Tra le tante forme di corruzione ce ne è una particolarmente pervasiva: quella delle pubbliche amministrazioni. Molte le ricadute nefaste di questa forma di illegalità, dalla inefficienza dei servizi pubblici al dissesto delle finanze, per non parlare della disaffezione dei cittadini nei confronti delle istituzioni. Se ne è parlato martedì all’Università degli Studi di Perugia, tra i banchi della Facoltà di Scienze Politiche. L’occasione? La pubblicazione di una ricerca (targata Astrid e pubblicata per Passigli Editore) contenuta in un importante volume – La corruzione amministrativa. Cause, prevenzione e rimedi – curato da Francesco Merloni e Luciano Vandelli, docenti di Diritto amministrativo, rispettivamente, a Perugia e a Bologna. Ad organizzare l’iniziativa due associazioni della società civile, entrambe impegnate – sia pure in forme e modi diversi – nell’affermazione della legalità: Libertà e Giustizia e Libera. Hanno presentato il testo, dopo l’introduzione di Alessandro Tancredi (LeG) e di Maurizio Del Pinto (Libera), due ospiti: Roberto Segatori docente di Sociologia presso l’Ateneo perugino e Fausto Cardella, Procuratore della Repubblica di Terni. Già, perché per spiegare (ma anche per prevenire) la corruzione, per capirla e contrastarla, serve sia comprenderne le radici sociali (perché è così radicata e tollerata nel tessuto sociale italiano?) che analizzarne i dispositivi sanzionatori (sono sufficienti gli strumenti penali per fronteggiarla efficacemente?). Il problema, quindi, è complesso e i relatori non ne hanno fatto mistero. «Nel nostro paese c’è un basso indice di moralità – spiega Segatori, scoperchiando il vaso di pandora della scarsa eticità italiana – e questo è il primo dei fattori che facilitano il fenomeno dell’illegalità diffusa». Si può essere più o meno d’accordo sulle origini di questa gracile identità valoriale, ma quel che è certo è che se i valori etico-morali condivisi dalla collettività sono pochi e mal digeriti, se non sono assimilati e assorbiti, se non esistono degli sbarramenti etici alla proliferazione della corruzione, questa ha campo libero. E, in questo senso, non aiutano i modelli trasmessi dai media, in primis il comportamento delle classi dirigenti. A contare, eccome, è anche il clima dei contesti istituzionali: «se l’istituzione è internamente viziata – sostiene Segatori – le dinamiche dominanti al suo interno saranno impregnate di corruzione». Infine, il calcolo di convenienza: banale ma sempre valido, il vecchio bilanciamento costi-benefici incide sulla propensione al fatto corruttivo. Un do ut des che spinge il singolo a cedere alla scorciatoia contro la legge. Queste tre dimensioni, altrove non necessariamente compresenti, nel nostro paese invece si integrano e si alimentano vicendevolmente. E come se non bastasse, la corruzione di oggi è, se possibile, ancora più pericolosa di quella tradizionale, aggiunge il sociologo: «In una sorta di selezione naturale sono rimasti i corruttori più abili: agiscono al confine tra legalità ed illegalità e utilizzano dei garanti (assessori, imprenditori, dirigenti delle pubbliche amministrazioni) posizionati strategicamente nei gangli del potere». Se dal punto di vista sociale il panorama appare sconcertante, non c’è nulla di confortante sul fronte del diritto penale. «Il paese non si può governare con il diritto penale», spiega Cardella, quasi a mettere le mani avanti, conscio delle armi spuntate di cui dispone oggi la magistratura. Il diritto penale è strumento residuale e dovrebbe servire solo nelle situazioni eccezionali. Eccezionali in quanto in netta minoranza rispetto ai comportamenti normali della comunità. «I governi – qui la destra e la sinistra non fanno differenza – hanno fatto ben poco in termini di lotta alla corruzione». E nel corso del tempo sono stati smantellati o depotenziati molti degli strumenti di contrasto all’illegalità. «Tutto inizia negli anni ’90 – spiega il magistrato – con l’abrogazione dell’art 324 del codice penale, di fatto la norma che puniva l’indebita commistione tra interesse privato e interesse pubblico». Poi è la volta della modifica del reato di abuso di ufficio: la condotta, il comportamento del pubblico ufficiale, presidio più efficace contro l’illegalità, viene confinata ad aspetto marginale». E ancora, la sostanziale depenalizzazione del falso in bilancio (sono proprio i fondi neri quelli con cui si paga la corruzione), nonché la privatizzazione degli Enti. Una dilatazione del privato che, di fatto, li sottrae al controllo della magistratura contabile, «per di più in un periodo in cui la spesa pubblica impenna». Il problema è che «la corruzione è un reato criptico, nascosto: si fonda su un patto tra due soggetti che condividono un interesse. E l’interesse di entrambi non viene, ovviamente, denunciato». Un reato, quindi, difficilissimo da scoprire. E il pensiero corre inevitabilmente alla questione delle intercettazioni. Se il penale da solo non ce la può fare, servono sanzioni disciplinari interne alla pubblica amministrazione, spiega Cardella. Ecco allora che il volume curato da Vandelli e Merloni è più che mai attuale. E utile: offre una panoramica completa del fatto corruttivo, sostenuta da un validissimo supporto documentale, dove la scientificità si coniuga con uno stile scorrevole, rendendo gradevole la lettura. Analisi ma soprattutto proposte di misure di intervento normativo o amministrativo. A partire – per fare solo un esempio macroscopico – dalla necessaria riformulazione della figura del funzionario amministrativo, che deve essere (ma anche apparire) imparziale. Proposte operative, insomma, per fare in modo che la pubblica amministrazione finalmente diventi la “casa di vetro”, trasparente e accessibile, che dovrebbe essere, recuperando la fiducia del cittadino.
Leggi le statistiche di Transparency International
e gli indici di percezione della corruzione nel mondo