Quanto può reggere la democrazia italiana senza che i cittadini possano esprimersi in elezioni politiche?
E’ questa la domanda che circola con insistenza sui media ed è questa la domanda implicita nelle tante analisi che si leggono in questi giorni sui temi della rappresentanza. E’ una domanda di fondo alla quale spesso si risponde sbrigativamente: già è vero, dovremmo votare, ma qual è l’alternativa a Renzi?
E allora ci chiediamo: esiste o non esiste un’alternativa a questo governo? E quanto pesa semmai, questo problema, sulle decisioni che potrebbero portare al voto?
Molto tempo sembra esser trascorso da quando noi italiani il 24 e il 25 febbraio del 2013 fummo chiamati alle urne. Ma per qualche ragione il tempo sembra ancora più lungo. Allora centro sinistra e centro destra finirono quasi pari (poco più del 29 per cento entrambi) e solo il 75 per cento degli italiani andò a votare. “Astensionismo record” si disse, non sapendo ancora cosa ci sarebbe toccato negli anni successivi.
Nel momento del voto i cittadini scelsero su programmi presentati dagli schieramenti che non hanno nulla a che vedere con i programmi che sono stati attuati o promessi in questi anni.
Non solo. Al momento del voto il quadro dei partiti ancora esistenti era totalmente diverso da quello attuale e anche il partito democratico, che godeva di un margine ampio di maggioranza alla Camera (a causa del Porcellum, legge elettorale illegittima), aveva una diversa leadership. E, infine, il risultato del voto fu accolto da Moody’s con un lamento-avvertimento che diceva così: “Invece di migliorare la visibilità sulla direzione politica del Paese, le recenti elezioni in Italia hanno aumentato il rischio che la fase di riforme avviata dal governo Monti possa sospendersi, se non completamente bloccarsi”. Il 28 aprile il presidente Napolitano conferì a Enrico Letta l’incarico di fare un governo all’insegna di una “strana maggioranza” che coinvolgeva Pd ePdl. E poi, mentre continuavano i segnali intimidatori della Finanza internazionale, a febbraio del 2014 arriva Renzi con la novità della partecipazione al governo del partito di Alfano. Renzi a parole rivendica autonomia, ma in sostanza si adegua. Le sue riforme sono le stesse che ci chiede, a sostegno della parola magica “governabilità”, la destra dei poteri forti.
Dice l’ex segretario del Pd Bersani di temere “non tanto un uomo solo al comando ma un uomo solo al guinzaglio”. La partita è in mani altrui.
Anche i cittadini sentono e soffrono questa situazione. In gran parte della mancanza di fiducia che si riscontra oggi nei confronti della politica non c’è soltanto il pessimo esempio che essa sta dando immersa com’è in storie di corruzione e illegalità, ma anche la pochezza della sua offerta: sentiamo cioè che nessuno è in grado di offrire una visione lungimirante, un programma che guardi al futuro e non sia invece frutto delle improvvisazioni e della quotidiana promessa di una salvezza già avviata.
Il governo è un governo di cui non ci si fida. E questa perdita di fiducia è uno dei “peccati” più gravi che la politica possa commettere.
Quanto può durare questa situazione senza che la democrazia rappresentativa ne sia ferita a morte?
Non lo so e non sono un’esperta, solo una cronista con esperienza di giornalismo parlamentare. Personalmente vorrei andare presto a votare. Per chi, se non ci sono alternative valide alla governabilità che offre il renzismo?
Ho smesso di pormi questo problema: l’alternativa arriva se c’è un futuro. Come possono nascere alternative e fiorire se si trovano davanti il muro di un potere che si sta rafforzando sempre di più? Una domanda che i popoli si sono fatti spesso nella storia. Ma viene il momento di metterlo alla prova, il muro del potere, se c’è chi si ostina a consolidarlo invece che ad ascoltare la voce della minoranza.
Io credo che la novità non sia tutto ciò che ha voluto e ha trascinato con sé Matteo Renzi: quella roba lì, quelle cose lì che ledono i diritti dei più deboli e rafforzano l’audacia dei più forti, sono l’esistente, anzi l’antico.
Vorrei elezioni politiche e vorrei un’alternativa ispirata al futuro e alla Costituzione : le proposte per aggiornarla dovrebbero costituire il cuore del programma elettorale di ciascun partito.
Nel biennio che ci attende dovremmo andare a votare per le amministrative in molte tra le più importanti città d’ Italia, per il referendum contro le trivellazioni, per il referendum confermativo della riforma costituzionale e , molto probabilmente , per una serie di referendum abrogativi tra i quali spicca, per importanza, quello sull’ Italicum. Se mettiamo in conto pure le ‘ primarie ‘ , nei prossimi 24 mesi non faremo che votare. Non è quindi l’ esercizio di questo diritto, sempre più mortificato , che ci mancherà. Quello che ci mancherà – e lo si deduce dai passaggi più amari della riflessione di Sandra Bonsanti – è il gusto di fare politica. Farla a tempo pieno, non solo in occasione delle scadenze elettorali. Farla con passione , generosità e disinteresse personale. Farla in mezzo alla gente , non per manipolarne scelte e orientamenti ma per far crescere conoscenza e spirito critico. Farla con serietà, studiando i problemi e avanzando proposte per risolverli, in un clima di solidarietà e coesione sociale. Farla, soprattutto , dentro i partiti, accettando il rischio di sporcarsi per fare pulizia. Perché andare, poi, a votarli dopo averli demonizzati, oltre a non essere un grande esempio di coerenza, non è segno di lungimiranza perché favorisce il formarsi di caste, di lobbies, di cerchi magici. E, infine, perché l’ alternativa si costruisce con la partecipazione, una partecipazione ‘ effettiva ‘ – come recita la Costituzione – non semplicemente formale.
Un po’ più di piazza e un po’ meno di comunicazione virtuale. Chi è capitato nella piccola ‘ agorà ‘ che si è formata nelle strade adiacenti al Teatro Quirino, sabato scorso, si sarà accorto – dai numerosi interventi – che la nascente forza di sinistra intende essere proprio ciò che auspica Sandra Bonsanti : il partito della Costituzione.
Le prossime elezioni amministrative e le prossime consultazioni referendarie ci diranno chi , per davvero, è dalla parte della Costituzione.
Giovanni De Stefanis, leg Napoli
Bonsanti scrive: “…. noi italiani il 24 e il 25 febbraio del 2013 fummo chiamati alle urne…… Allora centro sinistra e centro destra finirono quasi pari (poco più del 29 per cento entrambi) “. Non ci sono parole.
Illustre pres. Bonsanti,
alle politiche del 13 è vero che la % fu del 75. Ma a questo va aggiunto il 18% del voto al m5s, che al tempo si qualificava assolutamente come “antipolitica” coi suoi “tutti a casa, tutti morti, tutti zombi”.
Poi alle successive regionali l’astensionismo, pur col m5s, precipitò sino al 39% di quelle emiliane-romagnole.
Questa diserzione dal voto assieme alle analisi demoscopiche annuali di I. Diamanti, in crescita costante sino ad arrivare nel dic. 14 a certificare una sfiducia nella politica al 97%, nel Parlamento al 93%, nello stato all’85%, fanno nascere una domanda: “Ha qualche senso andare al voto senza una nuova offerta politica AFFIDABILE e CREDIBILE per l’elettorato?” O sarebbe solo un’ulteriore conferma della logica e scontata diserzione dal voto per l’assoluta, non più accettata, storica mediocrità?
La politica come tale, e dentro di essa la sinistra, ha ormai esaurito ogni credibilità presso la Cittadinanza, per cui non vedo spazi significativi per nuovi partiti di sinistra, destra o centro che siano, ma solo spazi di testimonianza. E poco per quelli vecchi. E il M5S occupa più lo spazio anticasta che quello di “unico oppositore”, ma certamente non ha ancora la storia e i titoli per guidare un grande paese.
C’è solo una via per riportare la Cittadinanza al voto e darle una prospettiva di progresso: riportare in Parlamento persone di chiaro rigore morale e culturale, qualità che raramente si dissociano, garantito dalla storia e non dalla propaganda.
Come quei professori che da tempo esprimono proposte di saggezza e buon senso per riforme sia costituzionali, che economiche e di ogni altro specifico tema. Proposte che possono certo essere considerate un ottimo programma di legislatura.
La via della “cultura” è anche quella percorsa da Podemos in Spagna, dove professori si sono rivolti a tutta l Cittadinanza stanca di mediocrità, non solo a sinistra, non sinistra contro destra, ma sotto contro sopra, Società Civile contro casta.
Professori che formino un’entità sociale più che un classico partito e senza dimenticare che la Costituzione consente un percorso di Democrazia Diretta Propositiva, con “progetti di leggi” e non labili promesse da campagna elettorale, senza passare dal voto per marcare maggiormente la differenza, la cesura con presente e passato.