Intercettazioni, Caselli: “C’è chi vuole normalizzare i magistrati a tutti i costi”

30 Settembre 2015

Rossella Guadagnini Consiglio di Direzione Libertà e Giustizia

Dunque legge bavaglio per i giornalisti e bavaglino per i magistrati. E sia. Due categorie professionali da sempre poco amate dai politici, oggi messe ancor più ‘sotto tutela’ da governo e assemblee parlamentari. E al diavolo pure il check and balance (controllo e bilanciamento reciproco), quell’insieme di meccanismi politico-istituzionali finalizzati a mantenere l’equilibrio tra i vari poteri all’interno di uno Stato. Ma, tant’è, il disegno di legge della discordia non fa contento nessuno, eccetto chi lo ha votato: i deputati a favore, il presidente del Consiglio, il governo, al quale è stata consegnata una delega praticamente in bianco sulle intercettazioni per decidere cosa fare di un altro pezzo delle nostre libertà.

Certo è che dopo l’approvazione delle nuove norme sulla riforma del processo penale, avvenuta alla Camera il 23 settembre scorso (con 314 sì, 129 no e 51 astensioni), lo scontento di ampie fasce della magistratura si è fatto evidente, persino palpabile. Ai mormorii e mugugni del passato si sono sostituite affermazioni e prese di posizione ben più ardite. Qualcuno ha parlato esplicitamente di timori, della paura dei giudici di finire sotto inchiesta disciplinare e non solo. Abbiamo chiesto a Gian Carlo Caselli, magistrato che ha diretto procure come Palermo e Torino, una valutazione del provvedimento che dovrà poi essere discusso in Commissione al Senato.

“Il bavaglio è un’invenzione giornalistica e non ci sarà” è stato detto. È ciò che è successo? È sbagliato parlare di “legge bavaglio”? 
Il discorso è ancora aperto, apertissimo. Siamo davanti a una legge delega del Parlamento al Governo, quindi in una situazione molto fluida. La legge delega, per sua natura, è scritta inevitabilmente in maniera generica, ma in questo caso la genericità diventa piuttosto fumosa. Il ddl contiene dei principi, delle linee guida senza paletti di preciso orientamento. La sua traduzione in cifra operativa potrebbe prendere strade molto diverse.

Cosa può accadere?
Difficile prevedere che succederà. Occorre aspettare i decreti che dovrebbero essere elaborati con la consulenza di un tavolo di magistrati, avvocati e giornalisti. Nel testo si parla di tutela della riservatezza con speciale riguardo alle comunicazioni cosiddette occasionali e a quelle non rilevanti ai fini del giudizio. Poi si parla anche di utilizzazione dei risultati, scansione procedimentale, contraddittorio della parti, esigenze di indagine. Sono tutte affermazioni di principio, che magari vanno nella direzione giusta, ma un po’ troppo vaghe, tanto che non si può sapere cosa ne verrà fuori. Non si può escludere, pertanto, che possa uscirne anche una specie di bavaglio vero e proprio o, magari, un bavaglino. Finché non ci saranno i decreti è impossibile dirlo.

L’Associazione Nazionale Magistrati ha definito il ddl “molto deludente”. Lei che ne pensa?
Il ddl non riguarda soltanto le intercettazioni, è un pacchetto articolato di modifiche al codice penale e al codice di procedura penale per il rafforzamento delle garanzie difensive e la durata ragionevole dei processi, per il maggior contrasto del fenomeno corruttivo, oltre a cambiamenti dell’ordinamento penitenziario. La delusione dell’Anm nasce dal fatto che non sembrano invece esserci misure che davvero diano uno scossone alla durata interminabile di processi, dove occorre intervenire non con qualche palliativo, ma col bisturi. Non c’è nulla, neanche come indicazioni, sulla riforma della prescrizione, che è come una palla di piombo al piede della giustizia. L’Italia è l’unico Paese al mondo in cui la prescrizione non si interrompe mai, questa è l’anomalia del nostro sistema giudiziario rispetto ad altri. Da qui la delusione: se non ci sono chiari segnali in questa direzione l’insoddisfazione è inevitabile.

Cosa c’è che non va nel ddl? 
Ripeto che è vago, indeterminato: dal fumo potrebbero nascere anche delle buone cose, ma con l’aria che tira e il desiderio di cambiare in direzione di una normalizzazione non ci sono molte speranze.

E gli aspetti positivi? 
L’udienza filtro era un’assurdità: è bene che sia stata abolita perché si doveva selezionare il materiale utilizzabile – questo sì, questo no – prima di emettere un provvedimento di custodia cautelare. Era come avvertire l’inquisito.

Le intercettazioni non hanno aiutato a fare emergere indagini come Mafia Capitale? Che segnale si dà così ai cittadini? 
Le intercettazioni sono fondamentali per certe indagini: il crimine organizzato, la malapolitica, la corruzione. Sono delle radiografie della salute sociale, politica e dell’ordine pubblico. Se si pensasse di vietare o limitare negli ospedali le radiografie sanitarie si provocherebbe una vera e propria rivoluzione nella società, mentre invece la depauperazione e la scomparsa delle radiografie di sicurezza (quelle giudiziarie) viene discussa nel sostanziale disinteresse dei più. C’è qualche rischio anche per la funzionalità del processo, in quanto se si afferma che debbono essere adottate prescrizioni che incidano – come sostiene la legge – sulle modalità di utilizzazione cautelare dei risultati delle captazioni e che diano una precisa scansione procedimentale per la selezione del materiale intercettativo, ecco questa ‘utilizzazione cautelare’ e questa ‘scansione procedimentale’ rappresentano formule che possono – se interpretate e sviluppate in un certo modo – rendere più difficili le intercettazioni e le possibilità di accertamento processuale.

La magistratura è spaventata hanno detto alcuni. È così a suo avviso? C’è timore di parlare e di finire sotto procedimento disciplinare?
Il pericolo per la magistratura è che passi qualche forma di burocratizzazione. Se si introducono delle norme che spingono le toghe a scegliere sempre e comunque le strade che creano meno problemi e meno rischi – mi riferisco alla questione della responsabilità civile – i giudici rischiano di normalizzarsi. Il magistrato deve essere libero di scegliere tra le tante opzioni interpretative quella che più lo convince. Se, invece, viene esposto a rischi di ritorsioni, anche pretestuose, la sua libertà e la sua indipendenza si riducono di fatto. È la burocratizzazione. L’unica preoccupazione, a quel punto, diviene quella di tenere le carte a posto per assicurarsi di non incorrere nelle ire di questo o di quello.

Magistratura e politica: fine della sponda democratica? Claudio Castelli di Magistratura Democratica, ad esempio, ha detto: “Ogni volta che il Pd è al governo è contro i magistrati, quando passa all’opposizione è a favore”. Un’osservazione interessante, non le pare? 
C’è una tendenza trasversale nel nostro Paese, dei politici di ogni colore – naturalmente con un’infinità di eccezioni e differenze – di considerare la legalità come un paio di pantofole da indossare quando fa comodo e buttare via quando non servono più. Specie quando urtano gli interessi che stanno particolarmente a cuore a chi, in quel momento, usa le pantofole. C’è una forte tendenza a concepire una giustizia a la carte, come qualcosa che va bene per gli altri e non per noi. Questo spiega certe oscillazioni a seconda che si sia al governo o all’opposizione.

E il Pd dove si colloca quanto a oscillazioni? 
Non direi che l’oscillazione riguardi solo il Pd, dal momento che lo stesso discorso vale anche per gli altri. In questo caso abbiamo un avallo autorevole. L’altro giorno (24 settembre ndr) Il Fatto Quotidiano sottolineava l’intervento dell’onorevole forzista Francesco Paolo Sisto, il quale ha dichiarato in Parlamento: “Noi questa riforma abbiamo cercato di farla ma non ci è stato consentito. È una sorta di riconoscimento del buon lavoro che abbiamo svolto in passato”. In queste parole è contenuto un giudizio sul ddl, che testimonia l’osmosi tra gli orientamenti politici di sinistra e di destra.

Vero è che i magistrati se la passano maluccio negli ultimi tempi. Il sì dei dem alla responsabilità civile, la questione delle ferie, dell’età della pensione, la riforma del Csm di là da venire. Per non parlare di riforme più ampie, come quella della Giustizia agitata come un maglio.
In giro c’è una gran voglia di normalizzazione, lo sottolineo ancora una volta. Certamente non a vantaggio della rigorosa applicazione della legge in maniera uguale per tutti.

MicroMega, 28 settembre 2015

Giornalista e blogger, si occupa di hard news con particolare interesse ai temi di politica, giustizia e questioni istituzionali; segue vicende di stragismo, mafia e terrorismo; attenta ai temi culturali e sociali, specie quelli riguardanti le donne.

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