Siamo alla battaglia finale. E il Berlusconi da combattimento, il Cavaliere sfasciatutto, mette in campo tutte le sue armi. Abbiamo visto così ministri del Pdl usati come scudi umani, “dimissionati” dal capo senza saperlo. Continuiamo a vedere ricatti da mane a sera, uno stillicidio di veleni che punta al Quirinale, fino ad evocare un complotto di Napolitano contro Berlusconi, un intervento del presidente della Repubblica sui giudici della Cassazione che hanno stabilito in via definitiva il risarcimento per il lodo Mondatori. Si dice che il Cavaliere è accecato dall’odio e dalla paura, che si muove in un circolo affannato, sovraccaricato, senza bussola, una volta che il governo delle “larghe intese” non si è rivelato lo strumento tecnico utile a risolvere le sue urgenze giudiziarie, a tutelare i suoi interessi personali. Ma, francamente, era possibile aspettarsi un atteggiamento diverso da un uomo che ha sempre scambiato la stabilità con l’impunità e che è sempre stato disposto a rovesciare ogni tavolo, giocando, senza pudore, al “tanto peggio tanto meglio”? Il governo di Enrico Letta avrebbe dovuto essere un esecutivo di “servizio”, con un orizzonte ristretto ma carico di significato, per fare le cose essenziali necessarie alla ripresa del Paese. In questo contesto, malgrado tutto, si poteva accettarlo, visto che era imposto dall’assenza di alternative. Ma è apparso ben presto come una cosa diversa: un governo con i piedi d’argilla, sottoposto ai continui ricatti berlusconiani, sempre sul punto di cadere, col rischio di portare la politica al punto più basso di credibilità.
Era prevedibile che le ultime forzature del Cavaliere avrebbero provocato contraccolpi anche all’interno del centrodestra, che i ministri “dimissionati”, e alcuni dirigenti del Pdl, avrebbero provato a prendere le distanze, a recuperare un minimo di ruolo e di credibilità. Ma non sembra sia il caso di scambiare tutto ciò per il preannuncio di una spaccatura, di una vera propria ribellione. In un partito padronale, da sempre privo degli strumenti che assicurano il normale funzionamento della democrazia, è ben difficile che il dissenso cresca in tempi brevi, fino a disegnare un nuovo orizzonte politico. Letta ha mostrato di confidare in questa prospettiva. E’ naturale che il presidente del Consiglio non accetti di restare alla guida di un”governicchio”. E’ legittima l’aspirazione di garantire al proprio governo l’orizzonte del 2015 e una vita soddisfacente e dignitosa. Ma in che modo si può realizzare questo obiettivo? Si deve davvero pensare che dal corpaccione berlusconiano possa nascere, per incanto, una costola responsabile e moderata, in grado di sconvolgere lo scenario conosciuto, fino a delineare un campo di gioco sul quale non grava più l’ombra del Cavaliere?
In queste ore, le ipotesi più diverse si intrecciano e si contraddicono. Ma è ben difficile che possa essere rimessa in piedi una coalizione di legislatura. La tela è stata strappata rovinosamente nel punto più delicato, quello che riguarda i principi e i valori di uno stato di diritto. Però, è altrettanto vero che non si può andare a elezioni a dicembre, senza avere prima approvato la legge di stabilità e una nuova legge elettorale. Dunque, è necessario un governo, questa volta davvero di “scopo”, limitato a questi obiettivi, che faccia slittare il voto anticipato a marzo. E’ un obiettivo limitato, ma serio. E tuttavia di non semplice realizzazione. Soprattutto sul fronte della riforma elettorale, visto che la legge truffa, realizzata da Calderoli, piace tanto a Berlusconi quanto a Grillo, anche se all’inizio avrebbe voluto cambiarla. Certo, qualche aggiustamento si impone, visto che a dicembre il “Porcellum” potrebbe essere dichiarato incostituzionale. Ma c’è il rischio che si tratti di modifiche marginali, quanto serve per non incorrere nel rigore di una condanna, lasciando immutato l’impianto devastante della legge. E’ qui che il centrosinistra, il Pd, gioca la partita più difficile, e deve saper chiamare a raccolta tutte le forze democratiche. Affinché il sistema politico italiano sia portato fuori dalla palude. E alle prossime elezioni milioni di cittadini non siano più costretti a votare per rabbia, per disgusto, per disperazione.