Alla Camera il centrodestra ha salvato, prima dal carcere e poi dal dimissionamento forzoso dal governo, il sottosegretario all’Economia Nicola Cosentino, imputato di concorso esterno in associazione camorristica con il clan dei Casalesi. Di mattina, contro la richiesta dell’arresto cautelare, formulata dal gip di Napoli Raffaele Piccirillo, hanno votato, a scrutinio segreto, in 360 (Pdl e Lega); a favore in 226 (Pd, Idv, e forse alcuni radicali: ma il deputato Pr Maurizio Turco aveva annunciato da tempo di votare contro l’arresto). Fatti i conti, e fatta la tara dei voti di coscienza (l’Udc aveva lasciato libertà ai suoi deputati), si calcola che una dozzina di deputati della maggioranza abbia votato con l’opposizione. Nel pomeriggio nuovo round: con altrettante mozioni Pd, Idv e Udc impegnavano il governo a dimettere Cosentino da sottosegretario “indipendentemente dall’esito del procedimento a suo carico, per ragioni precauzionali, di opportunità, di non compromissione dell’immagine delle istituzioni”. Anche qui è stato il muro del centrodestra: ma in questo secondo caso il “no” è passato con un minor numero di voti: l’Udc in questo caso ha votato per le dimissioni. La duplice sfida, arrogante e vincente, si è consumata in un’aula gremita: i deputati della maggioranza precettati via (minaccioso) sms, presenti quasi tutti i ministri tranne Berlusconi impegnato a vantarsi con i delegati del Ppe di tutt’Europa, a Bonn, di avere due palle così.
In ambedue i casi il dato più impressionante è stato costituito non tanto e soltanto dall’intransigenza della difesa di Cosentino da parte del centrodestra, quanto soprattutto dal carattere di questo muro: l’attacco alla magistratura, la pretesa di fare della Camera il giudice del giudice, la negazione in radice del principio della divisione dei poteri, e poi la minaccia (ai retinenti della maggioranza) che dimettere Cosentino poteva provocare una crisi di governo. A nulla è valso il richiamo dei rappresentanti Pd e Idv al dovere – opposto – della Camera cui non competeva né mai compete accertare o negare le responsabilità di un deputato, ma (nel caso dell’autorizzazione dell’arresto) render possibile ai giudici di dar corso alle indagini con tutti i mezzi disponibili; e, nel caso della richiesta di dimissionamento, evitare che una persona cui si contesta un così grave delitto possa continuare ad esercitare le proprie funzioni di governo in un ruolo così rilevante sia di sottosegretario all’Economia e sia, ancor più, per la delega al comando del Cipe. Tanto più grave il veto alla magistratura di procedere con severità nei confronti di Cosentino di fronte alle novità maturate in queste ultime ore. A quanto risulta, il giudice per le indagini preliminari ha infatti appena acquisito le rivelazioni di due nuovi collaboratori che confermano il quadro probatorio già esistente. Uno di essi chiama direttamente in causa Cosentino (“’o mericano” nel gergo criptato dei casalesi) rivelando che a lui la camorra faceva riferimento quando doveva trasformare in danaro pulito gli assegni frutto delle estorsioni.
Fra i tre addetti al riciclaggio c’era appunto ‘o mericano: “E’ il soprannome di Nicola Cosentino – spiega infatti questo pentito, Raffaele Piccolo –, un politico di Casal di Principe che ha una carica al Parlamento di Roma; è del partito di Forza Italia ed posso dire con precisione che lo stesso consente il ‘cambio assegni’ ricevuti dal clan”. La reazione del centrodestra? Baci e abbracci, di ministri e deputati, all’imputato Cosentino e, per contorno demagogico, una cagnara di applausi e di evviva al ben noto ministro della Giustizia Angelino Alfano che, con un intervento irritale nel corso del dibattito serale sul dimissionamento, ha voluto annunciare di avere appena firmato il decreto di nomina di un magistrato antimafia: a dimostrazione demagogica della vocazione del governo contro la criminalità organizzata, e per dare ulteriore carica al centrodestra. Senza pudore.
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