Vita politica e robotica istituzionale

20 Marzo 2014

La legge elettorale frutto dell’accordo Renzi-Berlusconi, allarga ancora di più la frattura tra sistema politico e cittadini. Con gran sollievo di tutte le nipoti di Mubarak, il leader disporrà di parlamentari fedeli non scelti dagli elettori, e potrà piazzare deputati della propria lista su quegli scranni che sarebbero stati assegnati ai partiti minori della coalizione.

Scheda elettoraleTramite le astensioni e i voti per Grillo, la metà del popolo italiano ha manifestato il suo disprezzo nei confronti del sistema politico. Eppure la legge elettorale appena approvata alla Camera non solo trascura questa grave frattura, ma addirittura la allarga.
Per compensare i voti mancanti, ricorre infatti a curvature maggioritarie che deformano la rappresentanza fino ai limiti della legittimità costituzionale, e alla lunga riducono ulteriormente il consenso verso il sistema politico. Le soglie del 4,5% e dell’8% possono impedire la rappresentanza parlamentare a 5-10 milioni di elettori pur disposti – ancora – a votare per i partiti. Oppure, proprio perché sono soglie molto alte, possono dissuadere la presentazione di liste che otterrebbero milioni di voti. In entrambi i casi il sistema prescelto peggiora le cose perché riduce la parte attiva degli elettori, accrescendo invece quella del rifiuto anche oltre il 50%.
Una democrazia più che dimezzata è esposta agli assalti dei suoi nemici. La maggioranza assoluta viene regalata alla coalizione che arriva al 37% utilizzando anche i voti di piccoli partiti non rappresentati in Parlamento. Il partito principale potrà vincere con una percentuale ancora più bassa, ad esempio del 25%. Tenendo conto dei non votanti, stiamo parlando di meno del 20% del corpo elettorale effettivo.
Con gran sollievo di tutte le nipoti di Mubarak, il leader disporrà di parlamentari fedeli non scelti dagli elettori, e potrà piazzare deputati della propria lista su quegli scranni che sarebbero stati assegnati ai partiti minori della coalizione. Non avrà inoltre difficoltà a gestire un Senato non più elettivo e composto da amministratori locali senza la libertà di mandato dell’articolo 67, ai quali non farà mancare concessioni nei rispettivi territori in cambio del consenso politico. Il capo di una minoranza combattiva avrà quindi la strada spianata verso il Quirinale e verso la modifica della Carta, cavalcando la rivolta contro i politici pur di passare il referendum.
Non si tratta di un incubo notturno, ma di una possibile conseguenza di questa legge elettorale accompagnata alla cancellazione del Senato. Ciò che non è riuscito negli ultimi venti anni sarà alla portata di un eventuale nuovo salvatore della Patria. Magari non accadrà, ma che diventi uno scenario possibile dovrebbe già costituire motivo di allarme.
Al giorno d’oggi c’è una tendenza a valutare le leggi elettorali da un punto di vista squisitamente tecnico, considerando solo la fetta di elettori che ancora vota, senza badare al distacco dagli strati popolari profondi. Si applica un sistema elettorale fortemente maggioritario a una base elettorale sempre più minoritaria. Questa frattura tra consenso e potere indebolisce la legittimità del sistema politico e lo spinge a cercare la stabilità nei marchingegni normativi o nella chimera del capo assoluto.
D’altronde sono vent’anni che i partiti cercano di surrogare la mancanza di voti e di progetti con il maggioritario e il decisionismo. Il “governo per forza” accresce l’elettorato del rifiuto, come è sotto gli occhi di tutti. Il paese è diventato ingovernabile per eccesso di governabilità, per la mancanza di progetti alternativi e capaci di convincere il popolo. Si è cercato di sopperire alla debolezza della vita politica con la robotica istituzionale. Ma il ricorso alle protesi atrofizza i corpi politici, rendendo necessari ulteriori interventi meccanici. Solo uscendo da questa spirale si può risolvere la crisi decisionale.
Renzi si trova già di fronte a un bivio. Scegliendo la strada consueta sarà l’uomo nuovo che mette in pratica la vecchia agenda, ripetendo con maggior vigore i medesimi errori della generazione precedente. Qualche passo in questa direzione lo ha già fatto, accettando di governare senza elezioni, attribuendo la propria ambizione a quella del Paese, puntando sulle tecniche elettorali più che sugli elettori, favoleggiando la riforma istituzionale come panacea di tutti i problemi nazionali.
Come i suoi predecessori ha resuscitato Berlusconi senza che ce ne fosse bisogno, perché la legge elettorale non si fa con uno solo ma con tutti, prendendo da ciascuno la proposta migliore per arrivare a una soluzione condivisa. Sul vecchio cammino ha avuto il consenso di coloro che prima erano maggioranza e oggi rischiano di essere minoranza nel senso minore, come la sinistra socialista ai tempi di Craxi.
Ma in quel bivio c’è anche una strada davvero mai battuta. Nel discorso di Renzi alle primarie, anche se non l’ho sostenuto, si intuiva una nuova direzione: dare vitalità alla politica senza ricorrere alla robotica, ricomporre la frattura tra l’elettorato della scelta e quello del rifiuto, costruire il consenso necessario per fare le riforme. Un semplice consiglio al premier: lasci al Parlamento il compito di migliorare il bicameralismo e la legge elettorale, a partire dalla parità di genere. Si concentri piuttosto su Europa, lavoro e legalità. Ne otterrà benefici per sé e per il Paese.
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