Due conti sull’aumento di capitale MPS

10 Settembre 2013

Cosa succede se l’aumento di capitale non riesce? In questo caso può avvenire di tutto: il MEF dovrebbe riaprire la trattativa con la UE per non subire una procedura di infrazione, e con ogni probabilità non potrebbe fare altro che accollarsi la banca. Alla fine, quindi, a pagare i conti in rosso di MPS dovrebbero essere principalmente gli azionisti e la Fondazione.

montepaschiMPS dovrà trovare 2.5 mld con un aumento di capitale. E’ questa la decisione frutto dell’accordo tra Unione Europea e MEF (Ministero dell’Economia e la Finanza) perché i Monti bond non si configurino come aiuti di stato. Cosa vuol dire questa notizia per i risparmiatori? Anzitutto cominciamo a fare due conti, per meglio comprendere lo stato patrimoniale della banca.

MPS ha un debito con lo stato italiano di circa 4 miliardi, garantito dalle azioni MPS. Il valore delle azioni, alla quotazione odierna di 21 centesimi, è di circa 2.5 mld, quindi la garanzia è inferiore al debito. Ciò vuol dire che, se i Monti bond dovessero essere restituiti oggi, il MEF si vedrebbe costretto ad acquistare le azioni MPS (nazionalizzandola) ad un valore di circa il 40% superiore a quello di mercato. L’aumento di capitale, di 2.5 mld, sanerà questa situazione, mettendo lo Stato nella condizione di essere prestatore sì, ma con delle garanzie di valore superiore (5 mld in tutto), e quindi in una situazione di relativa sicurezza. Al management della banca converrebbe restituire buona parte dei Monti bond, per non pagare gli ingenti interessi (10% all’anno circa) che questi comportano. Come si vede, è una partita che riguarda solo gli azionisti e il management (e, in parte inferiore, gli investitori nella Banca con titoli di risparmio), mentre non riguarda in alcun modo i correntisti che hanno meno di 100.000 euro sul conto, i quali devono temere solo il fallimento dello Stato.

Se l’aumento di capitale riuscisse, ci sarebbe un’altra conseguenza importante. La quota in possesso della Fondazione MPS è oggi del 33.5% delle azioni, pari cioé a 800 milioni circa. Con l’aumento di capitale (che raddoppierebbe, come abbiamo visto, il valore complessivo delle azioni circolanti), la quota di partecipazione della fondazione scenderebbe della metà, fino al 17% circa. Se a ciò aggiungiamo che la fondazione ha un debito residuo di 350 milioni, che ha annunciato di voler restituire al più presto, si vede come la quota di partecipazione della Fondazione potrebbe scendere sotto il 10%. Si tratta di una quota sideralmente lontana dal 51% che per anni è stata l’obiettivo della fondazione, e sancirebbe la perdita definitiva del controllo della Banca: un finale molto difficile da evitare, come questi numeri dimostrano.

Che l’aumento di capitale riesca non è affatto scontato: occorre trovare un capitale di valore pari a quello delle azioni circolanti. Questo vuol dire che se l’aumento di capitale sarà effettuato dagli azionisti di Monte Paschi, ai quali presumibilmente verrà garantito un diritto d’opzione, a ogni investitore verrà chiesto di pagare quanto è in loro possesso. Ogni investitore sarà libero di esercitare, o meno, questa opzione, a seconda delle proprie disponibilità e di quanto si crede nella ripresa economica della Banca. I dettagli su come avverrà tecnicamente l’aumento di capitale saranno decisi nei prossimi due mesi.

Cosa succede se l’aumento di capitale non riesce? In questo caso può avvenire di tutto: il MEF dovrebbe riaprire la trattativa con la UE per non subire una procedura di infrazione, e con ogni probabilità non potrebbe fare altro che accollarsi la banca. E’ tuttavia mia opinione che questa eventualità sia remota, perché nei mercati finanziari c’è la liquidità necessaria perché l’operazione vada in porto. Alla fine, quindi, a pagare i conti in rosso di MPS dovrebbero essere principalmente gli azionisti e la Fondazione.

L’autore è docente di matematica finanziaria al Dipartimento di Economia dell’Univ. di Siena, socio fondatore del circolo di Siena di Libertà e Giustizia

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