Sentenze veloci per una vera giustizia

28 Gen 2014

«Nove milioni di processi bloccano la giustizia, cioè la legalità dell’Italia. Un grumo di arretrato che paralizza la tutela dei diritti. Cioè, la dignità della cittadinanza» scrive Massimo Marnetto di «Libertà e Giustizia», le cui lettere di commento mi arrivano quasi ogni giorno con puntualità rituale. Marnetto si chiede se la lentezza della giustizia sia solo un fatto meccanico.

Martelletto_Giustizia«Nove milioni di processi bloccano la giustizia, cioè la legalità dell’Italia. Un grumo di arretrato che paralizza la tutela dei diritti. Cioè, la dignità della cittadinanza» scrive Massimo Marnetto di «Libertà e Giustizia», le cui lettere di commento mi arrivano quasi ogni giorno con puntualità rituale. Marnetto si chiede se la lentezza della giustizia sia solo un fatto meccanico. Ce lo chiediamo in tanti. Possibile che non si riesca ad affrettare il corso di un processo? Possibile che ci vogliano anni per avere un verdetto? Mentre si aspetta un giudizio, l’offeso accumula rancore, odio, spirito di vendetta, oppure rassegnazione, senso di persecuzione, depressione, mentre l’offensore si crede impunibile, e ricomincia ad offendere. Marnetto trova una spiegazione al ritardo endemico della nostra giustizia nel sabotaggio di molti politici che, una volta inseritisi nei luoghi del potere, bloccano la legalità. Sarebbero degli infiltrati «mai così numerosi come nelle ultime legislature di nominati». Gli interessati insomma orienterebbero la politica verso la «complicazione della giustizia, per renderla formale e innocua, al fine di poter operare nella certezza — disponendo di costosi avvocati — di tempi eterni, prescrizioni sicure o al massimo pene irrisorie». Accusa grave ma, diciamo la verità, molto verosimile se andiamo a verificare le cronache di questi anni. La complicazione inutile, d’altronde è un male ritrovabile anche nel nostro linguaggio. I gerghi costituiscono un intralcio artificioso e servono, come diceva Manzoni, per gabbare gli ingenui e gli ignoranti.
So già che molti avranno da ridire su questa idea della semplificazione, perché la cultura, la scienza, la ricerca, sono spesso processi complicati che impediscono la comprensione immediata. Ma bisogna distinguere fra la complicazione necessaria, che approfondisce il pensiero e la complicazione inutile che è lì solo per nascondere e offuscare. La giustizia, comunque, dovrebbe tendere a semplificare. L’immediatezza del giudizio è la prima e più importante delle semplificazioni. La giustizia dovrebbe togliersi di dosso i tanti parassiti anche linguistici con cui allunga i tempi, rimanda, e rende vischiosa e confusa ogni richiesta di giustizia. Qualcuno dirà: ma la realtà è complicata, semplificando la banalizziamo. È vero , a volte la complicazione del pensiero è il solo modo per sfuggire agli stereotipi della globalizzazione. Ma la giustizia ha bisogno di chiarezza e di rapidità. Perché le ingiustizie sono fulminee e legate all’oggi. Certo, nella rapidità gli errori sono più probabili. Ma mentre i guasti dovuti alla rapidità sono probabili e rimediabili, i guasti dovuti alla lunghezza sono certi e irrimediabili. Fra l’altro, come dice Marnetto, «questa distorsione ha generato una (in)giustizia di censo: pene sovradimensionate verso reati “miseri” come uso di stupefacenti e clandestinità e pene virtuali nei confronti di reati “ricchi” di faccendieri ed evasori». Per questo è importantissimo riformare la giustizia, ma non nel senso del garantismo che è anche eccessivo a casa nostra, ma della certezza e della rapidità della pena perché «senza legalità la democrazia muore».

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