Riforme: tutto il potere ai segretari…

21 Febbraio 2012

C’è chi l’aveva detto subito: “nulla sarà come prima dopo il governo Monti”. E’ svanita l’illusione dei partiti di capovolgere e cancellare il nastro per ricominciare da capo, una volta conclusasi, nella primavera del 2013, la legislatura. Le difficoltà dei partiti si sono estese. Così che la tenuta delle principali forze politiche appare oggi a rischio. E, nello stesso tempo, sta crollando anche la tenuta delle alleanze e delle precedenti coalizioni

C’è chi l’aveva detto subito: “nulla sarà come prima dopo il governo Monti”. Sembrò una considerazione affrettata. Ma ora, mentre “SuperMario” si prepara a festeggiare i suoi primi cento giorni, è una conclusione comunemente accettata. E’ svanita l’illusione dei partiti di capovolgere e cancellare il nastro per ricominciare da capo, una volta conclusasi, nella primavera del 2013, la legislatura. In tre mesi, il consenso per l’esperimento tecnico è cresciuto, malgrado le difficoltà incontrate dall’esecutivo. E, invece, le difficoltà dei partiti si sono estese. Così che che la tenuta delle principali forze politiche appare oggi a rischio. E, nello stesso tempo, sta crollando anche la tenuta delle alleanze e delle precedenti coalizioni.

A questo punto, che cosa accadrà, quale sistema partitico finirà per delinearsi, è assai difficile da prevedere. Più prudente restare ai fatti. E, allora, vediamo un Pdl sempre più in affanno. Fermo in una terra di mezzo. Sovrastato dagli scandali delle tessere false e delle infiltrazione camorristiche. Privo di una vera leadership dopo l’uscita, senza ritorno, del suo padre-padrone. I sondaggi tolgono il sonno ai suoi dirigenti. Ritraggono un partito in calo di 15 punti rispetto alle elezioni europee del 2009, quando poteva contare sul voto del 35 per cento degli italiani. Per provare a fermare questa emorragia, si era pensato a una scelta traumatica: la scomparsa in molte città, alle amministrative di maggio, del simbolo del partito, per lasciare spazio alle liste civiche. Non una soluzione del problema. Piuttosto il suo contrario. E, infatti, l’ipotesi sembra sia decaduta. Sul fronte opposto, quello del centrosinistra, il Pd può contare su previsioni più confortanti. Si presenta come la prima forza politica. Però, il 27 per cento, attribuitogli dai sondaggi, non è certo un dato esaltante. Prefigura un sorpasso all’indietro, che si avvale delle maggiori perdite dell’avversario. Il “no”alla tragica esperienza berlusconiana non si orienta verso i democratici, ma si disperde nell’area dell’astensione. C’è un vuoto che il Pd non riesce a coprire. C’è una crisi di fiducia che coinvolge l’identità politica di questo partito, come confermano i risultati delle primarie a Genova. I democratici possono vincere. Ma in troppi casi sono costretti ad affidare le loro truppe a un condottiero “straniero”. La polemica che si è aperta, “se il governo Monti sia di destra o di sinistra”, testimonia questa tendenza. Che, alla fine, può avere effetti devastanti.

Tra i due maggiori partiti, si colloca il Terzo Polo che vive, al momento, un’esperienza meno agitata. All’ombra del governo Monti, Casini dispone, quanto meno, di una linea difensiva consistente. Disegna il suo programma come la naturale prosecuzione di questo Esecutivo. E punta a obiettivi ambiziosi, vedendo progressivamente affievolirsi l’ottica bipolaristica. Se Monti riuscirà a realizzare buona parte del suo programma, si determinerà un solco profondo, che sarà difficile cancellare. E allora Casini potrebbe aprire il cantiere di una nuova aggregazione politica, attirando figure e forze di confine che oggi sono nel Pdl e nel Pli.

Non c’è, in ogni caso, una scommessa politica che appaia prevalente sulle altre. Oggi nessuno, tra i tre segretari dei partiti che appoggiano il governo, si tratti di Bersani, di Alfano o di Casini, sa nulla del proprio futuro. Tutto ciò mentre cresce un diffuso sentimento avverso ai partiti che appaiono rattrappiti su se stessi, preoccupati di conseguire momentanei vantaggi, incapaci di mantenere il loro rapporto con gli elettori. In queste condizioni, si alimenta l’antipolitica che minaccia di diventare un fenomeno di massa, con le conseguenti rovinose cadute nella demagogia e nel populismo.

La riforma elettorale e quella istituzionale possono concorrere a fermare questa deriva? In linea  generale, la risposta è positiva. La questione della legge elettorale è il tema centrale: cambiare il “Porcellum”, una sorta di mostro, è un dovere morale oltre che politico. Ma facciamo attenzione ai particolari perché qui si nasconde il veleno. Teniamo per il momento da parte le obiezioni di principio sulla “legittimazione” di questo Parlamento di “nominati” a mettere mano alla Costituzione. Facciamo “considerazioni pratiche”, come si suole dire. E allora si può davvero credere che in non più di undici mesi, il tempo disponibile da qui alla fine della legislatura, si riesca a fare una buona legge elettorale e una convincente riforma istituzionale? E’ da almeno trent’anni  che si discute di grandi riforme senza portare a casa nulla di concreto. Nel frattempo, non si è neppure applicata la Costituzione, a partire dall’articola 49, quello che richiama la democrazia all’interno dei partiti. Non è quindi lecito il sospetto che si metta insieme tanta legna da ardere solo per fare un gran fumo, senza portare alla fine nulla in tavola o, magari, qualche cattivo rattoppo istituzionale e un inaccettabile aggiornamento dell’orrendo Porcellum? La riforma elettorale doveva stare in cima all’agenda. E, invece, è sovrastata dal polverone sulle grandi riforme, nell’attesa che si definiscano le convenienze dei partiti, che si capisca quali alleanze si possono fare, a destra come a sinistra. Le indiscrezioni sulle bozze in circolazione, del resto, sono tutt’altro che confortanti. Si rafforza il timore che il potere rimanga tutto nelle mani dei “soliti noti”, che si voglia rimettere al centro del sistema politico il vecchio tavolo dei segretari.

Intendiamoci: non abbiamo alcuna simpatia per un certo nuovismo becero e furbesco…Non siamo per le esasperazioni manichee, che assegnano il bene tutto da una parte, quello dei cittadini. Ma se si vuole recuperare la partecipazione, se si vuole che gli elettori non si distacchino dai valori civili e democratici, che non siano sempre più disimpegnati, non si può far prevalere il richiamo degli antichi riti. I partiti possono avere un grande ruolo per riannodare il filo del consenso popolare. Ma a condizione che si innesti in una dimensione partecipativa che ha assunto forme diverse. Una scommessa difficile, nel momento in cui nessuno è in grado di offrire nuove certezze.

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