LA CORTE di Cassazione — che nel maggio 2013 aveva sollevato la questione di costituzionalità della legge n. 270 del 2005 (il così detto Porcellum), poi decisa dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 1 di quest’anno — ha reso pubblica, poco prima di Pasqua, la sentenza con la quale applica il dispositivo di quella pronuncia ai fatti di causa. Il che è non meno importante della sentenza della Consulta in quanto, come appunto sottolineato dalla Cassazione, è compito che «spetta al giudice ordinario» verificare, alla luce della sentenza n. 1 del 2014, «se vi sia stata una lesione giuridicamente rilevante del diritto di voto».
La sentenza, ancorché assai breve, è importante per due statuizioni.
La prima — che non potrà non spiegare conseguenze sulla discussione del disegno di legge elettorale approvato dalla sola Camera (che com’è noto ribadisce la scelta in favore delle liste bloccate) — individua quali siano stati gli effetti pregiudizievoli che «le disposizioni incostituzionali della legge n. 270 del 2005 (hanno spiegato) sul diritto di voto dei cittadini elettori nel periodo della loro vigenza». Ebbene, essi consisterebbero nella «impossibilità per i cittadini di scegliere i propri rappresentanti in Parlamento». Del resto, come ricorda la Cassazione, la stessa Corte aveva affermato che «è la circostanza che alla totalità dei parlamentari eletti, senza alcuna accezione, manca il sostegno della indicazione personale dei cittadini, che ferisce la logica della rappresentanza consegnata nella Costituzione».
Diversamente dalla Consulta — secondo la quale la libertà di scelta degli elettori è assicurata in quegli ordinamenti nei quali il sistema delle liste bloccate è previsto «in circoscrizioni elettorali di dimensioni territorialmente ridotte» — la Cassazione, ricollegandosi alla questione di costituzionalità come da essa formulata, non enuncia alternative al voto di preferenza.
La seconda statuizione concerne gli effetti della pronuncia d’incostituzionalità del Porcellum. Di fronte all’ormai ben noto rilievo della Corte costituzionale secondo il quale la dichiarazione d’incostituzionalità di tale legge non travolge le elezioni svoltesi e gli atti fino allora adottati dal Parlamento alla luce del «fondamentale principio di continuità dello Stato», la Cassazione sottolinea, dal canto suo, che la salvezza degli effetti del Porcellum prodotti per il passato «non attenua la incostituzionalità che è stata accertata e dichiarata dalla Corte senza altre limitazioni ( del resto non risultanti dal dispositivo della sentenza) ».
Il che sta a significare che, fatto salvo quanto disposto per il passato, la pronuncia d’incostituzionalità spiega i normali effetti (negativi) sulla situazione giuridica del Parlamento eletto in violazione della libertà di voto. Altrimenti quale mai sarebbe il senso pratico e giuridico della sentenza d’incostituzionalità, se oltre a non spiegare effetti sanzionatori per il passato, non si preoccupasse nemmeno del futuro? Una dichiarazione d’incostituzionalità del tutto priva dei conseguenti effetti costituisce una insuperabile contraddizione. Essa finirebbe infatti per equivalere all’”abrogazione” di una legge (cioè all’eliminazione discrezionale di norma), che invece rientra nelle attribuzioni del Parlamento. Né la legittimità della XVII legislatura potrebbe essere fondata sul principio della continuità delle istituzioni costituzionali, richiamato dalla Consulta per legittimare il passato. Un tale principio può bensì valere per brevi periodi, ma non può, per i prossimi quattro anni, costituire il succedaneo del voto popolare: sarebbe uno schiaffo alla democrazia.
Ne consegue che, volendo responsabilmente applicare alla specie le sentenze della Corte costituzionale e della Corte di cassazione, come da esse non discende che le Camere avrebbero dovuto limitarsi ad approvare la legge elettorale secondo le indicazioni della Consulta — dopo di che avrebbero dovuto essere subito sciolte dal Presidente della Repubblica — , così nemmeno deriva da esse che le Camere, ancorché giuridicamente delegittimate, possano modificare la vigente forma di Stato e di governo, e possano addirittura durare fino alla naturale scadenza del 2018. Una siffatta tesi, spesso esposta dall’attuale Presidente del Consiglio, costituisce infatti — per il solo fatto di essere enunciata ripetutamente — una menomazione da parte del Governo delle attribuzioni della Corte costituzionale, risolvendosi, tale tesi, nella violazione del giudicato costituzionale della sentenza n. 1 del 2014.
A prescindere da quanto sin qui argomentato, deve comunque essere aggiunto che l’eventuale approvazione del mix del disegno di legge elettorale approvato dalla Camera e del recente disegno di legge costituzionale avrebbe, per risultato, un monocameralismo dominato da una coalizione di partiti non legittimata dalla maggioranza degli elettori, e privo di quei contropoteri di cui il Presidente Napolitano, nel memorabile discorso alle Camere riunite nel sessantesimo anniversario della Costituzione, sottolineò l’irrinunciabile importanza.
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