Può il capo dello Stato sciogliere le Camere senza le dimissioni del presidente del Consiglio? Berlusconi, come è ovvio, risponde di no, ma l’argomento comincia ad appassionare i costituzionalisti, che stanno ragionando sui confini dei poteri del Quirinale come mai si era fatto prima. Perché, vale la pena di notarlo, mai prima ci si era trovati in una situazione simile, dove al massimo dei problemi da risolvere corrisponde il minimo dell’attività da parte di governo e Parlamento.
Sul Corriere della Sera di lunedì 14 febbraio, Sergio Rizzo ha squadernato dati inquietanti. Il Parlamento è immobile: solo una legge approvata dall’inizio dell’anno (e si trattava della conversione di un decreto sui rifiuti in Campania), e un numero di sedute ridicolmente basso, appena 171 dall’inizio del 2010 per la Camera e 129 per il Senato. Il Consiglio dei ministri ha una frequenza maggiore, ma si tratta di riunioni lampo, il che significa che i provvedimenti vengono approvati senza discutere, anche quando la loro ponderosità richiederebbe il concorso, con idee e suggerimenti, di tutti i presenti.
Insomma, i sintomi della paralisi legislativa, cioè uno degli elementi che giustificano il ricorso alle elezioni anticipate, ci sono tutti. Le ragioni sono evidenti, e non riguardano soltanto le vicissitudini giudiziarie di Berlusconi.
C’è la crisi economica, che da una parte richiederebbe interventi forti (e non gli annunci ripetititivi ai quali ormai neppure Confindustria crede) e dall’altra deve fare i conti con i soldi che non ci sono. E c’è un fenomeno non abbastanza sottolineato: sembra che nel momento più difficile per il paese i nodi delle promesse mancate e dei finti miracoli siano venuti al pettine tutti insieme. Creando un ingorgo micidiale.
I due fiori all’occhiello dell’attivismo berlusconiano erano la sparizione dei rifiuti a Napoli e la gestione del terremoto all’Aquila: e oggi sappiamo che erano solo giochi di prestigio. Poi c’era la questione dell’immigrazione, che a sentire la Lega sembrava risolta e che oggi si ripresenta con la massima gravità perché nessuno (ma ce l’abbiamo un ministro degli Esteri?) aveva annusato l’aria che tirava nei paesi del nord Africa o aveva immaginato l’effetto che la crisi economica poteva avere sulle popolazioni più povere che vivono alle nostre porte. E sorvoliamo per carità di patria sulle lite in corso con l’Europa “che ci ha lasciato soli”, perché dopo anni di critiche all’europeismo e di strappi orgogliosi la cosa appare miserevolmente comica.
Per non dire della pressione fiscale che sale (meno tasse per tutti?), del debito che si impenna (ma a che sono serviti i famigerati tagli lineari?) e dei progetti faraonici, come il ponte sullo stretto, che oggi appaiono per quello che sono: un semplice delirio di potenza.
Insomma: è vero che il governo e il Parlamento sono impastoiati dalle ossessioni sessuali di Berlusconi. Ma non è affatto certo che, pure se queste non ci fossero, l’attuale maggioranza sarebbe in grado di affrontare una simile mole di problemi. Se non è riuscita a farlo in momenti più favorevoli, non si vede come potrebbe riuscirci adesso. Ed è questo il punto. La via maestra sarebbe quella delle dimissioni del premier, ma è una via che sembra sbarrata. Tuttavia l’Italia non può rimanere ostaggio di una politica impazzita, e questa è una certezza. Il dilemma va risolto al più presto.