Per un Servizio Pubblico che parli a cittadini sempre più consapevoli e informati, la Rai va tutelata come bene comune, un bene di tutti. Ma che significa in concreto? In primo luogo che è un patrimonio appartenente ai cittadini, non solo in quanto utenti che pagano il canone, piuttosto in quanto soggetti titolari di diritti. Tre aggettivi per indicare la Rai che vogliamo: libera, innovativa, ambiziosa.
Libera perché svincolata dai condizionamenti dei partiti, ma libera anche perché non strumento del potere esecutivo. Libera vuol dire non chiusa in una mera logica aziendale, fatta di numeri e costi. Libera, infine, perché plurale, di qualità e forte: un servizio che si definisce pubblico deve avere una vocazione maggioritaria negli ascolti, capace di parlare al Paese nella sua interezza.
Innovativa per ribaltare la situazione attuale di un pubblico sempre più anziano e passivo, con i giovani in fuga verso pc e cellulari. Quando si deciderà la Rai a dare vita a un sito online capace di tener testa ai competitor, figli delle maggiori testate della carta stampata?
Ambiziosa, infine, perché non ci sono “cose che non si possono dire”: la struttura dell’Azienda è tale che può permettersi, senza paura, di dare spazio a qualsiasi istanza venga dal Paese. Tre canali tv in chiaro, un numero elevatissimo di canali digitali e satellitari, radiofonia, piattaforme web, partecipazione societaria nella produzione cinematografica e di fiction.
Un patrimonio quindi che non è da frantumare e, magari, svendere a pezzetti. Ambiziosa, soprattutto, la Rai deve esserlo per la capacità di attrarre i migliori. E proporre a un pubblico esigente il meglio della cultura, dell’informazione e dell’intrattenimento.
Intervento alla manifestazione “Non è Rai troppo tardi” del 2 dicembre 2015
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