I programmi elettorali sono reticenti, se non muti, sui temi istituzionali, forse perché sono complessi e non appassionando gli elettori non si prestano ad epici scontri o forse perché nella storia repubblicana i tentativi in materia non hanno mai avuto successo. Nemmeno l’avvento di leggi elettorali maggioritarie — lo ricorda Andrea Manzella — ha portato adeguati contrappesi a un quadro fondato sull’impianto proporzionale. Se è lecito, anche un dilettante in materia vorrebbe fare qualche riflessione.
L’ampio ventaglio dei temi istituzionali dovrebbe essere più che una nota a fondo pagina nei programmi e il da fare (in latino, Agenda) non manca. Servirebbe un criterio di azione, darsi un’impostazione organica per poi, scendendo per li rami, sciogliere i vari nodi. A questa strada maestra, che porterebbe ad una «legislatura costituente» pare preferibile un più modesto, ma realistico, viottolo: darsi delle priorità, in base all’urgenza dei vari temi.
La Costituzione non la cambia un partito che prenda il 51% alle elezioni, come ha detto in tv Silvio Berlusconi. Quel che invece chi vincerà le elezioni potrà, o meglio dovrà fare, è misurarsi con i temi più urgenti. A chi scrive essi paiono due. Attuare il dettato costituzionale sui partiti, riempiendo il vuoto attuale e decidere che fare della legge elettorale: tenerla o cambiarla e, se sì, come.
Ai partiti la Costituzione e le leggi — Porcellum inclusa — assegnano un ruolo chiave, ma essi sono libere associazioni che a nessuno rispondono. L’articolo 49 impone di agire «con metodo democratico» ma nessuna norma cogente lo impone; difatti ciò non accade proprio. Siamo, più che nel vuoto pneumatico, nell’illegittimità costituzionale: si pensi, prima ancora che al tema del finanziamento e dei rendiconti, a tutta l’attività dei partiti, dal tesseramento ai congressi, all’elezione dei vertici, alle liste dei candidati, ai rapporti con gli eletti, etc.. I cittadini hanno diritto a esigere impegni concreti e scritti, di cui poter misurare l’effettiva attuazione. Qualcuno vorrà farlo?
È vero che la legge elettorale è un tassello di un ampio disegno istituzionale, ma se lo aspettiamo ci terremo per secoli il Porcellum, approvato a fine 2005 dall’allora Casa delle libertà, composta principalmente da Forza Italia, Alleanza nazionale, Lega nord e Udc. Logica vuole che tali forze restino coerenti a favore del suo mantenimento: una legge elettorale non è un abito che dopo qualche stagione passa di moda. Bisogna pensarci bene prima di cambiarla, ma poi essere coerenti, anche per rispetto degli elettori. Ove mai gli attuali Pdl (al posto di «Casa» ora c’è «Popolo») e Lega Nord, di nuovo uniti dopo le baruffe padane, volessero cambiare, dovrebbero spiegare perché il Porcellum gli parve giusto allora e perché ora hanno cambiato idea, ma farlo credibilmente, non cavarsela con battute, né dirci che non gli conviene più: gli elettori devono poter pensare che tali scelte siano fatte se non proprio «sotto il velo d’ignoranza» di Rawls, almeno senza l’occhio fisso ai sondaggi di giornata.
Una posizione più chiara sulla legge elettorale l’ha il Pd che, da sempre favorevole ai collegi uninominali a doppio turno, l’ha reiterata nel programma attuale; essa andrebbe però sostenuta con forza in campagna elettorale, anche per fugare il dubbio che la sommersa anima proporzionalista riemerga il 26 febbraio come l’acqua di un fiume carsico. Bersani chieda dunque, forte e chiaro, un mandato a sostituire il Porcellum con l’uninominale a doppio turno. Sarebbe così dribblata anche l’obiezione secondo la quale il nuovo Parlamento, dopo aver approvato una legge diversa da quella con cui è stato eletto, è tenuto a dimettersi per far luogo a uno legittimato dal nuovo metodo elettorale. (Se invece si attendesse la fine della prossima legislatura, si rischierebbe la replica dello squallido finale dell’attuale).
In posizione più scomoda è la coalizione di Centro. Oltre al gruppo montiano, scevro da condizionamenti passati, ne fan parte Udc e Fli, che sono in situazione simile a Pdl e Lega Nord, anche se dopo le elezioni del 2006 l’Udc uscì di Casa senza unirsi al Popolo (Fli nasce invece di recente per gemmazione da An, a suo tempo sostenitrice del Porcellum). Vorranno forse i due partiti ammettere che quel che ieri loro conveniva oggi non conviene più?
I montiani, invece, sono presumibilmente contro il Porcellum e per il proporzionale, al più con un modesto sbarramento, magari da indicare solo dopo aver misurato la propria forza. Anche loro hanno dunque al proprio interno rilevanti contraddizioni da spiegare ai cittadini.
Si sa, una legge elettorale non dovrebbe più essere imposta ad una minoranza recalcitrante, ma se i vincitori avranno chiarito quel che vogliono fare in materia, saranno tenuti ad attuare quanto promesso. Se poi, per esiti elettorali incerti, fosse necessaria una nuova, defatigante kermesse sul Porcellum, almeno sapremmo da che basi si parte.
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