Agnes Heller: La jihad è un nuovo totalitarismo, la sua ideologia il terrore. E’ necessario coinvolgere la Russia

17 Nov 2015

La filosofa ungherese Agnes Heller, allieva di Lucàks, tra le pensatrici più feconde del dopoguerra in campo di filosofia politica e morale, a 87 anni trabocca ancora passione politica e intellettuale. Dopo l’11 settembre, vissuto da vicino come titolare della cattedra Hannah Arendt alla New School for Social Research di New York, in 911: Modernity and Terror (2002) introdusse un’analogia, discussa ma stimolante, tra terrorismo islamista e sistemi totalitari (ebrea scampata all’Olocausto e poi dissidente perseguitata dal regime socialista ungherese, li ha conosciuti da vicino).

Ne è ancora convinta?

«L’islamismo è il nazismo contemporaneo e va combattuto allo stesso modo. Tutti i governi dovrebbero unirsi in una causa comune. Senza ignorare la realtà: naturalmente Assad è un orribile dittatore, ma contro questi terroristi accetterei anche lui. Obama, da buon politico, ha parlato di attacco “al mondo civilizzato”: così include la Russia, che non è una democrazia liberale. Ma dev’essere coinvolta nella lotta al terrorismo. Penso abbia ragione, anche se disprezzo il governo di Putin, come il mio (quello ungherese di Viktor Orbàn, ndr). Ma contro Hitler, Churchill e Roosevelt si allearono con Stalin, mentre i gulag erano pieni».

Nel 2003, con altri intellettuali (Hitchens, Berman, Ignatieff) appoggiò l’attacco all’Iraq per rovesciare Saddam. Guardando indietro, ha cambiato idea?

«Aristotele dice che siamo responsabili delle conseguenze prevedibili delle nostre scelte. Quanto è accaduto dopo era imprevedibile, per me. Mi dispiace. Ero in errore».

Scrive che la guerra al terrorismo non è una guerra culturale.

«Non è una “culture war”. Ma il terrorismo è una cultura. Un’ideologia, un modo di vita, un insieme di convinzioni e doveri, non solo atti di violenza. Per i terroristi è “virtù”, perché uccidono i “crociati”, il nemico assoluto – questo è tipicamente totalitario. Ma ci sono elementi di novità assoluta. Per esempio, l’Is non rappresenta nessuna nazionalità e non è propriamente uno Stato, sebbene si proclami tale: un’orda di fondamentalisti volontari che odia il resto del mondo».

C’è il rischio di cadere in semplificazioni che demonizzano tutto l’Islam?

«Islamismo non è Islam, come il leninismo non era il pensiero di Marx, e il nazismo non era Wagner o Nietzsche. Nel XX secolo ci furono essenzialmente ideologie secolari alla base dei totalitarismi, è la prima volta che un fondamentalismo religioso ne diventa il vettore. È basato sull’Islam, lo usa come un’arma – le ideologie sono armi. Le democrazie liberali, i diritti umani e di cittadinanza sono il nemico più grande, più di ebrei e cristiani».

André Glucksmann nel libretto “Dostoevskij in Manhattan” ha scritto che il terrorismo moderno è la piena realizzazione del nichilismo. Con gli omicidi di massa afferma “uccido, dunque sono”. È d’accordo?

«Credo sia un’idea condivisibile. Siamo nel campo del nichilismo radicale: uccidere è un fine in sé. Una fede assoluta nelle loro verità si sposa con il nichilismo. Talvolta si crede siano in totale contrasto, ma in qualche modo i due estremi finiscono per toccarsi».

In un video, un mujaheddin dichiara «la cura per la depressione è la jihad». La violenza colma un vuoto di senso. Cosa possiamo fare?

«Combattere l’Is. È una lezione che ci viene dalla storia. Alla gente piace stare dalla parte del più forte, ama i vincenti, quelli che “fanno le cose”. L’immagine di forza è un fattore d’attrazione magnetico».

Ricorda quanto accadde in Italia con le Brigate Rosse: abbattere il mito della “geometrica potenza” fu essenziale.

«Se combatti gli islamisti, se perdono il loro potere, ne scalfisci l’immagine e la forza d’attrazione viene meno. Il male è una pestilenza. È potere, ed è contagioso».

Si porrà anche in Europa la tentazione del Patriot Act?

«In Europa sono spaventata piuttosto da Marine Le Pen. Anche Orbàn gioca sull’odio, non per gli islamisti, ma per “gli stranieri”, chiunque sia diverso è “nemico”. La sua tradizione, l’estremismo nazionalista, al momento è il pericolo più grande presente in Europa».

Ha insegnato a generazioni di studenti. Lo stato di salute della filosofia oggi?

«Questa è una generazione di filosofi deboli. Per la mia generazione ci sono state molte prove: l’Olocausto, poi le dittature. Per porre domande filosofiche originali, devi avere esperienze storiche e sociali intense. L’orrore terrorismo, i dilemmi che pone, possono innescare riflessioni filosofiche originali. Non si può più rispondere al problema del male solo con Hannah Arendt».

Repubblica, 17 novembre 2015

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