Il nuovo ministro dello sviluppo Carlo Calenda si occuperà di quella parte del suo dicastero che ha a che fare con il sistema dei media? Forse, chissà, è utile dare qualche conforto al sottosegretario con delega Antonello Giacomelli nel momento del bisogno. Infatti, il castello su cui si poggia la struttura del servizio pubblico pare molto infiacchita, a parte il regalo di Natale della (contro)riforma. Infatti, ancora non è uscito sulla Gazzetta ufficiale il decreto ministeriale e diversi dubbi interpretativi permangono su taluni aspetti (il diavolo si nasconde nei particolari) della riscossione del canone di abbonamento con la bolletta elettrica. Luglio si avvicina. Un dubbio maledetto: non è che si voglia posticipare il balzello a referendum costituzionale avvenuto? Anche ad essere politicamente corretti, però, il calendario gregoriano non è stato inventato dai “professoroni”.
Inoltre, dopo l’annunciato iter partecipativo sui contenuti della concessione dello stato, al momento l’unica certezza è il rinvio della scadenza: dal 6 maggio al prossimo 31 ottobre, grazie ad un emendamento last minute apposto al nuovo codice degli appalti (art.216, comma 24, alla faccia dell’affinità di materia). Dopo la giornata dei sedici tavoli di discussione con gli stakeholder sul testo, del previsto avvio della consultazione ancora non c’è traccia. Eppure, si era parlato di quarantacinque domande predisposte con il concorso dell’Istat da sottoporre al confronto, per chiudere la fase di ascolto alla metà di giugno e predisporre l’articolato per la fine dello stesso mese. Che succede? Forse, anche il ritardo ha la sua seduzione.
E’ tempo di par condicio, che ad un mese dal voto è a maglie proprio strette. Giustamente, perché tutte le forze in campo devono stare appaiate ai nastri di partenza. Eppure, la legge non è uguale per tutti. A cominciare dal presidente del consiglio, che rientra nettamente nelle casistiche previste dall’articolo 9 della legge 28 del 2000 e dall’articolo 33, comma 2 del Testo unico della radiodiffusione del 2005. Vale a dire: la presenza delle cariche istituzionali è prevista solo per ragioni di pubblica necessità. Rientrano in simile tipologia i trentaquattro minuti dedicati da “Che tempo che fa” la passata domenica alla conversazione di Fazio con Renzi? Intervista collocata subito prima del momento di massimo ascolto della trasmissione, quello dello spazio di Luciana Littizzetto. Quando l’ascolto è balzato dal 13,39% al 17%. Con una platea incommensurabile, data la fascia oraria di prima serata, rispetto ad omologhe, ma ben più succinte e notturne apparizioni di altri esponenti.
Il centro d’ascolto dei radicali -unico- non per caso contava le platee e non solo i minutaggi. La Federazione della Stampa ha incontrato il presidente dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni su concentrazioni e pluralismo. Se nulla accade, che si deve fare? Occupare (per dire) la sede dell’Agcom e delle principali emittenti? “I senza legge” è il titolo di un vecchio film western. Non solo. Visto che in un recente convegno l’amministratore delegato della Rai, Campo Dall’Orto, ha fatto capire che il contratto del conduttore di Ballarò Giannini non sarà rinnovato. Insomma, la Rai è allergica ai non allineati. A questo punto, a che serve un Consiglio di Amministrazione?
Renzi da Fazio ha parlato della (contro)riforma costituzionale. Non scherziamo. Su un tema così delicato la par condicio è particolarmente delicata. E richiede un serio, appropriato ciclo di tribune referendarie.
Il manifesto, 11 Maggio 2016