solamente per il loro ingresso o soggiorno irregolare”.
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La legge e la sua approvazione sollevano il problema del ruolo degli organi di controllo, in primis le corti e chi si occupa di sorvegliare affinché venga garantito al paese il governo della legge: al paese, ovvero a chi lo abita (cittadini e cittadini naturalizzati, immigrati residenti e ammessi, e rifugiati.) I diritti umani sono diritti della persona, non dei soli cittadini.
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Le democrazie si sono stabilizzate dopo la Seconda guerra mondiale e due decenni di dittature riconoscendo questo principio, che mette la legge sopra le maggioranze e i governi. Che maggioranza e governi ricevano la legittimità del consenso elettorale non è ragione sufficiente perché agiscano come l’ opinione della maggioranza vuole.
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Il momento difficile nel quale si trova la nostra democrazia richiede una riflessione critica e competente sulla tensione che si manifesta tra “governo della legge” e “governo degli uomini”, per riprendere una terminologia classica molto chiara. Siamo di fronte, non solo in Italia, allo stravolgimento della maggioranza che da principio di decisione si fa potere diretto che stiracchia al massimo i limiti imposti dalla Costituzione. Questa è la faccia del populismo del XXI secolo, che può stare nei binari del governo della legge fino a quando il potere indipendente della giustizia esercita la sua funzione.
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A fianco di altre grandi questioni che la svolta populista globale rappresenta e determina, quello della trasformazione delle democrazie costituzionali in costituzionalizzazioni di una maggioranza è un problema spinoso, gravido di conseguenze che devono farci ponderare sul significato e l’ estensione dell’ antica massima per la quale la libertà si protegge limitando il “governo degli uomini”. Per fermare un treno che potrebbe deragliare, con danno per tutti, non solo per i rifugiati, non si deve dimenticare che nell’età costituzionale le dittature hanno iniziato con il togliere i diritti alle minoranze, aprendo la strada alla discrezionalità (diceva Mussolini che nella sua “concezione non esiste la divisione dei poteri”) che si è tradotta in governo di polizia per tutti.
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Repubblica, 3 dicembre 2018

Politologa. Titolare della cattedra di scienze politiche alla Columbia University di New York. Come ricercatrice si occupa del pensiero democratico e liberale contemporaneo e delle teorie della sovranità e della rappresentanza politica. Collabora con i quotidiani L’Unità, La Repubblica, Il Fatto Quotidiano e con Il Sole 24 Ore; dal 2019 collabora con il Corriere della Sera e con il settimanale Left.

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