Una norma eversiva

21 Ottobre 2010

Partendo dall´errata idea che le leggi costituzionali siano equiordinate alla Costituzione, la Commissione Affari costituzionali del Senato ha approvato un emendamento al disegno di legge 2180: «Al di fuori dei casi previsti dagli articoli 90 e 96 della Costituzione, i processi nei confronti del Presidente della Repubblica o del Presidente del Consiglio dei ministri, anche relativi a fatti antecedenti l´assunzione della carica, possono essere sospesi con deliberazione parlamentare secondo le disposizioni della presente legge costituzionale».
La verità è che, realisticamente, Fini ha dato via libera al provvedimento perché lo ha ritenuto (sotto la sua responsabilità politica, evidentemente, e tra molte proteste della sua base) il male minore: dopo questo “sì”, Fli avrà sperabilmente più forza per dire “no” alla riforma della magistratura, se questa prefigurerà il passaggio dell´ordine giudiziario alle dipendenze esplicite o implicite del potere esecutivo. Se verrà superato anche questo scoglio, la legislatura potrà continuare (forse fino alla fine naturale): Berlusconi protetto da uno scudo impenetrabile potrà dedicarsi a recuperare consenso, e Fini a consolidare il suo nuovo soggetto politico.
Apprendiamo inoltre che Berlusconi e i suoi giustificano il Lodo Alfano sostenendo che l´elezione del premier è una sorta di unzione operata da una divinità laica (il popolo sovrano), che trasforma qualitativamente l´eletto, conferendogli un carisma speciale. E poiché l´eletto è tale perché dotato, in proprio, di carisma – cioè della capacità di farsi amare dal popolo – , ne emerge che il premier sarebbe doppiamente carismatico. Processare un politico di questa qualità è come interrompere un´emozione: non si può. Le ricadute costituzionali di questa teologia politico-istituzionale del carisma sono evidenti: il Lodo Alfano non solo trasforma il primus inter pares in primus super pares, ma rafforza anche l´idea – erronea, semplificatoria, illusoria, oltre in stridente contrasto con la logica che informa l´intera Costituzione – che il presidente del Consiglio sia eletto direttamente dal popolo.
Ci sarà, presumibilmente, una battaglia politica in Parlamento e nel Paese contro questa improvvida e affrettata riforma della Costituzione. Ma, intanto, è importante ricondurre la vicenda alle sue autentiche dimensioni e motivazioni: che sono gravissime e chiarissime, ma che non vanno interpretate come vuole la maggioranza. La verità è che le categorie con le quali meglio si comprende il Lodo Alfano sono quelle, più tradizionali, di “pubblico” e “privato”. Non di “doppio corpo del re” si tratta, non di mistica coincidenza fra Uno e Tutti, fra Capo e Paese, né del ritorno della prerogativa regia, o dell´inviolabilità e dell´irresponsabilità del re – che sono tutte nozioni di diritto pubblico, benché stridenti con le logiche costituzionali e democratiche della modernità – , ma della vecchia storia che vede un privato cittadino, assai ricco e potente, che, come molti altri vorrebbero, scampa da quel nemico incomprensibilmente persecutorio (estraneo alla vita sociale come è immaginata da molti) che è la legge.
Non siamo quindi di fronte a una questione di carisma e di sovranità popolare, ma a una sorta di “io speriamo che me la cavo” all´ennesima potenza – condiviso su larga scala da una fetta del Paese, in ciò simpatetico con il potente – , a un fortunato (forse) escamotage a fini privati lucidamente costruito nel corso degli anni e proiettato nel futuro: infatti, in caso di vittoria alle elezioni – a legge elettorale invariata – la salita al Quirinale di Berlusconi, stanco di governare, sarebbe facile, e la sua strategia sarebbe quindi del tutto riuscita. Naturalmente, che a tal fine si consumi una patente violenza alla Costituzione – al principio d´uguaglianza davanti alla legge – e ci si esponga al ridicolo su scala mondiale non conta nulla: si sa che a questi effetti collaterali della propria strategia Berlusconi è indifferente.
L´ironia tutta speciale di questo caso è che il privato si serve della dimensione pubblica come riparo dai suoi guai personali, e che ora cerca e trova l´ultimo bunker – che lo salva, con matematica certezza, dai processi, e che gli garantisce la sicurezza del privilegio extralegale – proprio in una norma costituzionale. Che, nella sua solennità, sarà quindi la madre di tutte le leggi ad personam. E che questo ennesimo trionfo dell´anomia sulla norma sia spacciato per doveroso rispetto della sublime sovranità popolare e del suo Unto, e che qualcuno ci creda – mentre al contrario proprio nella maestà e nell´universalità delle legge la sovranità del popolo trova la sua manifestazione essenziale – , è, purtroppo, del tutto degno di quello che Collodi a suo tempo definì, in un grande testo nazionalpopolare, il Paese di Acchiappacitrulli.

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