LISTE NEOFASCISTE ALLA RISCOSSA: IL CASO MANTOVA

28 Giugno 2017

La vicenda della lista neofascista “Fasci Italiani del Lavoro”, che si è presentata a Sermide/Felonica, conquistando più del 10% e un consigliere comunale, fa il paio con la vicenda del generale Maletti di cui ho scritto in precedenza: uno Stato che non ha mai fatto i conti con il suo passato fascista e che, di conseguenza, non è sufficientemente attento a quanto sta bollendo nella pancia della nostra società e di conseguenza non attiva né gli anticorpi culturali, né quelli politici e nemmeno quelli giudiziari.

L’osservatorio dell’Anpi valuta fra i 400 ed i 500 i siti internet, facilmente accessibili a chiunque, che propagano ideologie nazifasciste senza ovviamente che gli stessi siano oscurati e i responsabili perseguiti a norma di Costituzione e di conseguente Codice Penale.

Una volta che “la Repubblica” ha denunciato il fatto e le televisioni si sono per un po’ impadronite dell’evento, la Prefetto di Mantova è intervenuta dimissionando i funzionari della 7° commissione elettorale circondariale,  che ha ammesso la lista con quel simbolo, ma è un intervento insufficiente e tardivo di almeno 15 anni poiché il risultato elettorale resta: è infatti dalle elezioni del 2002 che la stessa lista, capitanata dallo stesso personaggio, con lo stesso simbolo si presenta regolarmente a ogni tornata elettorale comunale raccogliendo i suoi 90 voti. Ora che ne ha raccolti 334, che valgono un consigliere comunale, scoppia il caso.

Probabilmente la candidata sindaca entrata in Consiglio Comunale – figlia (di nome Fiamma) del promotore/capolista Claudio Negrini residente nel padovano – pare si dimetterà e nessuno farà più nemmeno il ventilato ricorso: non lo farà chi ha vinto, perché appunto ha vinto e non ha convenienza a rimettere in libertà 300 voti che potrebbero decretare la propria sconfitta (la differenza con la destra è di soli 286 voti); non lo farà chi ha perso per pigrizia, costi, ecc.

E’ proprio una piccola-grande storia, ma comunque grave ed emblematica, di questa Italia dove tutto finisce in niente.

Vale inoltre la pena ricordare il fatto che Negrini è stato denunciato nel 2003 per aver esposto nella bacheca comunale di Castelbelforte il ritratto del Duce il 28 ottobre (marcia su Roma) di quell’anno e sottoposto a conseguente processo da cui è uscito assolto due anni dopo, in quanto “il fatto non è reato poiché il comportamento non era concretamente pericoloso”.

Ho sentito amici (che hanno ricoperto cariche pubbliche nella zona) che mi hanno raccontato le vicende di questi anni e settimane: la questione della lista è stata altre volte segnalata senza alcun riscontro da parte delle autorità e mi dicono all’unisono che l’impennata di questa tornata elettorale trova concreta giustificazione in una faida di “vendette” politiche locali e nell’aver cavalcato furbescamente una piccola bega, anch’essa tipicamente locale, quale la chiusura al traffico di un pezzo dell’argine del Po.

Le vendette politiche locali si sarebbero consumate all’interno della destra presentatasi con la lista “La svolta”: una sua minoranza, che si è vista esclusa, ha fatto convogliare su Negrini i propri voti, decretandone così la sconfitta e la conseguente vittoria della lista di centrosinistra “Insieme”.

Fosse davvero solo così Sermide non è diventata improvvisamente fascista; il problema non può e non deve essere sottovalutato e bene sta facendo l’Anpi mantovano a tenere alto il livello di attenzione: nel suo piccolo (6500 aventi diritto ed un’affluenza di poco superiore al 50%) Sermide/Felonica riassume le logiche socio-politiche perverse di questo momento storico.

Trovo infatti molto preoccupante che un nutrito numero di cittadini, anche se per motivi personali e localistici, non provi alcun imbarazzo a votare un tale simbolo: è il segnale inequivocabile dello sbando culturale del nostro Paese da cui nasce il più deleterio individualismo e qualunquismo, che a sua volta produce da un verso il disinteresse per i processi sociali e dall’altro lo spaesamento, la paura, l’indignazione, la rabbia dentro e contro un “sistema” che non è più sentito come proprio.

Se non c’è un valore ideale forte di riferimento, vengono meno le logiche del bene comune e non può nascere alcun valido progetto di cittadinanza solidale.

Trovo altrettanto preoccupante l’indifferenza della classe politica, che porta colpevolmente la principale responsabilità per questa situazione: invece di garantire la partecipazione e la rappresentanza,  pensano a come blindare i propri apparati oligarchici e autoreferenziali. Invece di dispiegare idealità di giustizia sociale si mettono al servizio dei grandi potentati finanziari, che la globalizzazione ha reso onnipotenti.

Infine, dà da pensare anche la debolezza degli organi statuali (che evidentemente rispecchiano quella politica che li ha ormai ‘occupati’) a svolgere il proprio ruolo: quello di garantire la vita democratica, così come l’ha disegnata la nostra Costituzione repubblicana e antifascista.

 

(*) Alessandro Monicelli è il coordinatore di LeG Mantova.

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