La discussione sulla fine della Sinistra è attuale e necessaria perché riguarda direttamente il destino della democrazia. Questo non è un modo di dire generico, ma un fatto misurabile con una ricca messe di dati. Dove la Sinistra è un partito organizzato, il populismo non sbanca. L’ intervista di Repubblica a Rossana Rossanda invita a essere letta in questa prospettiva.
La questione non rientra nel fenomeno sentimentale della nostalgia per quel che non c’è più. Rientra nel pensare l’azione politica, che è interessata al futuro e per questo vuole capire il passato. Sono tre i nuclei di riflessione che Rossanda propone: la specificità; lo stile del discorso; la visione del mondo.
La specificità della “parte” è stata il vero obiettivo sacrificale, a partire dalla Bolognina (che portò allo scioglimento del Pci e alla nascita del Pds nel 1991) fino alla recente campagna elettorale. Il metodo seguito è stato coerente all’obiettivo: voltare pagina, senza avere però impostato il capitolo successivo; senza aver metabolizzato la critica al passato e di lì derivare la necessaria revisione. Invece è stato un terremoto devastante, una rivolta contro il partito politico. Che non ha contribuito al mutamento della Sinistra tradizionale. L’ha sepolta con un esercizio di centrismo.
Anche di lì è partita la strada che avrebbe portato al populismo. Fine della specificità, celebrazione della genericità. E un partito pigliatutto che non piglia più nulla è il non lieto fine della favola del partito genericamente democratico che, proprio per voler essere solo questo, non riesce a far da diga a chi democratico lo è davvero poco: i nazionalisti, gli xenofobi, i razzisti. Affondato il centro resta una polarizzazione governata solo in una sua parte, poiché l’ altra parte non ha specificità.
Lo stile del discorso segue a ruota, la sfera pubblica che si fa, nello stile, una espansione di quella privata. La politica vuole essere comprensione per ragioni e scopi pratici che includono gli altri, i quali sono a noi estranei e tuttavia “amici” come cittadini. Rispettare questa condizione di socievole antagonismo è essenziale perché le parti si manifestino nelle loro differenze, e creino un clima dialettico. Lo stile segue il contenuto: senza specificità dei contenuti tutto si traduce in ricerca di parole efficaci, che sono spesso e volentieri offensive.
Lo stile viene deciso dall‘audience, il vero sovrano.
Quindi linguaggio a effetto, che ricusa ogni analisi delle questioni, che si ferma alle tattiche del qui e ora, alla caratterizzazione dell’avversario, al gioco di parole. La visione del mondo è conseguente. Stile semplice, plebeo quasi, e senza alcuna attenzione alle implicazioni che non siano quelle del gradimento personale. Non vi è nulla di meglio, dunque, che trovare nemici assoluti e consolare. Così la Lega, dice in poche efficaci parole Rossanda, racconta la favola che il lavoro è portato via dall’immigrato; un fatto che non ha responsabilità nel sistema ma in altri nemici (la Ue) e così via, nemici dopo nemici. E di fronte a nemici totali vale solo la “consolazione” della rabbia (aizzata sempre).
La visione del mondo, a destra come a sinistra, è uno specchio di questo mondo senza visione: che cosa rende il Partito democratico diverso? Nessuno lo saprebbe dire, salvo cercare di imitare un poco la Lega (sulla politica dell’immigrazione), e un poco i Cinque Stelle (nelle proposte di aiuto ai giovani o alle famiglie).
Dove sta la differenza non si capisce, perché dal suo Dna è stata da anni espunta la progettualità della “difesa dei più deboli” per consentire dignità di cittadinanza (art. 3 della Costituzione). Questo a Sinistra ” non lo pensa più nessuno” e lo si vede dal non discorso sulle politiche del lavoro e redistributive. Distribuire sussidi è certo necessario perché emergenziale. Ma non è una risposta politica all’economica post-industriale. Non è progetto di difesa della democrazia sociale. Non è nulla di specifico.
Repubblica.it, 2 novembre 2018