Ci sono molti modi di annientare la Costituzione. Uno dei più subdoli, e dei più comuni, è quello di eliminare le norme incriminatrici penali di comportamenti che la Costituzione stigmatizza, fissando principi cui cittadini e istituzioni dovrebbero attenersi. Ne è un esempio l’abrogazione a suo tempo attuata dell’articolo 324 – interesse privato in atti d’ufficio – diretto presidio dell’articolo 98, “i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della nazione”. Oltre che dell’articolo 54 secondo comma “i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore prestando giuramento nei casi stabiliti dalle leggi” Dal che discendeva come diretta, logica e insuperabile conseguenze, che quei funzionari non potessero servirsi delle funzioni esercitate per il loro diretto interesse, o per quello di persone a loro legate da rapporti personali di qualsivoglia natura. L’articolo 324 venne abrogato sul’onda della rivolta di pubblici ufficiali, spalleggiati dai loro difensori, con gli argomenti più risibili, tipo quello che esso avrebbe consentito ai magistrati di sindacare il merito dell’azione amministrativa. Ma non era in discussione il merito, era in discussione la illiceità degli interessi personali che muovevano l’azione del funzionario. O che la norma era troppo vaga. Ma non c’era nessuna vaghezza nello stabilire se l’atto che hai emesso ti arricchisce o no.
Il dilagare dell’interesse privato in atti d’ufficio – oggi a volte ribattezzato come conflitto d’interessi, sostanzialmente depenalizzato quando investe pubblici funzionari – è l’effetto diretto di questo abbattimento della difesa penale del principio costituzionale.
L’esame dei casi numerosi e di assoluta gravità in cui la sanzione cui era affidata l’operatività di comandi costituzionali è stata disattivata, richiederebbe spazi non consentiti in questa sede.
Mai però, l’attentato alla Costituzione era stato così micidiale, e diremmo risolutivo, come quello che si viene perpetrando oggi, mediante l’abolizione del senato.
È ormai chiaro a tutti (e mi permetto di richiamare il breve intervento – dal titolo D’Alimonte – pubblicato sul sito, nel quale ricordavo quale fosse, nelle parole di Ettore Grasso, la funzione insostituibile dell’articolo 138 Cost) come la cancellazione del senato annienta del tutto questa garanzia. E, conseguentemente, consente al capo del governo, che possiede con la propria maggioranza il parlamento, di emanare qualsivoglia tipo di legge, in ipotesi, spregiativa di ogni sacro principio costituzionale. Non è fuor di luogo rammentare, che il potere politico che abbia il dominio della camera avrebbe un potere diretto che gli consentirebbe sia la nomina del capo dello Stato, sia di influire sulla nomina dei giudici della Corte costituzionale, sicchè anche questo presidio ne rimane irrimediabilmente vulnerato.
In questa situazione, desta qualche sconcerto il silenzio del Capo dello Stato. Che, come sappiamo, prima di assumere le sue funzioni, presta giuramento- articolo 91 Cost. – “di fedeltà alla Repubblica e di osservanza della Costituzione dinanzi al Parlamento in seduta comune”.
È dunque inevitabile porsi la seguente domanda: poiché il disegno dell’attuale presidente del consiglio, più che stravolgere, annulla la Costituzione, facendo del capo del governo il dominus assoluto del Parlamento, può il Capo dello Stato, assistere senza pronunciarsi dinanzi a questo disegno?
È opinione dello scrivente che, ove, in denegata ipotesi, come in gergo avvocatesco si dice, il Presidente della Repubblica condividesse il disegno – davvero “ rottamatore” della Costituzione – che il presidente del Consiglio persegue, Egli non potrebbe non dissentire formalmente, se del caso dimettendosi dal proprio incarico, per non venire meno al solenne impegno preso.
È forse il momento, che chi crede nella Costituzione, rivolga qualche rispettoso invito a pronunciarsi, al Presidente della Repubblica.
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