“Vorrei ripartire da quelle che Sanders definisce le real issues, le questioni reali, concrete. Il lavoro e il reddito, prima di tutto. Per rispondere a nuove e vecchie povertà, per ridare dignità alle classi medie schiacciate dalle politiche degli ultimi anni. La scuola, rivendicando il reale diritto allo studio per tutti, perché la cultura è l’unica arma per liberare le persone”. Pippo Civati, leader di Possibile, ha un progetto in testa. Il manifesto politico è già pronto. Per costruire un’alternativa credibile – con la partecipazione attiva di comitati e società civile – e per rompere la dicotomia Pd/M5S: “La sinistra politica deve riconoscere la propria parzialità e organizzare quella mobilitazione e quella progettualità senza risolverla in se stessa. Deve essere estroflessa, farsi permeare di ciò che è più promettente nella società. La sinistra non è né sistema né burocrazia. È cultura e movimento. È capacità di anticipare ciò che ci attende, per diffondere il benessere e le opportunità anche tra chi è più svantaggiato, senza farci travolgere dalle trasformazioni”.
Pippo Civati, con lei vorremmo discutere proprio di spazi politici e di riorganizzazione del cosiddetto campo delle sinistre. Una prima questione riguarda l’attuale governo Gentiloni: siamo al Renzi bis o ci sono differenze?
Il governo Gentiloni è una fotocopia del governo Renzi e pare che userà la matrice renziana anche in previsione delle prossime, numerose nomine, confermando tutti “gli uomini del precedente” anche nelle grandi aziende controllate. Di fronte al fallimento di tutte le ‘riforme’ renziane cercherà di fare un cambiaverso, in retromarcia, sulla scuola e sul lavoro, soprattutto, per ridurre i danni provocati da tre anni vissuti irresponsabilmente. È la legislatura della marmotta, in cui si riparte esattamente da dove siamo partiti, dall’urgenza di approvare una nuova (la seconda) legge elettorale, dall’attesa per una sentenza della Corte, dall’incertezza sul quadro politico complessivo.
Quanto durerà questo esecutivo?
La durata di questo governo dipenderà unicamente dall’esito del braccio di ferro tutto interno alla maggioranza tra chi vorrebbe andare al voto immediatamente e chi invece vorrebbe arrivare alla fine “naturale”.
Azzarda una previsione di voto nazionale?
Non faccio previsioni sul voto, l’unica cosa che conta è approvare una legge elettorale che sia largamente condivisa che permetta finalmente ai cittadini di scegliere chi li debba rappresentare, per poi andare al voto.
Il 4 dicembre può segnare l’inizio della fine del renzismo?
Ha segnato la sconfitta di Renzi nel plebiscito sulla sua persona, a cui ha costretto il Paese sulla questione che più andava sottratta alle scorribande elettorali, la Costituzione. E ci consegna un Paese con le stesse difficoltà, in alcuni casi rimosse – ed è la colpa più grave dell’ex-premier – proprio per non perdere il referendum, a cominciare dalla scandalosa gestione di Mps, che sola basterebbe a pretendere, per il bene del Paese, un’alternativa.
E il Pd renziano ha ormai perso ogni “ragione di sinistra”?
Ha clamorosamente tradito le ragioni dello stesso programma del centrosinistra per spostarsi prima ancora, sotto il profilo culturale, verso destra (e verso la destra nostrana, in particolare). Senza una politica industriale, ma con politiche piuttosto confindustriali. Senza affrontare il tema delle disuguaglianze, se non esasperandole attraverso i bonus elettorali e con scelte bellamente berlusconiane in campo fiscale. Strizzando l’occhio a questioni tipiche del neoliberismo degli stracci (il contante, la tassa sulla prima casa a prescindere dal reddito) e negando la questione della povertà, che invece sarebbe stata “La” questione da cui partire, per ricostruire un patto sociale sempre più fragile.
Oltre a Renzi, sembra iniziata la crisi del grillismo tra i disastri della giunta Raggi e la figuraccia in Europa sulla nuova collocazione del M5S, senza dimenticare l’inquietante blog di Grillo dopo l’attentato di Berlino. Esiste davvero uno spazio politico importante per costruire un qualcosa a sinistra?
Al partito della nazione che governa corrisponde un partito della nazione dell’opposizione. Che prende voti in ragione degli errori del primo, che si dichiara ugualmente trasversale, che nello stesso modo diffida del riferimento a una qualche cultura politica, come se fosse un ostacolo e non una necessità. Che ha problemi di verticismo e di scarsa trasparenza democratica che sono analoghi a quelli che contesta. Che ha una lettura rivendicativa dei processi sociali sempre più aggressiva e generalizzata. Fin dal 2012 avevo indicato come problematici due elementi: il riferimento ideale e la democrazia interna. Mi pare che non siano stati non dico risolti, ma nemmeno affrontati. C’è un però, in questo discorso.
Quale?
Allo scorso referendum oltre 6 milioni di persone ha dichiarato di non sentirsi rappresentato da nessuno dei partiti che si sono candidati alle ultime elezioni. Non pretendo siano tutti di sinistra, ma dubito fortemente che siano tutti di destra. Ecco, io credo che lo spazio a sinistra vada costruito dando prima di tutto rappresentanza a queste persone, che sono molto più numerose di coloro che votano per ragioni identitarie. Il problema non è solo quello di cambiare la sinistra e di rilanciarla, ma di occuparsi della Repubblica, di tutto ciò che riguarda il rapporto tra i cittadini, le istituzioni e la politica che dovrebbe rappresentarli. Su questo il campo è aperto e va presto organizzato, in modo limpido e democratico.
La sensazione è che malgrado la delusione di molti nei confronti del M5S, gli elettori arrabbiati col sistema o col cosiddetto establishment votino comunque Grillo in mancanza di un’alternativa credibile e vincente. In effetti a sinistra del Pd assistiamo a innumerevoli forze (dalla sua Possibile a Sel passando per Rifondazione, Diem etc..), tutte incapaci di rappresentare un soggetto capace di superare il 5/6% e che ripetono all’unisono la vecchia, e perdente, formula di “unire le sinistre”. Un cane che si morde la coda, come uscirne?
Quando sono uscito dal Pd a sinistra c’erano già numerosi soggetti, tre o quattro partiti comunisti, due tipi diversi di Verdi, la diaspora socialista, gli arancioni sempre più scoloriti, l’eterna questione dei rapporti con il Pd… proposi una formula totalmente diversa, comitati e assemblee locali degli elettori di ogni provenienza per dedicarsi a due cose soprattutto: la mobilitazione e la costruzione di un programma di governo condiviso e capace di parlare non alle sigle e alle insegne ma alla società italiana. Non ho cambiato idea. Il punto non è ripetersi che bisogna unire la sinistra, sapendo peraltro che quasi nessuno di questi soggetti rinuncerà al proprio simbolo. Il punto è dire che cosa si vuole fare e chi è disponibile a rischiare tutto e provarci. Possibile lavora perciò a un manifesto che contenga prima del voto impegni precisi e proposte di legge concrete, da scrivere insieme alle persone più competenti e coraggiose, da far votare e approvare da tutti quelli che vorranno partecipare, in una sorta di assemblea costituente e precedente al voto.
L’ex sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, in una recente intervista spiega come il suo progetto di costruire un campo progressista debba essere segnato da tratti di discontinuità e che non si sente “la stampella di Renzi”. Cosa ne pensa?
Se il termine l’offende mi dispiace, ma la sua operazione ha esattamente quella funzione. Mi piacerebbe poi sapere su quali argomenti Pisapia vorrebbe vedere questa famosa discontinuità di cui parla, visto che in questi anni dal Jobs Act alla Buona Scuola, dallo Sblocca Italia alle trivelle, non l’ho mai sentito non dico esprimere una critica, ma neanche avanzare l’ombra di un dubbio rispetto alle politiche di Renzi e del suo partito. L’unica volta che si è espresso, peraltro con raro tempismo, è stato per dire che votava sì al referendum costituzionale. Senza offesa, ma io so bene da che parte stavo all’epoca (ed è passato pochissimo…), perché non parliamo di questo invece di fare dibattiti sulla sinistra? Altrimenti è troppo comodo.
Ha rapporti quotidiani con Massimo D’Alema? Ci crede nella scissione a sinistra dal Pd?
Non sono mai stato dalemiano e di sicuro D’Alema non è mai stato civatiano. La nostra conversazione fin qui ha riguardato il referendum e la Costituzione: D’Alema resta nel Pd e quotidianamente lavora come sua minoranza. Non mi occupo dei problemi interni agli altri partiti, mi limito a segnalare a chi vuole una svolta, che perché questa avvenga ci vuole una rottura, non l’ennesimo tentativo di aprire una dialettica – puntualmente negata – in un partito che fa il contrario di ciò che D’Alema e anche Bersani propongono. E che non dà segni di voler cambiare impostazione. Se, ad esempio, D’Alema o Bersani o Pisapia dicono di voler dare un reddito di sostegno a chi cerca lavoro, sono in un partito che non ha alcuna intenzione di approvarlo, la proposta sarà bocciata senza nessuna mediazione e rinviata sine die. Che cosa avranno ottenuto? Questo è quello che abbiamo visto in questi anni, nulla lascia presupporre un cambiamento di linea. Quindi perché perdere altro tempo?
È incuriosito dal progetto nazionale di Luigi De Magistris? Auspica una sua discesa in campo?
De Magistris ha dimostrato di saper attrarre e coltivare la fiducia dei suoi concittadini, e a Napoli Possibile l’ha sostenuto nella sua ricandidatura. Non ho dubbi: anche lui vorrà spendersi per partecipare e contribuire alla costituente delle idee. Non conosco i contorni del suo progetto nazionale, ma a lui rivolgo lo stesso appello che rivolgo agli altri: scrivere un progetto di governo e misurarci intorno a esso. È già tardissimo.
Ricapitolando, esiste uno spazio tra M5S e Pd ma nel concreto come riempirlo?
Prima di tutto credo sia il caso di smetterla di collocare questo spazio in mezzo a queste due formazioni: sono entrambi due contenitori post-ideologici (anzi, superficialmente a-ideologici) che hanno la pretesa di tenere assieme tutto e il contrario di tutto. Il progressismo in Italia merita di essere rappresentato, di far valere la sua voce, chi lo immagina come una trincea tra Renzi e Grillo è già perdente in partenza. Se vogliamo rompere lo schema, non è sufficiente dire «né con gli uni né con gli altri» ma mettere in discussione una rappresentazione che conosciamo soltanto in Italia e che alla fine confonde tutto quanto.
Ma lei che progetto proporre? Con quale leader?
I diritti sono l’unica corazza. La vera sicurezza («di sinistra!» dice Minniti) di cui i nostri cittadini hanno bisogno è quella economica e sociale. Chi non intende rispondere radicalmente a questi problemi, si è già arreso alle soluzioni della destra, siano esse moderate come il partito di Renzi o populiste come il M5S. Senza tabù: dall’8 per mille inoptato e non rendicontato alla questione della legalità, del conflitto di interessi e della concorrenza leale, dalla progressività fiscale (che riguardi anche la successione) all’introduzione – a parità di gettito – di una carbon tax. #Cosedifuturo, diremmo, canzonando un motto di Palazzo Chigi. Con il simbolo dell’uguale come firma.
Putroppo o per fortuna in Italia esiste una cosa che si chiama “crisi della rappresentanza”. Non trova che un’iniziativa politica che anche solo minimamente ha dentro qualcuno del vecchio ceto non riuscirà ad essere credibile agli occhi degli elettori? In Spagna, Podemos per risultare come “nuovo” ha rotto, ad esempio, con la sinistra tradizionale…
La crisi della rappresentanza è dovuta ad anni in cui la sinistra per paura di essere tacciata di estremismo si è arresa alle tesi della destra su tutti i fronti, a cominciare da quelle del lavoro e delle protezioni sociali. Oppure si è rifugiata nella nostalgia, tipo macchina del tempo. Con Possibile vogliamo fare l’opposto: un progetto di governo che punti a cambiare e modernizzare radicalmente il Paese. Ci interessa lavorare con quelli che ci vogliono stare e che sono disposti a farlo con generosità e apertura. La macchina del tempo deve riguardare il futuro, non il passato. Liberare le persone dal ricatto a cui sono sottoposte e dai bisogni che continuano a contrapporle le une con le altre, in una guerra tra poveri e di tutti contro tutti. Una certa antropologia ha voluto portarci qui: è ora di ribellarsi.
In tal senso, non è meglio mandar avanti società civile, movimenti per i beni comuni, Comitati per il No alla riforma costituzionale, volti emergenti, e invece lasciare ai “politici di professione” (mi faccia passare il termine) un ruolo più da operatori culturali?
La contrapposizione tra chi fa politica e chi fa associazionismo politico, tra politica e società civile è una rappresentazione datata, che ci riporta agli anni Novanta, che ormai sono passati da tanto, troppo tempo. E leggo ancora gli stessi protagonisti di allora discuterne come se non fosse cambiato il mondo, nel frattempo. Esistono ottime persone che in questi ultimi anni hanno lavorato tanto nel mondo dei partiti quanto in quello dell’associazionismo e dei comitati civici (e spesso in tutti e tre questi mondi contemporaneamente) o persone che si sono dedicate alla loro professione, diffidando della politica ma con dispiacere e preoccupazioni per le sorti comuni: a tutte loro vogliamo dare spazio, sapendo che dalla crisi si esce tutti insieme. E che la sinistra è reale solo se è condivisa.
MicroMega Online, 13 gennaio 2017