MILANO – Ingegner De Benedetti, che impressione le ha fatto la caduta di Berlusconi?
«La fine di uno show. Berlusconi è stato, ed è, un serial tv durato troppo a lungo. Tutto è cominciato su un set televisivo, con la messinscena del tavolo di noce e del contratto con gli italiani, alla presenza di un notaio fasullo anche quello. Termina con la tragedia di un Paese eticamente distrutto, economicamente sfiancato, finanziariamente sull’orlo del fallimento. Ora lo show è finito».
Ma Berlusconi non è ancora stato battuto.
«Sia chiaro che è caduto in Parlamento, dove non aveva più i voti per governare. L’analisi storico-politica si farà carico di spiegare come un Paese si sia convinto a dare il proprio consenso a un illusionista, e poi abbia tollerato una figura retrò che impersonava la vecchia corruzione, il vecchio sessismo, il vecchio machismo. Nel mondo ormai veniva definito “buffoon”. A me rimane una tristezza: come una classe dirigente abbia tollerato-favorito-tratto vantaggi personali dal rapporto con lui, mentre l’Italia andava a picco al suono del suo pifferaio magico che addirittura negava la crisi».
Cos’ha provato nel vedere la folla che lo insultava sotto casa?
«Gli insulti sono sempre un elemento di inciviltà. Ma talvolta il popolo ha bisogno di uno sfogo, più folkloristico che sostanziale. Nel serial tv il finale prevede, come nelle grandi opere musicali, la parte del coro; ed è proprio a quel punto che si chiude il sipario. Comunque, è una cosa che sarebbe stato meglio non fosse successa».
La crisi è davvero così drammatica?
«Sì. Ho passato la scorsa settimana tra Washington e New York. E ho scoperto che l’Italia è importante come mai in passato: la crisi del suo debito può destabilizzare il mondo intero; a cominciare dalla Francia. Non a caso Obama ha auspicato una soluzione tecnocratica per Grecia e Italia. Un grande banchiere mi ha confidato che la sera non riesce a dormire, in preda a cattivi pensieri; e il primo è l’Europa. È stato allora che mi sono reso conto che stavamo precipitando nel baratro, l’orologio della politica non coincideva con l’orologio dei mercati, e occorreva una grande accelerazione».
Monti è una «soluzione tecnocratica»?
«Non so fino a che punto gli italiani siano riusciti a capire la straordinarietà di quanto ha fatto Napolitano la settimana scorsa. La lucidità, il tempismo, la determinazione, e la vera genialità politica con cui ha trasformato un professore in un padre della patria. Monti era l’unica scelta. Ho molta fiducia in lui».
Eppure in questi giorni la Borsa ha continuato a soffrire, lo spread e i rendimenti dei titoli di Stato a salire.
«Perché non basta cambiare l’etichetta; la gente vuol sapere cosa c’è dentro la bottiglia. La questione non è solo italiana, il problema della leadership è mondiale. Salvare la democrazia dalla tecnocrazia è un grande compito. Io penso che Monti rappresenti il meglio che la tecnocrazia può offrire: è la nostra ultima occasione, guai a perderla; viva Monti, mille volte. Ma la gente come me, che sono un democratico vero, spera che la tecnocrazia venga presto sostituita dalla politica. Altrimenti si apre l’orizzonte inquietante della demagogia, amplificata dalla grande rete comunicativa di Internet. È nato così un fenomeno come Obama: ottimo candidato, pessimo presidente; al punto che alcuni tra i suoi grandi finanziatori del 2008 stavolta voteranno Romney».
I partiti italiani sosterranno davvero un governo da cui sono esclusi?
«I più grandi beneficiari di un governo tecnico saranno i partiti. Un governo tecnico darà loro respiro, consentirà di recuperare quella capacità di parlare ai cittadini che tutti hanno perso, a destra ma anche a sinistra».
Anche il Pd, la cui nascita lei aveva salutato con favore?
«Il Pd non ha corrisposto alle aspettative mie e a quelle di tanti entusiasti alla sua nascita. Bersani è un’eccellente persona, è stato un ottimo ministro, si è dimostrato anche in questa circostanza un politico eccellente, fermo e intransigente sui suoi principi ma duttile come la circostanza richiedeva; ma, in un’epoca in cui la comunicazione è così importante, lui è più efficace comunicativamente nella versione Crozza che in quella originale. Ringraziamo però che ci sia Bersani perché, al di là delle amicizie personali, troppi a sinistra non sopportano più le liti trentennali D’Alema-Veltroni».
Renzi non la convince?
«Assolutamente no. La rottamazione può essere la condizione per un progetto. Non può essere un progetto in sé. Di Berlusconi ne abbiamo già avuto uno. E ci è bastato».
Cosa pensa della composizione del governo?
«Mi sembra una squadra con grandi professionalità. L’importante ora e che li lascino lavorare perché il compito che li attende è drammatico».
Quanto dura, secondo lei?
«Parlare di governo a termine è ridicolo. L’unico termine sono le elezioni del 2013. Ma in 15 mesi Monti potrà solo iniziare un lavoro che durerà molto di più. Ci vorranno cinque, forse dieci anni per riparare ai guasti degli ultimi venti».
Questo significa che Monti potrebbe tornare a Palazzo Chigi sostenuto da un nuovo centrosinistra?
«Non credo che Monti abbia intenzione di schierarsi, fondare partiti, guidare campagne elettorali. La sua forza è proprio nell’essere neutro, nel fatto che non favorirà né l’uno né l’altro. È un liberale, sia nel senso europeo sia nel senso americano del termine. È un einaudiano e un kennedyano allo stesso tempo. Ma non è padre Pio. Non è un dio. Cercherà di fare alcune cose, inclusa, spero, la legge elettorale e la patrimoniale, che personalmente ho suggerito due anni e mezzo fa».
È davvero necessaria la patrimoniale? E di quale tipo?
«Serve una patrimoniale light , sotto l’1%, su tutto. Ma non per ridurre il debito, né per sistemare i conti, né per tranquillizzare l’Europa. La patrimoniale è un segno verso l’assoluta necessità, per l’Italia come per tutto l’Occidente, di ridurre la forbice sempre più ampia della disuguaglianza sociale. In America ho visto i giovani di Occupy Wall Street . Non concluderanno nulla; ma vanno compresi. Perché non si può più tollerare che l’1% della popolazione controlli il 50% della ricchezza».
Oltre alla leva fiscale, Monti dovrà far ripartire la crescita. Ce la può fare?
«L’Italia può ripartire nel lungo e medio periodo, Ma ciò a cui andiamo incontro è una profonda recessione».
Qual è il suo giudizio su Tremonti?
«Tremonti è un uomo di cultura e di buone letture. La massima soddisfazione per Tremonti è andare controcorrente. Nel titolo del suo best-seller, La paura e la speranza , ci sono entrambe le correnti contrastanti in cui si dibatte. Ma di quanto stava accadendo nel mondo non ha capito molto. Chiedeva i dazi contro la Cina. Ora siamo qui a chiedere aiuto alla Cina».
Non salva nessuno del governo uscente?
«Maroni».
E lei cosa farà dei 564 milioni di euro che le ha versato Berlusconi?
«Premesso che dovrà ancora rispondere dei danni non patrimoniali così come stabilito dalle sentenze già emesse, il risarcimento del danno subito l’abbiamo investito in impieghi estremamente conservativi. Siamo rispettosi della magistratura. Attendiamo sereni l’ultimo grado di giudizio, visto che l’unico argomento della controparte è quello di aver corrotto un giudice solo – peraltro, il relatore – e non tutti e tre. Quei soldi vorrei investirli nel mio Paese. Siccome ora in Italia il problema è la mancanza di liquidità, credo che le opportunità di investimento non mancheranno».