Come accadde a Paolo di Tarso, una intensa luce ha avvolto Renzi e gli ha ispirato nuove consapevolezze. L’Italicum è rimesso alla volontà parlamentare. Il referendum costituzionale, già anticamera dell’apocalisse, si trasforma in un picnic per famiglie. Nessuna certezza sul destino del premier nel caso di sconfitta. Di lasciare la politica non se ne parla. Di dimissioni, chissà. Ma sempre con un occhio alla possibilità di un rinvio alle Camere da parte del Capo dello Stato, o di un reincarico.
Dunque, contrordine, compagni. E va in soffitta lo spacchettamento, che a poche ore dalla scadenza del termine per la raccolta delle firme dei parlamentari non riceve l’endorsement di Renzi.
Come mai, visto che i quesiti parziali avrebbero potuto depotenziare la deflagrazione referendaria?
Dobbiamo considerare – senza alcuna censura per le buone intenzioni dei proponenti – che lo spacchettamento produrrebbe oggi l’effetto di rinviare a data lontana e incerta il referendum. I quesiti parziali sono infatti preclusi dall’art. 16 della legge 352/1970. Quindi la presentazione potrebbe condurre solo a un diniego da parte della Cassazione. Avverso il diniego i parlamentari promotori potrebbero sollevare conflitto tra poteri davanti alla Corte costituzionale, e in sede di conflitto sollevare una eccezione di incostituzionalità sulla legge 352/1970. L’obiettivo sarebbe una dichiarazione di illegittimità della legge «in quanto non prevede» la presentazione di quesiti parziali. Questo sarebbe oggi l’unico modo – al di fuori di una leggina modificativa della l. 352 – di consentire quesiti parziali. Un percorso complesso e lungo, tale da impedire un voto a breve termine, e comunque togliere al governo la scelta di votare nel momento ritenuto più opportuno.
Emerge invece dal confuso chiacchiericcio politico di questi giorni che il vero tema è l’Italicum. Non crediamo affatto che Renzi intenda davvero aprire a una libera discussione parlamentare. E dalle modifiche che lascerà passare, capiremo se e fino a che punto tiene il disegno di accentrare il potere sull’esecutivo e su se stesso.
È probabile un disco verde sull’apertura alla coalizione e agli apparentamenti tra primo e secondo turno per il premio di maggioranza. È una limatura che non tocca l’impianto essenziale della legge e accoglie le richieste degli alleati minori di governo e della minoranza interna. Facilita il ricompattamento del centrodestra, mentre accresce la competitività verso M5S, che sceglie sempre e comunque la corsa solitaria.
Del tutto improbabile, invece, un disco verde per la soppressione del ballottaggio. L’impianto tripolare ormai consolidato del sistema politico comporterebbe o un abbassamento della soglia per l’attribuzione del premio, con il rischio di una nuova censura di incostituzionalità, o il passaggio a un sistema proporzionale nel caso di mancato raggiungimento. Questo farebbe venir meno il blocco di 340 parlamentari garantito dal premio di maggioranza che è essenziale nel Renzi-pensiero. Poco rileva che sarebbe ottima cosa per la buona salute della Repubblica.
Improbabile la soppressione del voto bloccato per i capilista. Quella pattuglia di un centinaio di fedelissime teste di cuoio fa comodo a chi fa le liste – leggi: il segretario del partito – per assicurare il controllo sull’aula parlamentare. Vale poco l’argomento che ad essi si aggiungono 240 eletti con la preferenza. I cento collegi plurinominali previsti dalla legge sono piccoli, e le liste di candidati sono corte. Consentono a chi fa le liste di formarle distribuendo candidati più o meno forti in modo da predeterminare in larga misura l’esito elettorale. Anche con le preferenze, il piccolo collegio plurinominale permette a un segretario di partito che conosce il suo mestiere di costruire un blocco solido di parlamentari a lui legati da un vincolo di obbedienza e fedeltà.
La chiave di volta del potere nel Renzi pensiero è nel controllare le liste dei candidati prima, controllare la Camera poi con la maggioranza blindata dei 340. Qui troviamo un punto su cui Renzi ha già innalzato, e certo manterrà, le barricate: l’unione personale tra segretario del partito e presidente del consiglio. Dalla carica di segretario non lo smuoveranno nemmeno a cannonate. È questa sinergia che crea la concentrazione del potere sull’esecutivo e costruisce il potere personale del leader. Non si coglie guardando alla sola riforma costituzionale, e viene tradotta da alcuni nella ipocrita formula della “democrazia decidente”.
Il referendum costituzionale è la sola carta disponibile per riaprire il confronto in nome della democrazia senza aggettivi, con buona pace di chi nei partiti e nei sindacati si ostina a non volerlo capire. La ministra Boschi dice che con 5 anni di stabilità non ci sono più alibi per chi governa. E può sembrare una buona cosa. Ma perché mai dovrebbero interessarci gli alibi? Ci preoccupano piuttosto i danni che un potere blindato avrà prodotto, senza che nessuno potesse impedirlo.